Dobbiamo ringraziare Mario
Segni perche’ col suo intervento pubblico sulla Nuova Sardegna di ieri “contro il separatismo” ha
sottratto al segreto delle assemblee istituzionali, al silenzio di
alcuni partiti, e alla confusione e al clamore di altri partiti un
dibattito che per il suo rilievo interpella tutti i sardi.
E’
grazie al suo intervento che apprendiamo direttamente da Paolo
Maninchedda che si appresta ad illustrare la sua mozione che Segni
sospettava di separatismo, che lo stesso, non e’ un “separatista” ma uno
“statista”. Si’, proprio cosi’! “Non siamo separatisti: siamo
statisti”. Potenza della lingua! Maninchedda ci dice pure che la loro
richiesta, quella contenuta nella mozione n.6 che, come primo
firmatario, si appresta ad illustrare in Consiglio regionale, muove da
un concetto di Nazione sarda fondato non sulla comunanza di sangue ma
sulla comunanza di progetto, e pone la questione della indipendenza solo
come “un valore-guida”. Si limiterebbe percio’ in concreto a chiedere
“se in molti si sara’ d’accordo sul principio” a “fare lo Statuto
praticabile a legislazione vigente, che realizzi il massimo di
sovranita’ possibile, ma che si configuri come la tappa di un percorso
sempre in divenire e sempre in aumento”. Parole moderate, e, come dice
lui, “responsabili” come si addice ad uno “statista”. Ma allora perche’
nella sua mozione, dopo una premessa che, piu’ che una rivendicazione di
indipendenza, farebbe attendere una dichiarazione di guerra contro
l’Italia, non mette a conclusione le parole con le quali ha spiegato la
sua posizione sulla Nuova Sardegna? Forse perche’ pensa che “fare lo
Statuto praticabile a legislazione vigente” ha lo stesso suono e lo
stesso contenuto della richiesta della sua mozione che “impegna la
Giunta regionale a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta
indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di
dinsimpegno istituzionale che preveda indennizzi per la Nazione sarda in
ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la
Sardegna ha subito prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica
italiana.”? Non credo. Io penso invece che non lo faccia perche’ sa che
le due posizioni sono tra loro profondamente diverse. Escludo che sia un
caso di bilinguismo quale quello che ha indotto qualche giorno fa
Andreotti ad agghiacciarci dicendo, secondo lui in romanesco, che
Ambrosoli la sua morte eroica “se l’era andata a cercare” che in
italiano equivaleva a dire “si era esposto a gravi rischi a causa
dell’incarico assunto”. Nella temperie politica attuale, in Sardegna
come in tutto il nostro Paese, quello che temo di piu’ in questo momento
non e’ la pluralita’ delle lingue ma la confusione delle lingue.
Dannosa sempre, questa confusione e’ su argomenti come questo
pericolosissima e inaccettabile. Questa e’ una questione serissima. Non
e’ una questione che ci possiamo permettere di prendere sottogamba o
banalizzare.
Vedo intorno a noi e in noi troppa
furbizia, leggerezza, e superficialita’ guidata dalla illusione che la
rivendicazione possa essere addomesticata piegando le nostre parole come
il giunco sotto la corrente di moda. Come ci ha insegnato la stessa
vicenda leghista a proposito del federalismo, queste sono parole
destinate a crescere e a presentare prima o poi il conto dei fatti, a
noi o ai nostri figli, un conto che su questi temi e’ spesso macchiato
di sangue. Ci manca solo che la nostra rivendicazione, invece di
incontrare le resistenze come sarebbe stato in passato, trovi ora un
Bossi che le accolga entusiasta dicendo che abbiamo ragione, ma solo per
fare forti le sue ragioni non le nostre ragioni.
Dobbiamo riconoscere che la questione, importante in se’, e’ una
questione che e’ cresciuta in noi e tra la gente. Ma e’ una questione
che, anche grazie alla leggerezza delle nostre parole, abbiamo fatto
crescere troppo a livello di sentimenti superficiali. E’ giunto il
momento di sottoporne a vaglio critico, le premesse, le conclusioni, le
conseguenze. Non e’ una questione tecnica ma politica. E’ una questione
cioe’ che deve coinvolgere tutti i cittadini perche’ possano esercitare
la loro responsabilita’ con piena consapevolezza.
Deriva da qui la necessita’ che, pur muovendo da punti di vista diversi,
ci si parli usando parole e svolgendo argomenti che siano compresi allo
stesso modo, senza lasciare alcuno spazio ad equivoci o ambiguita’. Lo
dico a Maninchedda del quale conosco e apprezzo l’attenzione e la
capacita’ che nella sua professione ha dimostrato nella scelta e
nell’uso della parole. Lo dico a partiti che, pur lontani da posizioni
sardiste, fanno a gara con esse proprio nel momento in cui, in tutta
Italia affidano la propria novita’ al loro volere essere “partiti
nazionali”, come e’ il caso del Pd, o partiti che si dicono ora “partiti
della nazione” come e’ nel caso dell’Udc.
Credo che
sia giunto il momento di ridare verita’ alle parole che usiamo e di
parlarci con parole di verita’.
I consiglieri
regionali che a Cagliari si apprestano a prendere la parola sul nostro
futuro, sappiano che li ascolteremo con con attenzione e, se ci
parleranno con parole di verita’, comunque con rispetto.