Cari amici di Liberta’eguale
fatemi innanzitutto esordire con un apprezzamento per il vostro lavoro, per la continuita’, la passione e la ragione che avete messo in questi dodici anni di assemblee.
Non e’ una nota di cortesia verso tutti voi e in particolare verso Claudio Petruccioli che ancora una volta ho ascoltato dalla pagina scritta e verso Enrico Morando che con amicizia ha insistito perche’ oggi fossi con voi. E’ il riconoscimento di una colpevole assenza. Nonostante la simpatia personale, la vicinanza culturale, e la comunanza politica che mi lega a voi, scopro che, pur seguendo da sempre il vostro lavoro, ho lasciato passare dodici anni prima di farmi vivo testimoniando il mio apprezzamento con la mia diretta presenza.
L’apprezzamento verso il vostro impegno mi aiuta ad entrare immediatamente nel tema di questi giorni, di queste ore accalorate e tese per dire con profonda convinzione che senza il confronto tra democrazia non ha senso, senza il confronto la democrazia e’ morta. Norberto Bobbio lo disse una volta per sempre con la nitidezza e semplicita’ che gli era propria. Democrazia e’ trattare in pubblico le cose pubbliche.
Dobbiamo ripeterlo a chi in questi giorni difronte al dibattito che va aprendosi pubblicamente nel partito ha detto l’opposto. Non mi riferisco a chi ha sostenuto che la riproposizione di Veltroni e di quanti hanno condiviso il suo punto di vista sono per il Cavaliere un pacco dono. Penso innanzitutto alle reazioni che hanno indotto nei giorni precedenti il gruppo dei dirigenti, vicini alla segreteria del partito, che con allegria si sono stati chiamati “i giovani turchi” a soprassedere sulla loro iniziativa rinviandola ad un tempo migliore. Prima che nel caso del documento di Veltroni e’ stato infatti innanzitutto a proposito della iniziativa, che le preoccupazioni per gli effetti di un dibattito pubblico sulle cose del partito hanno fatto sentire la loro voce, anche se non con eguale ostilita’. Non e’ questo il momento per entrare nel merito di quel documento dal quale mi sembra di sentirmi lontano nell’impianto piu’ che nei singoli punti. Possiamo tuttavia dire che la sua censura o anche una semplice sordina su di esso priverebbe tutti di un contributo prezioso al confronto e alla chiarezza.
No. Fatemelo ripetere. Non puo’ essere questa la nostra concezione di democrazia. Non e’ la democrazia dei caminetti quella che per la quale ci siamo uniti, la democrazia di cartello pensata per nascondere le alternative e impedire la liberta’ di scelta nei momenti pubblici della democrazia. E neppure e’ la democrazia delle riunioni che si concludono con i voti plebiscitari, con le mozioni approvate per applauso. E ancor meno quella che privando il pubblico della scena spinge i mass media a vivere di retroscena.
Con la scusa di non favorire l’avversario il dibattito interno dovrebbe essere sospeso e quindi bandito stabilmente dalla vita dei partiti, oppure tenuto nascosto limitandosi ai calci sotto il tavolo. “Taci il nemico ti ascolta!” e’ un imperativo delle dittature e dei tempi di guerra.
E’ per questo che quando sentiamo nelle piazze montare con tono imperioso il girdo “unita’! unita’!” dobbiamo preoccuparci piu’ che difronte ad ogni alto grido. E ancor piu’ quando sento tra la gente della mia Bologna, i “compagni di base” dirci “chiudetevi in una stanza, litigate, fate pure a botte ma non fatevi sentire, quando avrete trovato un accordo uscite e diteci cosa dobbiamo fare.”
Senza il superamento di questa cultura tutti i nostri discorsi dalla democrazia competitiva, e decidente, alle primarie e’ priva di senso.
Se una colpa c’e’ e’ semmai quella di aver aperto il confronto troppo tardi. Sono tre anni che andiamo avanti a forza di conte sulle persone e reticenze sulle scelte politiche. Se tre anni fa Veltroni avesse proposto ai cittadini delle chiare alternative tra le quali scegliere avrebbe certamente avuto molti meno voti alle primarie, ma il 14 ottobre invece di sapere che aveva vinto avremmo saputo anche su quale linea. Avremmo saputo ad esempio se D’Alema che, non ha mai condiviso le nostre ragioni, le aveva fatte veramente sue.
