2222
31 Gennaio 2010

Consorte sbaglia, la banca dei Ds avrebbe ucciso il Pd

Fonte: Corriere della Sera

Caro Direttore,





a proposito del fallimento della scalata
alla Bnl da parte
 dell’Unipol, o, per dirla con parole non mie, dell’
idea di 
dare una banca ai Ds, leggo ancora una volta sul suo 
giornale
una ricostruzione di Giovanni Consorte che mi 
chiama personalmente in
causa.





Capisco che Consorte non riesca ancora a farsi una
ragione 
del fatto che i suoi amici politici, quelli che aveva 
pensato
come i principali beneficiari, prima tifarono ma 
poi contribuirono ad
affossare l’operazione. Mi farebbe
 invece piacere se Consorte, che,
pur vivendo da decenni 
come me a Bologna, non ho avuto mai il piacere
di 
conoscere, capisse il mio punto di vista, visto che
 annuncia uno
spettacolo giudiziario con gran corredo di
 testimoni politici. 





L’unica
cosa esatta che mi riguarda e’, nella sua
 ricostruzione, il fatto che
di quella operazione io fui nel
 campo di centrosinistra uno dei primi
avversari, certamente 
uno di quelli dichiarati in modo aperto. Tutto
il resto e’
 distorto. Distorte le date, distorte le posizioni delle

persone, distorti gli argomenti.
 




Innanzitutto le date.
Nella calda estate del 2005 non solo
 il Pd non era nato, ma il vertice
del partito nascituro era 
profondamente diviso soprattutto sulla
opportunita’ della
 sua stessa nascita. Da una parte stavano in
particolare i capi di
 Ds e Margherita, da Fassino e D’Alema, a Rutelli
e Marini,
 che difendevano con accanimento le loro divisioni,

dall’altra io e una pattuglia di ulivisti che ci battevamo con
ostinazione per un partito 
nuovo.




Distorti gli argomenti.
E’ vero che Rutelli condivideva con
 me la resistenza alla idea, per
ridirla alla Consorte, che
i Ds avessero una loro banca, ma il
cattolicesimo e’ meglio 
lasciarlo da parte. A tutti e due era invece
chiaro che un 
incontro tra partiti non avrebbe potuto mai dar vita a

nulla di nuovo e a nulla di stabile se uno fosse stato 
l’espressione
organica di un radicato sistema fatto di
 banche, di imprese
cooperative, di sindacati con legami
 internazionali precostituiti, e
l’altro espressione solo 
delle sue idee e dei suoi valori. Era chiaro
tanto piu’ ad
 uno come me che non pensava solo ad una alleanza tra

diversi, ma ad un vero partito nuovo.

Cosi’ chiaro da 
avermi
indotto a chiedere gia’ nel 2000 al congresso Ds,
 seppur con la totale
incomprensione di Veltroni, di 
sciogliere quel sistema per cercare
insieme il Pd. 



Quello che Consorte non capiva era che la banca di
un 
partito vecchio non solo era un ostacolo sulla strada di un

partito nuovo, ma, prima ancora, era l’opposto della idea 
di
politica, della concezione della democrazia, della idea 
del rapporto
tra societa’ e stato che quel partito si
 proponeva. Io non so cosa sia
il riformismo che ha in mente 
Consorte e i suoi amici.

Una
cosa tuttavia mi sento di 
chiedergliela. Puo’ un partito, che dice di
volersi 
ispirare ad una concezione pluralistica della societa’, e,

quindi, ad una distinzione tra economia, stato, partiti,
 chiese etc.,
e contemporaneamente difendere, rafforzare,
 espandere, addirittura in
vista di una competizione
 elettorale e della conquista del governo,
modelli e prassi 
che venivano dal passato?

 

Poteva un partito che
era in campo contro Berlusconi e la 
sua commistione di affari e
politica, progettare una 
iniziativa che come lui dice si proponeva di
diventare
 “braccio finanziario del governo” guidato dalla idea che

”potere politico ed economico” non possono essere disgiunti?
 




Si
rilegga Consorte il mio “allarme per le commistioni tra 
politica ed
economia” del 4 agosto del 2005 proprio su questo giornale raccolto da
Dario Di Vico. Anche se lui di quell’intervista  ricorda solo la parte

che lo riguarda, scoprira’ che il caso BNL Unipol era
 purtroppo solo
uno degli esempi. Ma il denominatore dei 
casi che portavo ad esempio
era un altro. Non si poteva 
accusare Berlusconi di mescolare affari e
politica, e poi 
fare politica e affari come lui, o addirittura con
lui. 



Perche’ questa e’, all’essenza, la questione morale. Dire
 una
cosa e fare esattamente l’opposto. Dare ad intendere di
 essere una
cosa e poi essere un’altra. 



Ieri come oggi.

Arturo Parisi