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5 Marzo 2019

CINQUE COLLOQUI SULLE ULTIME PRIMARIE PER LA SEGRETERIA NAZIONALE DEL PD

ITALIA OGGI

Colloquio del 5 marzo con Alessandra Ricciardi poi pubblicato il 6.3.2019 p.1 e 5

 

p.1 “Parisi, ok le primarie, ma adesso bisogna trovare i votanti”

p.5 “Pd, la strada resta ancora lunga”

“Il Pd c’è. Ma la strada per risalire la china è “ancora lunga e impervia”. Per ripartire dice Arturo Parisi, politologo, fondatore dell’Ulivo e ministro della Difesa del Governo Prodi II, bisogna riconquistare gli elettori ex novo, uno ad uno, “abbandonare l’illusione degli elettori ‘propri’ che ritornano a casa”. Sottolinea ancora Parisi: “Le appartenenze si vanno consumando un po’ di più ogni giorno”. E la sinistra? “Dire sinistra non significa Pd. Perfino nelle file militanti dei gazebo per le primarie, sul totale il 59% rifiutava questa etichetta. Figuriamoci tra gli elettori”.

 

Professore, contento di queste primarie?
“Si. E aggiungo: più da cittadino che da Democratico. Anche se la strada che attende il Pd è ancora lunga e impervia, il voto di domenica ha certificato che il partito è ancora vivo e di nuovo in cammino. E, soprattutto, che la nostra democrazia dispone ancora non solo di una opposizione in parlamento ma della speranza di una alternativa per il governo. Senza una alternativa non si può scegliere. Senza la possibilità di scegliere non c’è democrazia.”

Che messaggio è arrivato dai gazebo?
“Di disponibilità a partecipare. Ma prima ancora di preoccupazione. A spingere gli elettori ai gazebo, non è stata la scelta del segretario, e neppure il desiderio di accorciare la distanza che ci separa da un cambiamento percepito imminente, come accadde, ad esempio, nelle prime primarie del 2005, quelle dette “per Prodi”. Ho sentito parlare di nuovo di festa. E di certo oggettivamente è stata anche questa. Ma la domanda che dominava i votanti era “dove stiamo andando a finire?”. E immediatamente dopo “contate su di me, io ci sono”. “

Il popolo dei gazebo è di over 50, e nelle regioni rosse l’affluenza è in calo.
“Tutto vero. I capelli bianchi e le regioni rosse. Le primarie servono anche a questo. A fare l’appello per vedere chi c’è pensando alla battaglia che ci attende. Da questo punto di vista è necessario che i dirigenti non si facciano sconti. E, mentre si rallegrano per la prova appena superata, si ripassino i numeri. Non solo regione per regione, ma circolo per circolo. Un tempo si faceva così per ogni prova.”

 

Il PD a guida Zingaretti può avere secondo lei un effetto calamita sull’elettorato grillino?
“Preferirei dire su elettori che hanno votato 5Stelle. Direi proprio di sì. La delusione che sondaggi e voti vanno mostrando in modo convergente dicono che tra i grillini è in corso un importante processo di smobilitazione. Il ricambio che la democrazia consente, nei toni, contenuti e volti, serve anche a questo. A iniziare ex novo o riprendere un discorso, liberando quel potenziale di relazioni col partito, che era finito prigioniero di rapporti precedenti andati a male.”

Da dove ripartire? Che consiglio darebbe per ricucire il rapporto tra PD ed elettori?
“Ricordarsi che gli elettori vanno conquistati ex-novo ad uno ad uno. Abbandonare l’illusione degli elettori “propri” che ritornano a casa. Le appartenenze si vanno consumando un po’ di più ogni giorno. Ora anche a causa del profilo demografico di una base tradizionale dominata da tempo dai capelli bianchi. Dire sinistra non significa Pd. È vero che nel confronto con le primarie del 2017, mentre diminuisco ora i votanti complessivi, aumenta il peso relativo di quelli che si autodefiniscono “di sinistra”. Resta comunque, come ha documentato oggi Diamanti, che, perfino nelle file militanti dei gazebo, se tra chi ha votato Zingaretti quelli che si dicono di sinistra erano il 46%, sul totale il 59% rifiuta questa etichetta. Figuriamoci tra gli elettori.”

La prossima sfida sono le europee. Si torna a parlare di coalizione. Con il listone calenda?

