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7 Giugno 2008

E’ stata sconfitta politica storica

Autore: Claudio Tito
Fonte: la Repubblica

“È stata una sconfitta storica. Se ne deve prendere atto. Eppure, a distanza di due mesi questa constatazione non ha ancora trovato un luogo per essere riconosciuta”. Arturo Parisi sembra tornare ad indossare più le vesti del professore, dello studioso di flussi elettorale e di fenomeni politici, che quelle dell’ex ministro. Non parla da leader della pattuglia “ulivista” ma da semplice parlamentare del Pd. Ma Veltroni non vuole ammettere la sconfitta. E, anzi, confida sulla “rivincita”.

Perché parla di “sconfitta storica”?
“Perchè è una sconfitta politica, non una sconfitta elettorale. Non è certo nel confronto con i risultati precedenti e men che mai con i sondaggi sulla popolarità del governo Prodi che deve essere cercata la sua misura. La natura politica della sconfitta appare evidente solo se confrontiamo la risposta degli elettori con la proposta politica messa in campo. E aggiungo se ricordiamo che questa proposta ha due nomi: Veltroni e Bertinotti. Quella che era stata definita e proposta, come una “separazione consensuale” tra la sinistra radicale e quella moderata. Una separazione consensuale guidata dalla illusione che si potesse così allargare il campo. La sinistra radicale avrebbe dovuto infatti confermare i suoi consensi e quella moderata grazie alla sua libertà, novità e autonomia avrebbe dovuto attrarne di nuovi provenienti dal campo avverso”.

Perché non è avvenuto?
“I numeri parlano da soli. La sinistra radicale è scomparsa. Ma il centro, quello che amava proporsi come la sinistra moderata, non è riuscito a proporsi come un punto di riferimento per consensi nuovi. È questa la causa del risultato modesto del Pd. Se siamo riusciti a tenere, è solo perchè gli apporti da sinistra hanno compensato quelli persi al centro o verso l’astensione. Esattamente l’opposto di quello ci si proponeva”.

E Veltroni ne dovrebbe prendere atto?
“Di fronte a questo cataclisma, ognuno ha più domande che risposte. Tutti siamo nel pieno della elaborazione di un lutto. Ma è dal riconoscimento della sconfitta politica che dobbiamo ripartire. E nessuno ha mai elaborato un lutto senza averlo prima riconosciuto. È per questo che mi sento pessimista sul futuro del partito. Il gruppo dirigente propone il futuro come una continuazione del presente”

Cioè?
“Penso a Bettini e al suo “diritto alla rivincita”, fondato sulla pretesa che la vittoria che oggi non abbiamo colto prima o poi arriverà. La preoccupazione che il riconoscimento della sconfitta chiami in causa le corrispondenti responsabilità soggettive sembra impedirci di analizzare anche la situazione oggettiva nella quale ci siamo cacciati. La paura che si ripeta quel che è successo nel ’94 con Occhetto e nel 2000 con D’Alema, quando i due leader sconfitti sentirono la necessità di far derivare dal riconoscimento della sconfitta atti conseguenti, ci costringe a discutere della sconfitta solo in corridoio e a difendere in pubblico una sconfitta evidente come se fosse una vittoria insufficiente”.

Insomma il segretario del Pd si dovrebbe dimettere?

“È proprio pensando al rischio che per non parlare degli sconfitti finissimo per negare anche la sconfitta, che all’indomani del voto volli riconoscere a Veltroni tutto l’onore che meritava e merita per la passione con cui aveva portato avanti la sua battaglia. E questo anche perchè se di responsabilità della sconfitta di deve parlare è questa una sconfitta da imputare a tutto il gruppo dirigente. Ed è per questo che avevo condiviso praticamente da solo la proposta dello stesso Veltroni di aprire un nuovo percorso congressuale che consentisse di verificare la correttezza della linea seguita”.

In soldoni, il Pd ha bisogno di un nuovo leader?
“Certamente di una nuova leadership. Ma una leadership può nascere, rinnovarsi o rafforzarsi solo all’interno di un confronto vero. Quello appunto che avevo immaginato cercasse Veltroni con l’apertura di un percorso congressuale. Non è all’insegna della continuità che Veltroni può immaginare di rafforzare la sua guida del partito. Altro che rivincite. Nella continuità non possiamo che riperdere”.

In concreto il Pd cosa deve fare? Deve ricostruire l’Unione con la sinistra radicale?
“Anche il percorso dell’Ulivo era guidato dall’idea di un bipolarismo a vocazione bipartitica. Ma nel campo di centrosinistra il Pd era il nome della stazione di arrivo. Qua invece per errore, e impazienza personale siamo scesi alla prima stazione che abbiamo trovato e l’abbiamo chiamata Pd. Il guaio è che quel che non doveva succedere, è ormai successo. Invece di condividere con incoscienza quella che abbiamo chiamato separazione consensuale, sarebbe stato meglio, andare ad un confronto programmatico esigente con la sinistra radicale, pronti alla rottura o alla ricerca di una nuova unità riformatrice. Invece ci siamo accontentati di esibire la nostra moderazione solo perchè condividevamo l’agenda del centrodestra, e perchè chiamavamo più semplicemente Berlusconi “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”. È questo che, al di là delle parole, ha sconcertato gli elettori: quelli che sarebbero dovuti venire da destra e quelli che sarebbero dovuti rimanere a sinistra. Manca una definizione politica e infatti anche la nostra opposizione è confusa. Ogni volta che Di Pietro o persino Casini mettono in campo un’iniziativa nitida e robusta, i dirigenti del Pd sono costretti ad accodarsi”.

Qual è quindi la soluzione?
“Se non siamo riusciti ad attrarre consensi nuovi è perchè il PD non è riuscito a rappresentarsi come il partito nuovo che diceva di essere. Se questo è vero, ora non ci resta che fare esattamente quello che abbiamo detto che avremmo fatto sapendo di non averlo fatto, chiederci perchè, e riconoscere che è proprio a causa di questo che abbiamo perso. Sembra di tornare al trapassato remoto, con le correnti che nascono ogni giorno. C’è davvero il rischio di dissoluzione. Se Diamanti registra la diffusa impressione che il Pd sia un Pds senza la esse, se la dialettica interna riconosce seppure nelle semplificazioni giornalistiche che i poli sono Veltroni e D’Alema qualcosa vorrà pure dire. Non so esattamente cosa. Ma certo che il Pd non è ancora quel partito nuovo che vorrebbe essere”.