Invece, per prudenza, gentilezza e abitudine alla solidarieta’ Walter ha preferito vincere col sostegno di tutto il corpo dirigente del suo partito. Lo spirito del Lingotto e’ uno slogan e una linea che e’ cresciuto nel tempo solo dopo la vittoria. Se fosse stata proposta nitidamente prima forse molti dirigenti, avrebbero fatto sentire prima con piu’ forza la loro avversione, e l’avrebbero resa manifesta con una candidatura alternativa fin dall’inizio.
E cosi’ abbiamo continuato durante tutti questi anni che abbiamo consumato in primarie all’italiana e in congressi all’americana. Nonostante la scelta dell’aggettivo democratico come unico principio di identita’ del nostro partito poca e’ la traccia riconoscibile nella nostra pratica della concezione di democrazia di Bobbio. Troppo spesso delle cose pubbliche abbiamo parlato in privato. E quando ne abbiamo parlato in pubblico ha prevalso troppo spesso l’impressione di essere mossi esclusivamente da pulsioni personali, fossero esse ambizioni, paure, calcoli di carriera. Risultato: o conformismo e unanimismo, o liti e prevaricazioni.
Non possiamo percio’ meravigliarci se difronte al dibattito che finalmente manifesta con liberta’ il comune disagio del suo superamento ci troviamo difronte ad espressioni piu’ o meno sincere di “desolazione” “stupore” “sconcerto” per quello che in democrazia dovrebbe essere invece la regola, e a definire come liti quello che in democrazia dovrebbe essere il confronto.
Se un confronto viene ancora confuso con una lite e’ perche’ la quantita’ delle conte viene confusa con la qualita’ delle posizioni.
E tuttavia qua siamo e qua dobbiamo saltare, per ricominciare ogni anno e ogni giorno a camminare.
Ecco perche’ dobbiamo ringraziare chi come oggi Veltroni ci invita a parlarci con parole di verita’, e chi come Claudio Petruccioli invita alla chiarezza nelle scelte.
Verita’ e chiarezza ci impone tuttavia di riconoscere che il nostro progetto e’ a rischio.
E’ a rischio a livello di sistema, e’ a rischio a livello di parte.
E’ a rischio il sistema.
La recente vicenda della divisione interna al centro destra con la rottura tra Berlusconi e Fini ha in particolare messo definitivamente in evidenza che la torsione bipartitica, la forzatura semplificatrice impressa dalla nostra stessa iniziativa in occasione delle ultime elezioni politiche, dopo aver raggiunto il suo massimo, ha attivato una dinamica della quale non possiamo definire l’evoluzione e, soprattutto, escludere un esito regressivo
L’interdipendenza stretta che in in un sistema bipolare esiste tra i due poli fa sí che le dinamiche interne ad una parte si riflettano nell’altra.
Cosi’ come nel 2008 la forzatura del processo unitario del centrosinistra ha prodotto una identica forzatura nel centrodestra, le tensioni e la frammentazione attuale del centrodestra e’ destinata ad alimentare una tensione equivalente e possibili frammentazioni nel centrosinistra.
Cosi’ come il di piu’ di democrazia del centrosinistra ha incoraggiato ieri l’insofferenza contro il dispotismo nel centrodestra, ora la rivolta nel Pdl contro l’egemonia berlusconiana e’ destinata a produrre una eguale rivolta contro le egemonie interne al centrosinistra.
Come Fini denuncia il fallimento di un Pdl ridotto a poco piu’ di Forza Italia, e’ comprensibile che altri possano denunciare eguali fallimenti di un Pd che appare a troppi solo una nuova fase di una storia passata.
La scelta di Fini di rifiutare ogni tentazione centrista e di condurre invece la sua battaglia per la legalita’ e la democrazia del centrodestra nel rispetto del bipolarismo e quindi della sua appartenenza al centrodestra, puo’ fare della sua battaglia non solo un contributo al rinnovamento e all’avanzamento della democrazia e della legalita’ nel centrodestra, ma una spinta e una sfida perche’ lo stesso accada nel centrosinistra.
E questa sarebbe l’evoluzione progressivo perche’ svolta in modo compatibile con lo schema di una democrazia competitiva bipolare.
Ma il fallimento del tentativo di Fini lo potrebbe spingere in direzione opposta ad alimentare ulteriormente la dinamica scompositiva all’interno del centrodestra e poi la sua fuoriuscita da esso prima verso opzioni solitarie poi verso aggregazioni centriste.
