Se è vero che «marciando divisi» si prendono più voti, il centrosinistra dovrà pur dare rappresentanza anche agli elettori che non vogliono ricadere nella ripartizione tra un centro moderato, cattolico, post-democristiano (di cui Marini, Rutellli e De Mita sarebbero gli interpreti autentici), una sinistra ex-comunista e una sinistra post-comunista radicale. Se è vero che per prendere più voti il centrosinistra deve essere in grado, almeno per la quota proporzionale, di dare rappresentanza a tutte le sue vecchie identità perché mai dovrebbe sacrificare l’unica identità veramente nuova che la transizione politica italiana sia riuscita a inventare?
La Margherita di oggi è il frutto di una impaziente e tenace volontà di dare al centrosinistra un solido baricentro riformista, di ricucire, rimarginare e archiviare fratture ormai anacronistiche che hanno attraversato la storia politica del nostro paese e che sopravvivono in larga misura per le persistenti convenienze e l’indolenza intellettuale di pezzi del ceto politico.
Questo è stato possibile perché quella parte di società italiana che è disposta a votare per il centrosinistra è molto cambiata rispetto all’immagine che certi pezzi del ceto politico preferiscono darne. Quella parte della società italiana non è o non è tutta riconducibile alle ripartizioni di convenienza che la vogliono articolata in un centro moderato, cattolico, post-democristiano (di cui Marini, De Mita e Rutelli sarebbero gli interpreti autentici), una sinistra ex-comunista e una sinistra post-comunista radicale. È invece assai probabile, molti dati sembrano confermarlo, ci sia un numero consistente di elettori che non hanno nessuna intenzione di essere ricondotti a questo schema. Appartengono quasi certamente a questa specie gli elettori che in passato hanno votato per i Democratici o quei non pochi elettori che spesso votano per l’Ulivo senza segnare la scheda proporzionale, o anche quegli elettori che negli ultimi anni si sono rapidamente spostati tra Margherita e Ds ogni volta apprezzando il grado relativo di «ulivismo» di queste due formazioni. Ma vi appartengono di sicuro anche molti elettori che hanno votato per la prima volta per la Margherita negli ultimi due anni e moltissimi tra quelli che negli ultimi anni si sono astenuti.
Se quindi il centrosinistra dovesse prendere la strada in cui De Mita, Marini e Rutelli vogliono portarlo, del «marciare divisi», assumendo che così si prendono più voti, occorrerà dare rappresentanza anche a quella specie di elettori che, a giudicare dalle reazioni degli stessi militanti della Margherita alle tesi centriste, è tutt’altro che in via di estinzione.
Ma se esiste una componente «ulivista» nell’elettorato italiano, quanto è grande? Quanta parte dell’elettorato del centrosinistra copre? Per il momento l’unico modo che abbiamo per averne un’idea è quello di tornare indietro nel tempo all’ultima elezione nella quale le due linee (quella ulivista e quella centrista) si erano presentate con liste distinte. La tabella che segue riporta quella che potremmo chiamare la «misura minima dell’ulivismo», e cioè la quota di voti (fatti 100 il totale dei voti andati a partiti oggi aderenti all’Unione) che ottennero i Democratici e lo Sdi nelle ultime elezioni in cui hanno presentato liste proprie, confrontata con la quota di voti di Popolari e Udeur (a cui è aggiunta la Lista Dini solo perché in vari casi si era presentata insieme al Ppi, all’Udeur o a entrambi), con quelli presi dai Ds e dagli «altri» (Verdi, Rifondazione, Pdci). Partendo da questi dati, il peso dell’identità ulivista (senz’altri aggettivi) è stimabile in non meno di un quinto dell’elettorato del centrosinistra.
Qualcuno potrebbe obiettare che oggi la Margherita è, nella sua grande maggioranza, solidamente in linea con la svolta centrista voluta da Marini, Rutelli e De Mita, e che quindi i dati di cinque anni fa non sono più una buona misura. È certamente vero se stiamo parlando dei componenti dell’Assemblea federale, ma che ne pensano gli elettori?All’interrogativo hanno già dato una prima risposta i dati di un sondaggio condotto dell’ISPO tra l’11 e il 12 maggio e basato su un campione di 1600 casi. Il sondaggio dice che il 55% degli elettori del centrosinistra, contrariamente a quanto deciso da De Mita, Rutelli e Marini, è favorevole alla lista unica. Anche tra gli elettori della Margherita i favorevoli alla lista unica sono la maggioranza: il 49%, contro un 44% di contrari. Se è vero che per prendere più voti il centrosinistra deve essere in grado, almeno per la quota proporzionale, di dare rappresentanza a tutte le sue vecchie identità perché mai dovrebbe sacrificare l’unica identità veramente nuova che la transizione politica italiana sia riuscita a inventare?