Caro Direttore,
a proposito del fallimento della scalata
alla Bnl da parte
dell’Unipol, o, per dirla con parole non mie, dell’
idea di
dare una banca ai Ds, leggo ancora una volta sul suo
giornale
una ricostruzione di Giovanni Consorte che mi
chiama personalmente in
causa.
Capisco che Consorte non riesca ancora a farsi una
ragione
del fatto che i suoi amici politici, quelli che aveva
pensato
come i principali beneficiari, prima tifarono ma
poi contribuirono ad
affossare l’operazione. Mi farebbe
invece piacere se Consorte, che,
pur vivendo da decenni
come me a Bologna, non ho avuto mai il piacere
di
conoscere, capisse il mio punto di vista, visto che
annuncia uno
spettacolo giudiziario con gran corredo di
testimoni politici.
L’unica
cosa esatta che mi riguarda e’, nella sua
ricostruzione, il fatto che
di quella operazione io fui nel
campo di centrosinistra uno dei primi
avversari, certamente
uno di quelli dichiarati in modo aperto. Tutto
il resto e’
distorto. Distorte le date, distorte le posizioni delle
persone, distorti gli argomenti.
Innanzitutto le date.
Nella calda estate del 2005 non solo
il Pd non era nato, ma il vertice
del partito nascituro era
profondamente diviso soprattutto sulla
opportunita’ della
sua stessa nascita. Da una parte stavano in
particolare i capi di
Ds e Margherita, da Fassino e D’Alema, a Rutelli
e Marini,
che difendevano con accanimento le loro divisioni,
dall’altra io e una pattuglia di ulivisti che ci battevamo con
ostinazione per un partito
nuovo.
Distorti gli argomenti.
E’ vero che Rutelli condivideva con
me la resistenza alla idea, per
ridirla alla Consorte, che
i Ds avessero una loro banca, ma il
cattolicesimo e’ meglio
lasciarlo da parte. A tutti e due era invece
chiaro che un
incontro tra partiti non avrebbe potuto mai dar vita a
nulla di nuovo e a nulla di stabile se uno fosse stato
l’espressione
organica di un radicato sistema fatto di
banche, di imprese
cooperative, di sindacati con legami
internazionali precostituiti, e
l’altro espressione solo
delle sue idee e dei suoi valori. Era chiaro
tanto piu’ ad
uno come me che non pensava solo ad una alleanza tra
diversi, ma ad un vero partito nuovo.
Cosi’ chiaro da
avermi
indotto a chiedere gia’ nel 2000 al congresso Ds,
seppur con la totale
incomprensione di Veltroni, di
sciogliere quel sistema per cercare
insieme il Pd.
Quello che Consorte non capiva era che la banca di
un
partito vecchio non solo era un ostacolo sulla strada di un
partito nuovo, ma, prima ancora, era l’opposto della idea
di
politica, della concezione della democrazia, della idea
del rapporto
tra societa’ e stato che quel partito si
proponeva. Io non so cosa sia
il riformismo che ha in mente
Consorte e i suoi amici.
Una
cosa tuttavia mi sento di
chiedergliela. Puo’ un partito, che dice di
volersi
ispirare ad una concezione pluralistica della societa’, e,
quindi, ad una distinzione tra economia, stato, partiti,
chiese etc.,
e contemporaneamente difendere, rafforzare,
espandere, addirittura in
vista di una competizione
elettorale e della conquista del governo,
modelli e prassi
che venivano dal passato?
Poteva un partito che
era in campo contro Berlusconi e la
sua commistione di affari e
politica, progettare una
iniziativa che come lui dice si proponeva di
diventare
“braccio finanziario del governo” guidato dalla idea che
”potere politico ed economico” non possono essere disgiunti?
Si
rilegga Consorte il mio “allarme per le commistioni tra
politica ed
economia” del 4 agosto del 2005 proprio su questo giornale raccolto da
Dario Di Vico. Anche se lui di quell’intervista ricorda solo la parte
che lo riguarda, scoprira’ che il caso BNL Unipol era
purtroppo solo
uno degli esempi. Ma il denominatore dei
casi che portavo ad esempio
era un altro. Non si poteva
accusare Berlusconi di mescolare affari e
politica, e poi
fare politica e affari come lui, o addirittura con
lui.
Perche’ questa e’, all’essenza, la questione morale. Dire
una
cosa e fare esattamente l’opposto. Dare ad intendere di
essere una
cosa e poi essere un’altra.
Ieri come oggi.
Arturo Parisi