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2 Aprile 2015

ARTURO PARISI, COLLOQUIO CON LO STRATEGA DELL’ULIVO. LA DITTA E’ MORTA E LA POST-DITTA STENTA A NASCERE
di Mario Lavia, L’Huffington Post

La Ditta è morta e la post-Ditta stenta a nascere. Parafrasando Gramsci, il Pd si trova esattamente in questa terra di nessuno nella quale tessere, sezioni, apparati appaiono reliquie del passato pur sopravvivendo (e malgrado le difficoltà c’è un tessuto che resiste). Ma al loro posto non è stato sostituito niente. Col risultato che sul mitico territorio, cioè in un paese chiamato Italia, può capitare che ognuno faccia più o meno come gli pare (citazione di Corrado Guzzanti, ma lui parlava della Casa delle libertà): e dunque accade che nella carne del partito si infiltri con facilità qualche estraneo, ora di Forza Italia, ora addirittura la camorra, ora si corrompa bellamente e via dicendo. Certamente esagera l’Espresso che spara in copertina “Pd, un partito da buttare”: però forse è venuto il tempo in cui Renzi un occhio ce lo butti. In cui s’inventi qualcosa. Una post-Ditta che funzioni. Perché la sola immagine del leader non basta.

Al Nazareno ci stanno lavorando. Il rapporto di Fabrizio Barca sul Pd romano ha dato la scossa. Il commissariamento con Orfini, l’uomo forte del partito, indica una precisa volontà del “centro” del Pd di mettere le mani nel partito reale. Ci sono due commissioni specifiche sulla riforma del partito. Il problema però va oltre l’emergenza ed è chiaro che Renzi non ha costruito, nella sua testa e quindi nella realtà , un modello nuovo di partito.

Che fare? Arturo Parisi, stratega dell’Ulivo e gran conoscitore della scienza politica, ci aiuta a capire: “Bisogna darsi regole che consentano la competizione come emulazione e impediscano il reciproco imbroglio dipendente dal soccorso nero della corruzione. Ma innanzitutto rispettare le regole che ci siamo dati. È un dovere che il Pd ha nel suo interesse e a causa della crisi ben più grave che attraversa gli altri partiti nell’interesse di tutta la democrazia italiana”.

Il problema è che finora Renzi non ci ha lavorato per niente… “Non credo che il segretario del partito possa disinteressarsene né ho motivo di pensare che non se ne renda conto. Certo, considerato che il cosiddetto congresso si è ormai risolto nella conta che decide della scelta sulla guida del partito, da qualche parte bisognerà pure discuterne in modo impegnativo. È arrivato il momento che il partito si conceda un momento di riflessione per approfondire la consapevolezza del cammino fatto in questi otto anni di vita, e della sua profonda diversità rispetto alle formazioni politiche che sotto lo stesso nome di ‘partito’ lo hanno preceduto”, dice l’ex ministro. E insiste: “Sì, senza questo chiarimento rischiamo di sopravvivere in una terra di nessuno divisi tra la nostalgia di qualcosa che non esiste più da troppo tempo e l’attesa di qualcosa che ancora non ha iniziato ad esistere”.

Il punto della forma-partito rappresenta uno dei punti deboli del “racconto” renziano. Storicamente, tutti i leader hanno messo in campo una specifica idea di partito, lui no. “Mi consenta innanzitutto di dissentire da questa sua ultima affermazione – interrompe Parisi – perché dei quattro dirigenti che prima di Renzi hanno ricoperto la carica di segretario del Pd solo Veltroni si è fatto carico di svolgere compiutamente una sua propria idea di partito. E non a caso. La fase costituente affidata alla sua segreteria chiedeva infatti a quello che fu il primo segretario di dare conto della novità del Pd come partito. E anche lui pur riprendendo e intestando al nuovo partito il progetto maggioritario che nella stagione dell’Ulivo era riferito alla coalizione svolse l’idea della democrazia competitiva introdotta nel 1993 dalla nuova regola maggioritaria solo a metà. Chiaramente e coerentemente competitivo all’esterno il partito a vocazione maggioritaria di Veltroni restava infatti al suo interno un partito consociativo. Nata da un accordo sostanzialmente unitario tra le componenti preesistenti la segreteria di Veltroni fu condizionata dalla idea della necessità della unità interna anche nella sua breve esistenza. E a causa del logoramento di questa unità successivamente ebbe termine…”.