“È un po’ che Calenda pone il problema con impazienza crescente. Tutti lo ringraziano per l’iniziativa e la provocazione. Oggi anche Zingaretti ha rinnovato il suo grazie per la sua “intuizione unitaria”. Ma la risposta tarda. Il problema è che prima dei simboli, sia essa lista o listone, aperta, unica o unitaria che sia, viene il per-ché. È questo che non ha avuto ancora una risposta comune. Non credo che si possa andare avanti troppo a lungo così. Come vado ripetendo da giugno, quando sollecitai Martina ad anticipare al massimo il Congresso, oramai la distanza dai primi adempimenti elettorali non si calcola più a mesi, ma a settimane.”

Quanto conterranno nel voto europeo i temi di politica interna?
“Come sempre è accaduto finora: troppo.”

 

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DEMOCRATICA

Colloquio del 4 marzo con Mario Lavia

Pubblicato su “Democratica” il 4.3.2019 p.4

 

“Non ci resta che mettere in piedi una coalizione”

Parla l’inventore delle primarie “Hanno riempito un vuoto che durava da troppo tempo”

 

Professore, lei è l’inventore delle primarie.
“Inventore? La ringrazio. Ma mi consenta di sorridere. Diciamo meglio, pensando alla stagione del mio impegno politico in prima fila, il più consapevole e impaziente assertore della necessità di introdurle in Italia. Alla fine degli anni ‘80, quando ero soltanto uno studioso, definitivamente allarmato dallo scollamento tra cittadini e istituzioni e della sfasatura tra il sistema partitico e gli elettori, mi feci un giro di due anni in America, e da allora non ho mollato l’osso. Ma senza il sostegno di Prodi chissà quanti decenni avremmo atteso ancora….”

Il metodo ancora una volta sembra comunque dimostrare che il popolo è più avanti dei gruppi dirigenti. Questa volta ha sciolto un nodo serio, quello della leadership del Pd. È così?
“È così. Ha riempito un vuoto e messo fine ad un lutto e a uno stallo che durava da troppo. Come implorai in giugno Martina, pensando al calendario che ci attende, le primarie dovevamo farle prima. Ai nostri elettori, e perfino agli altri, la nostra opposizione in Parlamento non bastava più. Senza la prospettiva di una alternativa la democrazia si blocca. Comunque sia. Da ieri non siamo più in ginocchio ma di nuovo pronti a rimetterci in cammino.”

Con Zingaretti si risente parlare di coalizione. Ma la coalizione si dà con il maggioritario mentre col proporzionale ognuno va per conto suo e poi si vede in parlamento. Ci spiega la questione?
“Dopo undici anni ritorniamo laddove ci lasciammo quando Veltroni si illuse di trasformare in un colpo solo quello che in linguaggio “ulivista” io chiamavo “bipolarismo a vocazione bipartitica” in un “bipartitismo” attenuato dall’alleanza con Di Pietro. Con in mezzo il tentativo di Renzi di forzare il blocco purtroppo sonoramente bocciato due anni fa. E ancor peggio con lo sbandamento che da questo seguì. Fino al boato finale col quale il Pd salutò alla Camera il “suo” Rosatellum, come se avessimo vinto il campionato del mondo. Cosa ci resta se non provare a rimettere in piedi una coalizione? Anche se questa volta senza più il sostegno e la costrizione della regola maggioritaria, ma con la sola arma della tessitura politica. Subito. Ricominciando da dove cominciammo venticinque anni fa. Chiedendoci “quale Italia dentro quale Europa vogliamo”.”

È fondata secondo lei la paura di un ritorno alla Ditta?
“Basta capirsi su cosa è “Ditta”. Se Ditta è la pretesa della continuazione del comando di un gruppo dirigente antico, o la dorsale politica e organizzativa attorno alla quale è organizzata “la Cosa”, parlare di ritorno è una illusione, o una paura infondata. Se invece è anche solo un insieme di abitudini, di simboli, di parole evocative, o un “non so che” che fa sentire alcuni a casa ed altri estranei è un altro paio di maniche. “Quelli di via Mazzini” – dico per dire – sono restati e resteranno ancora a lungo nell’ultimo paese “quelli di via Mazzini”. Conviene riconoscerlo. È una risorsa ma anche un limite. Un motivo in più per dire che se vogliamo competere per il governo facendo leva su questa risorsa non ci resta che tornare a ragionare con pazienza di coalizione.”

