“Caro
direttore,
sono sospinto a scriverti dall’affetto
personale che provo per Arturo Parisi e anche dal fatto che – nel mio piccolo –
spesso è capitato pure a me di ricevere l’accusa di rompiscatole, guastafeste,
antipatico, spigoloso, incapace di buon rapporto con il prossimo.
Mi delude l’insistente ricorso all’attacco
personale, all’evocazione del cattivo carattere, là dove emergono differenze
politiche. Prima ho letto di Franceschini che consiglia a Parisi di ubriacarsi
per festeggiare il coronamento del suo sogno politico. Sabato è sopraggiunto
Soro nell’invitarlo a festeggiare anziché protestare. Ieri sul tuo giornale si
è cimentato il novello psicanalista Mario Adinolfi: “Mi auguro di non
trasformarmi mai in un signor-no alla Parisi, sempre stizzito”.
Non ho bisogno di ricordarvi quanto sia
stata preziosa la tenacia di Arturo Parisi nel tenere viva la prospettiva
unitaria dell’Ulivo, quando tanti odierni entusiasti neofiti del Partito
democratico remavano in direzione opposta. E prima ancora, come ripete sempre
Romano Prodi, ma come sa bene anche Walter Veltroni, determinante è stato il
contributo di Parisi all’ideazione del partito che oggi vede la luce.
Il disinteresse personale con cui Arturo
sfida l’impopolarità, anziché godersi la comoda posizione di protagonista della
nascita del Pd, dovrebbe se non altro indurre i suoi critici a replicargli con
argomenti politici. Personalmente, da delegato alla Costituente, condivido la
sua delusione per le forzature verticistiche con cui si è sbrigativamente
conclusa la bellissima assemblea di Milano. Dobbiamo evitare che, in assenza di
opportune rettifiche, si riproducano presto nel nuovo partito le medesime
storture che già hanno disincentivato la militanza nelle formazioni in via di
scioglimento. Mi auguro che se ne possa ragionare pacatamente, superando gli
schieramenti del passato.
Ma qui mi preme soprattutto segnalare il
pericolo che una discussione indispensabile sulla democrazia interna del Pd
venga sepolta col sarcasmo irrispettoso, riducendo Parisi a macchietta. Come se
il problema fosse il suo tono stizzito, e non l’obiettiva difficoltà di
sperimentare in Italia un nuovo percorso politico autenticamente democratico.”
Gad Lerner