Nel frattempo la stessa incertezza di prospettive spinge Fini a sviluppare una linea di opposizione “alla guida del centrodestra” facilmente confondibile con “una opposizione al centrodestra”, nonostante la permanenza nella coalizione di maggioranza.
Dal momento in cui, come abbiamo visto in questi mesi e a Mirabello, Fini si impadronisce di gran parte delle nostre parole e le porta nel centrodestra, dobbiamo interrogarci sulle parole che ci restano.
E chiederci. Possiamo noi consentire a Fini di salvarsi con le parole, e ancor piu’ con parole di altri e per lui nuove, senza chiedergli conto dei fatti?: dei fatti che in questi quindici anni ha finora condiviso e consentito, e dai fatti che d’ora innanzi consentira’?
E’ per questo che dobbiamo incalzarlo e assieme a lui tutta la maggioranza fino alle fine.
Se Fini passa dalle parole ai fatti e’ finita la maggioranza.
Se gli consentiamo di fermarsi alle parole siamo finiti noi, e assieme a noi la dialettica maggioranza opposizione e quindi il bipolarismo.
E’ per questo che nell’immediato ci attendono scelte importanti nelle quali ognuno rendera’ manifesta la sua concezione politica, e noi la nostra.
Sia il documento Veltroni che quello dei Giovani Turchi esordisono denunciando il rilievo epocale della crisi del Berlusconismo.
Io non sono sicuro che la crisi sia gia’ cosi’ avanzata e se abbia un rilievo epocale. E’ vero tuttavia che da mesi assistiamo a lacerazioni della maggioranza di inaudita violenza. Ma come ci assistiamo? L’impressione e’ che piu’ he da attori lo facciamo da analisti e da spettatori, non come soggetto politico in grado di influenzarne l’esito.
Possiamo accettare che difronte alla crisi del berlusconismo il Pd attenda da 46 giorni da spettatore che Berlusconi le provi tutte, con le lusinghe e con le minaccie, fino a trovare a questa crisi un termine e una soluzione.
Piu’ che la riduzione del nostro seguito al 25% il rischio e’ che assieme alla funzione di governo il partito possa perdere la funzione di opposizione, mentre, da Bossi a Fini il centrodestra fa contemporaneamente governo e opposizione. Che cosa aspettiamo a chiedere finalmente conto in parlamento con una formale mozione di sfiducia chi sta con Berlusconi e chi contro?
O aspettiamo che Berlusconi decida i modi e i tempi trasformando definitamente la crisi della maggioranza nella crisi della democrazia?
Per quanto tempo gli italiani dovranno continuare ad assistere alla campagna acquisti, e alle aggressioni a mezzo stampa, prima che che un appello nominale chiarisca definitivamente in parlamento chi e’ stato intimidito e chi comprato?
Tutti proclamiamo la centralità del parlamento ma non abbiamo assunto alcuna iniziativa che costringa il governo a rispondere in parlamento della propria crisi.
Perchè aspettiamo Berlusconi e non agiamo con gli strumenti che il regolamento della Camera mette a nostra disposizione? Come non vedere la confusione nella quale si trova il paese? Che non si sappia se il governo c’è o non c’è? Se ha o non ha una maggioranza? Se è sostenuto oppure no dai parlamentari eletti nelle liste della destra? Se invece vi sia qualcuno eletto nelle liste dell’opposizione che abbia cambiato campo e casacca? Vogliamo che questo spettacolo si trascini acconciandoci a presentare come un successo nostro un parlamento delle mezze misure e delle manovre confuse? Noi abbiamo una responsabilità verso i nostri elettori e verso il parlamento: fare chiarezza.
E c’è un modo per fare chiarezza: presentare una mozione di sfiducia al Governo. In modo che tutti siano costretti a fermarsi un momento e ad interrogarsi, rispondendo sì o no, senza equivoci e senza commedie. La mozione di sfiducia è per se stesso un atto impegnativo tanto che il regolamento richiede le firme del 10% dei deputati. Penso che il Pd dovrebbe assumere una iniziativa in questo senso e raccogliere intorno ad essa tutti coloro che all’opposizione vogliono la caduta di Berlusconi. E’ una iniziativa dovrebbe essere dell’intero Pd. Per questo vi chiedo e chiedo a Walter e a tutti voi di associarvi a questa proposta rivolgendo al Segretario un formale invito ad agire in questo senso.