C’è una rottura con Renzi o con il renzismo?
“Diciamo una cesura che mi auguro apra finalmente una pausa di riflessione. Non sulle persone o sul tipo di personalità di questo o quello. Ma sulle troppe parole dette senza crederci a sufficienza o senza assicurarsi che fossero realmente condivise. Penso alla scelta per il maggioritario e, vista l’occasione di questa chiacchierata, alle primarie.”

 

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LA PRESSE

Colloquio del 4 marzo con Nadia Pietrafitta pubblicato il 4.3.2019 da LaPresse Agenzia di stampa multimedia

 

Pd, Parisi: Zingaretti è l’unico che può riportare il centrosinistra a vincere Intervista al papà delle primarie: “Può farlo proprio per aver rinunciato in partenza ad essere sia segretario che candidato premier”

 

Adesso serve una coalizione in grado di tornare a vincere e Nicola Zingaretti è “l’unico” in grado di costruirla. A dirlo a LaPresse è Arturo Parisi, papà delle primarie e padre mobile del centrosinistra. E può farlo, spiega, proprio per aver rinunciato in partenza ad essere sia segretario che candidato premier.

 

Aveva definito le primarie ‘un passaggio cruciale’ e il popolo del Pd non si è tirato indietro. Che messaggio arriva dai gazebo?
“Le lunghe file di ieri dicono in modo incontrovertibile che esiste una domanda potenziale di partecipazione, ancora estesa e nuovamente intensa. Una domanda che riconosce nella proposta del Pd l’unica speranza in una alternativa alla situazione presente.”

Adesso tocca a Zingaretti dare strada a questa alternativa. Secondo lei può farcela?
“Alternativa significa mettere in campo una alleanza capace di raccogliere attorno ad un programma la maggioranza dei consensi. Anche con l’aiuto di una regola maggioritaria che incoraggiasse e costringesse a mettere assieme forze diverse non sarebbe stato semplice. L’abbiamo visto nelle recenti elezioni locali e regionali, dove, grazie all’azione dei candidati alla guida del governo, il centrosinistra si è rimesso sicuramente in piedi ma non ha vinto. Figuriamoci a livello nazionale dove vige la regola proporzionale del Rosatellum che spinge ognuno a impadronirsi di una porzione rinviando solo al dopo contratti e accordi. L’unico che può incoraggiare e consentire la nascita di una coalizione a questo punto è Zingaretti.”

Quale deve essere il suo ‘faro’?
“Il faro è la distinzione tra la sua condizione di leader del principale partito e quella del candidato premier di tutti. Neppure questo è semplice. Ma è già d’aiuto il fatto che su questo Zingaretti abbia parlato chiaro.”

La prossima prova sono le Europee. Giusto creare una lista unitaria con Carlo Calenda, anche a costo di mettere un po’ in secondo piano quel simbolo Pd che ieri sembra aver ritrovato nuova luce?
“Il simbolo è una cosa minore. È uno strumento pensato per indicare all’elettore dove mettere la croce e di conseguenza governare la comunicazione Di certo aiuterebbe a dare forza a rappresentare l’intenzione del Partito di aprirsi a personalità non targate Pd. Ma i cittadini si interrogano su quale sia la cosa che sta dietro il nome.”

In che senso?
“Se la lista vuol dire di più di un partito che si apre, è sulla cosa che bisogna capirsi e spiegarsi. Se pensata per l’Europa una lista che mette insieme forze diverse deve avere in comune il maggior numero di scelte europee. Dal gruppo politico dove confluire nel Parlamento Europeo, alle scelte cruciali per la crescita dell’Unione, fino al nome del candidato da sostenere come Presidente della Commissione.

Se invece la lista è pensata pensando all’Italia si può obiettare che in una competizione rigorosamente proporzionale più liste allargano il campo anticipando una coalizione futura. Per raccontare soltanto una generale scelta europea, basterebbe un documento e un segno grafico che accomuni liste distinte riconoscendole diverse. A differenza del 2004 quando, pensando alle elezioni politiche che ci attendevano, ci presentammo in Europa “Uniti nell’Ulivo”, questa volta il problema non è tenere unita una coalizione già esistente, ma aiutarla ad esistere cominciando col riconoscere dentro un campo comune l’esistenza di una pluralità di iniziative.”

 

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LA STAMPA

colloquio del 2 marzo con Fabio Martini

pubblicato il 3.3.2019 p.7

 

Il modello resta sempre valido perché limita il potere dei partiti

 

[tra parentesi quadra alcuni passaggi poi omessi nella versione finale a stampa].