E Renzi invece? “La segreteria Renzi è invece nata e vissuta da una logica compiutamente competitiva all’interno e all’esterno. E all’interno come all’esterno riferita innanzitutto agli elettori prima ancora che agli iscritti. Almeno finora. Ho intravisto anche io nelle dichiarazioni alle quali lei faceva riferimento un ripensamento, la tentazione di risolvere le contraddizioni presenti nel disegno del partito fin dall’inizio invertendo il cammino che con tanto impeto Renzi aveva finora percorso”.

In effetti il premier-segretario recentemente ha cambiato un po’ registro anche se non è chiaro dove andrà a parare. Dice Parisi: “Al posto di un modello ispirato ad una unica logica sembra delinearsene ispirato a due logiche diverse, una per le vicende interne di partito ed una per le vicende istituzionali. Non solo. Ma un simile dualismo sembra delinearsi anche per le scelte nazionali rispetto a quelle locali. Il risultato è quello di una situazione nella quale convivono figure caricate contemporaneamente di responsabilità di partito e istituzionali come il segretario-premier, con figure titolari solo di cariche di partito o solo istituzionali, come capita da una parte per sindaci e presidenti di regione, e dall’altra per i segretari regionali e provinciali. Ognuna legittimata da una base elettorale distinta e diversa dall’altra. È vero che questo è anche figlio delle contraddizioni e sfasature del nostro sistema istituzionale. Ma proprio per questo richiede una ricomposizione e una sintesi nuova”.

Pensare solo all’ambito nazionale ricorda un po’ Craxi. Anche lui si disinteressava di cosa succedeva nel Psi a livello territoriale. E infatti i socialisti localmente facevano quello che gli pareva, nel bene e soprattutto nel male. Ma si è visto, alla lunga, che questo non lo ha aiutato. “Giusto. Giustissimo. È un rischio reale. Non credo tuttavia che sia risolvibile con il coinvolgimento personale del segretario nazionale in tutte le vicende locali. In un sistema competitivo è bene che il confronto tra le proposte e la gara per il consenso riconosca l’autonomia delle singole situazioni e la distinzione tra le diverse responsabilità”.

Sono giorni in cui si moltiplicano brutte storie, infiltrazioni, trasformismi. Il “renzismo locale” spesso non somiglia affatto al suo modello nazionale. Il Pd locale spesso è una copia della peggiore Italia. “Concordo. Tuttavia con una aggiunta non secondaria. Sento infatti nelle sue parole un ottimismo infondato o almeno eccessivo. L’idea che la competizione politica possa degenerare a causa di infiltrazioni esterne di potentati e cosche – spiega Parisi – presuppone infatti un partito migliore della società che lo circonda, un partito vittima e soggetto passivo di iniziative altrui. La verità è invece che queste incursioni sono il più delle volte sollecitate dall’interno da gruppi che per poter prevalere nella competizione interna fanno appello a sostegni, risorse inconfessate, e ad alleanze esterne inconfessabili. Ma questa è una storia ormai antica di decenni, ben precedente alle vicende odierne. Una storia di gare non a chi ha più tesserati ma a chi ha più tessere, una gara di congressi finti o a tavolino, una gara tra messe in scena di eventi collettivi da parte di comparse a pagamento, o della rappresentazione mediatica di manifestazioni inconsistenti se non addirittura inesistenti”.

Non è che era meglio la Ditta? Parisi sospira: “L’idea della Ditta sopravvive in molti, come nostalgia e come speranza. Con l’irruzione di un leader che grazie alle prime vere primarie ha una legittimazione diversa e non è riconducibile ad una qualche forma di cooptazione è finita anche l’idea della vecchia Ditta. All’idea del partito come divinità antropomorfica destinataria di affetti, quella comunità che si diceva ‘venisse da lontano e andasse lontano’ si va sostituendo quella di una società, di un luogo dove una pluralità di soggetti competono fra di loro sulla base di un patto e di una regola condivisa. Prima lo si riconosce è meglio è”. Ciao, Ditta. Ma poi?