Noi, e tutto il partito con noi, dichiara di essere guidato da una concezione competitiva della democrazia. Questo e’ il momento di darne la prova, e’ il momento di praticare la politica che abbiamo predicato.
Al di la’ di ogni strategia sta il dovere di rappresentare le domande che a noi si rivolgono e che abbiamo noi stesso alimentate. Come facciamo a non renderci conto che, a furia di parlare di governi di transizione e di emergenza , di governi di liberazione dal tiranno, cresce il numero di persone che ci prende sul serio?
I piu’, si allontanano dalla politica verso l’astensionismo. Lo abbiamo detto, ma messo subito da parte, in occasione delle ultime elezioni amministrative, che hanno registrato tassi impressionanti. Basti per tutti la provincia di Cagliari. Non capisco come si possa paventare che il maggioritario attribuisca la vittoria anche a coalizioni con meno del 40% quando gia’ oggi molti governi hanno alle loro spalle meno del 30% degli elettori.
Accanto a quelli che si allontanano e covano la loro ostilita’ accumulando un gas che qualsiasi detonatore potrebbe far esplodere da un momento all’altro, sta poi l’estremismo. Lo
abbiamo gia’ visto nei risultati elettorali e nei comportamenti perfino nelle feste organizzate dal partito.
Ecco perche’ e’ urgente riportare la politica nelle istituzioni, prima che ne esca definitivamente e si rivolti contro di esse.
QUESTO A LIVELLO DI SISTEMA. CHE DIRE DEL RISCHIO CHE IL NOSTRO PROGETTO FALLISCA A LIVELLO DI PARTE?
La proposizione che dobbiamo mettere alla prova e’ a questo riguardo la nostra pretesa e la nostra speranza di dar vita ad un partito nuovo. Si’ perche’ in questo ritardo e in questa incapacita’ sta il nostro fallimento.
Noi sappiamo da sempre che se noi ci proponiamo, continuiamo a proporci come la politica, come la politica del passato, come la difesa orgogliosa del passato, come la continuazione del passato, sia quello di un solo partito o di una somma di essi, la nostra partita’ prima che persa e’ impossibile. E’ questa appunto e’ stata la convinzione che e’ all’origine del Pd.
Possiamo dire che su questa strada abbiamo fatto dei passi in avanti? O tutto ci dice di un inarrestabile cammino all’indietro? In Italia come in Europa, al Centro come in Periferia. Nei nomi, nelle forme organizzative, nelle strutture, nei riti, nella immagine che di noi diamo all’esterno e sulla quale chiediamo il consenso dei nuovi elettori.
Qualche giorno fa abbiamo visto in Tv Berlusconi rispondere ad Atreju ad un giovane che gli chiedeva cosa fosse il Pdl.
Innanzitutto un popolo ha risposto, non un partito, e, poi, il popolo di tutti quelli che non sono di sinistra.
Pensate che questa risposta non abbia nel nostro nporesente alcun fondamento? Pensate che fin quando ha fondamento nel presente possiamo noi avere un futuro? Almeno potessimo noi dire: noi siamo il popolo di tutti quelli che non sono di destra. Ma e’ una proposta della quale noi stessi ci siamo privati con la illlusione di riscattare la sinistra dal proprio passato mentre dal suo passato liberavamo la destra.
Questa estate, difronte alla burocratica comunicazione che il partito avrebbe celebrato assieme ai Ds il 46.mo anniversario della morte di Togliatti, ho chiesto inutilmente a Bersani il perche’. Perche’ l’anniversario annuale di Togliatti e non quello di Spinelli, di Salvemini, di Lussu, e neppure quello di Gramsci?
Inutilmente, Sono ancora in attesa della risposta.
La risposta mi e’ arrivata l’altro ieri. Ma da Castagnetti e Marini.
CASTAGNETTI E MARINI CONVOCANO RIUNIONE EX PPI
Pensavo che il Ppi si fosse sciolto nel 2002 per consentire la nascita della Margherita, cosi’ come poi la Margherita per dar vita al Pd.
A quando una riunione pubblica dei Ds?
E’ per questo che mi farebbe piacere sentire da Fioroni che ha promosso un documento con Veltroni dal quale mi sento interpellato, se e perche’ partecipare alla riunione dei Popolari del Pd.
Intervento di
Parisi a Orvieto al convegno di Libertà Eguale