 

Centinaia di migliaia di italiani voteranno oggi alle Primarie del Pd, ma cinque anni fa – ora non lo ricorda più nessuno – anche Matteo Salvini fu legittimato dallo stesso sistema e Arturo Parisi, che di questo metodo è il “padre” italiano, si compiace della diffusione ma al tempo stesso mette in guardia: “La rivoluzione, che iniziò nell’estate del 2004, continua, ma la domanda dei cittadini è insidiata costantemente dal sistema dei partiti che cercano di reimpadronirsi del potere che gli è stato sottratto. È un andirivieni con il canarino Titti – i cittadini – che fugge e Gatto Silvestro – i partiti che prova a riprenderlo. Una dura gara ancora in corso, più facile da vincere nei cartoni animati che nella realtà”.

 

Prodi 2006, Bersani 2012, Salvini 2013, Renzi 2014: chi vince in casa, spesso vince anche fuori casa, le elezioni. Le Primarie sono un modello di successo perché “produce” successi?
“Sarebbe bello. La selezione aperta, che questa volta chiamiamo impropriamente primarie, nonostante non siano seguite da una seconda elezione, può essere d’aiuto. Ma come vediamo negli Usa, seppure ambedue scelti con le primarie, nelle finali uno dei due vincitori delle primarie è destinato a perdere.”

Quasi tutti usano le Primarie perché sono diventate una scorciatoia per plebiscitarsi o perché sono diventate un modo per accorciare distanze con l’opinione pubblica?
“Fino ad ora le primarie purtroppo sono state usate come occasione di propaganda a sostegno di decisioni già prese dai capicorrente, più che come strumento offerto agli elettori per partecipare ad una decisione veramente aperta. Fino ad ora. Tuttavia…”

Tuttavia?
“La domanda di partecipazione continua a chiedere conto della enorme promessa della democrazia [di affidare addirittura a un “più uno” della maggioranza di turno la parola finale. Chiunque sia quest’uno in più.] Ma soprattutto nei governi locali le primarie hanno deciso e dirimono in misura crescente contese un tempo nelle mani esclusive dei capi corrente.”

Il primo strappo nel 2004: lei e Prodi per la prima volta chiedeste alle tante “ditte” dell’Unione un voto popolare: la resistenza fu dura?
“Un braccio di ferro che durò più di un anno da quando [nell’estate a Padova per la prima volta] ponemmo la questione che aveva al centro più che la designazione di Prodi, [in quel momento] in qualche modo scontata, il riconoscimento del principio della scelta da parte dei cittadini. Ripeto. Da parte dei cittadini. Una rivoluzione.[Basta riandare con la memoria alla sua investitura nel 1995 da parte dei partiti. Se ne accorsero nel gennaio 2005 con l’imprevista vittoria di Vendola alle primarie per la Presidenza della Puglia. Troppo presto per non provare a frenare. Troppo tardi per tornare indietro.]”

Mai avuto sospetto che talora il numero dei partecipanti sia stato gonfiato?
“È un’idea che a qualcuno può venire. O gonfiando gli elettori o direttamente i numeri. Ma ci si fa male. Molto più semplice, manipolare più o meno d’accordo tra tutti, tessere ed elezioni nelle conte interne ai partiti. Anche da questo punto di vista le elezioni aperte rappresentano un salto di qualità.”

 

[Come renderle più credibili?
“Rispettando le regole che si dichiarano e facendole nel tempo giusto.”]

 

Quale sarà la partecipazione “giusta” per queste primarie?
“Diffido dei plebisciti più adatti alla versione propagandistica che a quella autentica. Poiché sono pensate per coinvolgere gli elettori dichiarati oltre alla tradizionale platea degli iscritti, mi basterebbe un voto in più oltre il 100% degli aderenti al partito. Basti pensare che negli ultimi congressi dei grandi partiti i votanti non andavano oltre il 40%.”

 

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REPUBBLICA Bologna

 

Colloquio del 1 marzo con Silvia Bignami pubblicato il 2.3.2019 p.3

 

[tra parentesi quadra alcuni passaggi poi omessi nella versione finale a stampa].

 

“Un passaggio cruciale per risalire dall’astensione”

Il padre nobile delle consultazioni dem e la sfida ai seggi di domani “Il crollo dell’affluenza alle ultime regionali va sanato”

 

“Queste primarie rappresentano un passaggio cruciale per rimetterci in cammino in vista delle sfide future”. In primis quella contro il centrodestra leghista alle regionali d’autunno, “quando il Pd dovrà recuperare prima di tutto la voragine di astensione” che cinque anni fa fece precipitare l’affluenza al 37%. Papà delle primarie, ex ministro della Difesa con Romano Prodi ed ex Direttore di Mulino e Cattaneo, Arturo Parisi chiede di votare “per far vivere la democrazia”, e sdrammatizza le tensioni sulle regole del partito, con la civica prodiana Amelia Frascaroli ammessa al voto solo se si dichiarerà disponibile a entrare nel gruppo Pd in Comune. “È comprensibile – sottolinea Parisi – chiedere che un elettore si impegni pubblicamente a riconoscersi nel partito”.

 

Parisi, siamo alla vigilia delle primarie e Bologna è da sempre campionessa di partecipazione: sarà così anche questa volta? Perchè secondo lei bisogna andare a votare?
“Più che per certificare la sopravvivenza del partito e alimentare la speranza di una alternativa, il voto di domani è un contributo a far vivere la democrazia di tutti. Tra le quattro principali formazioni politiche il Pd è l’unica che corrisponde all’idea di un partito nazionale. Le altre tre comparabili o non sono partiti, o non hanno ancora dimostrato di essere dei partiti nazionali. Senza i partiti la democrazia vivrebbe solo ogni cinque anni.Senza i partiti nazionali la società politica già troppo frammentata esploderebbe in mille pezzi. Un partito che come il Pd si chiama democratico e nient’altro è caricato di un impegno ulteriore: praticare al suo interno le regole che propone all’esterno per tutti. Un esempio e al contempo una sfida [sapendo che è sotto gli occhi di tutti].”

A Bologna aveva annunciato di voler votare ai gazebo anche l’ex Assessora Frascaroli, eletta in Comune in una lista civica alleata al Pd. Il Partito dice che per votare deve aderire al gruppo del Pd in Comune. Non è chiedere troppo?
“Sarebbe certo così se queste fossero in senso proprio primarie per la scelta del candidato dell’intera coalizione di centrosinistra in elezioni secondarie che designano il premier. Come accade con Prodi nel 2005 in vista delle politiche del 2006. Queste sono invece uno strumento offerto agli elettori del Pd per partecipare alla elezione diretta della massima carica del partito. Una scelta un tempo e altrove riservata ai soli iscritti. Come potrebbe riconoscere il segretario che risultasse eletto, un elettore che, almeno per il futuro, non si impegnasse pubblicamente a riconoscersi nel partito?”

Lei è considerato il padre delle primarie. Andrà a votare?
“Certo, come sempre.”

Per chi?
“Se dichiarassi il voto, tutta questa intervista sarebbe letta a partire da questa risposta.”

Le primarie possono dare al Pd la spinta per ripartire? In autunno in Emilia Romagna ci saranno le regionali e la Lega cresce anche da noi. [Pensa che per allora il Pd possa risalire la china]?
“La prima china che in regione dobbiamo risalire è dalla voragine della partecipazione nella quale, prima e più che altrove, siamo sprofondati nel 2014. Una tragedia sulla quale, non abbiamo ancora iniziato a riflettere. Direi che il voto di domani è un passaggio cruciale per rimettersi in cammino. Una occasione preziosa per ristabilire il contatto con gli elettori, e poi uno strumento per misurare la strada che ci separa dalla sfida finale dell’anno: quella al centrodestra a trazione leghista.”

Il politologo Piero Ignazi, in una recente intervista su Repubblica Bologna, ha definito le primarie uno strumento “che non funziona più come un tempo” Come gli risponde?
“Basta capirsi. Se il voto non è altro che un rito, inteso come una cerimonia tra tante, per legittimare decisioni già prese, è difficile non concordare. Quanto alla sostanza le confesso che oltre che sulle primarie avrei dei dubbi anche sulla democrazia in generale. Soprattutto se guardo agli esiti che la democrazia va producendo in giro per il mondo. [Per tenermi lontano dal nostro Paese: da Trump alla Brexit]. Ma poi con Churchill concludo che la democrazia è il peggior sistema del mondo: all’infuori di tutti gli altri.”

Non teme un effetto Renzi sul voto? L’ex Segretario a Bologna ha fatto il pieno per il suo libro, e si dice che a lui converrebbe un’affluenza bassa…
“Non credo sia così. [Come gli ho sentito dire] Renzi prenderà parte al voto. In fila davanti al suo circolo, come ognuno di noi.”