Tra il primo e il secondo turno delle primarie del PD, la più intelligente e autorevole rivista del cattolicesimo progressista italiano, “Il Regno“, ha preso posizione a sostegno di Matteo Renzi.
Lo ha fatto con un editoriale del suo direttore, Gianfranco Brunelli, analista politico cresciuto alla scuola del professor Arturo Parisi, con il quale condivide una fede fortissima nel modello competitivo bipolare.
Nella parte finale della sua nota – che è in stampa sul prossimo numero della rivista – Brunelli liquida come senza sostanza e senza futuro ciò che si agita al centro dello schieramento, anche sulla scia del raduno di Todi:
“La terza repubblica, evocata nelle intenzioni di un neo-movimento (’Verso la Terza Repubblica’ appunto) che raccoglie forze eterogenee, da Montezemolo al segretario della CISL Bonanni, al fondatore della Comunità di Sant’Egidio Riccardi, al presidente delle ACLI Olivero, non sembra ancora nata.
“Una piccola formazione di moderati neocentristi, di per sé, non risulta in grado di inverarla. Il nuovo movimento pare rappresentare una delle forme della crisi in atto, piuttosto che la definizione di un nuovo progetto politico. Ad esempio, la partecipazione di Bonanni in quanto segretario della CISL alla nuova formazione finisce per affondare definitivamente ogni ipotesi di autonomia del sindacato, vero manifesto dell’identità della CISL e sua funzione storica.
“In ogni caso, il nuovo movimento si pensa come forza neocentrista e antibipolare, che auspica il ritorno al proporzionale per poter rimanere in campo anche con un numero non eclatante di voti (i sondaggi gli accreditano un 4-5%); vede in Monti l’unico protagonista di riferimento per il governo della prossima legislatura; esprime, complessivamente, posizioni prossime se non sostanzialmente identiche a quelle dell’UDC di Casini”.
Dopo di che Brunelli volta pagina e si dedica a ciò che accade nelle due grandi aree politiche di sinistra e di destra.
Del PDL “che fu di Berlusconi” scrive che “si trova oggi in una situazione drammatica, bloccato, anzi tenuto prigioniero, dal suo stesso fondatore-presidente”. Impossibilitato a produrre “una leadership vera di tutto il centro-destra da contrapporre al centro-sinistra alle prossime elezioni”.
In casa PD, invece, Brunelli vede “giorni felici”. E la sua analisi occupa tutta la parte finale del lungo editoriale.
A Pierluigi Bersani il direttore de “Il Regno” rende l’onore delle armi. Ma è chiaramente a Renzi che vanno le sue preferenze.
Ecco come argomenta il tutto:
“La prova delle primarie imposta da Renzi, ma – occorre dirlo – accettata e salvaguardata da Bersani, di fronte all’intero gruppo dirigente del partito che non la voleva, ha ridato una qualche legittimazione al partito e recuperato alla partecipazione una quota di elettori di centro-sinistra. Tre milioni di partecipanti non sono molti in sé, ma moltissimi se si pensa da dove si ripartiva.
“Ma è l’esito del primo turno che ha reso verosimili e utili le primarie del PD, anche in mancanza di una legge elettorale coerente al modello delle primarie. Il combinato disposto tra la mancata vittoria di Bersani (45%) al primo turno e il risultato di Renzi (36%) mette capo a un confronto effettivo e nuovo dentro il PD e nel centro-sinistra. Alle primarie del 25 novembre si sono scontrate due visioni della politica, del centro-sinistra e del PD.
“Il segretario Bersani rappresenta l’ultimo tentativo di rinnovamento nella conservazione di una nomenclatura (composta da ex PCI e da ex Popolari) e di una forma partito (sostanzialmente erede del PCI) che ha perduto la sfida della riforma del paese dopo il 1989. Egli ha una visione socialdemocratica della politica e un approccio pragmatico da un punto di vista amministrativo. È un leader credibile: ha una personalità autentica. Le primarie e lo scontro con Renzi lo hanno rafforzato rispetto al gruppo dirigente e a D’Alema in particolare. Anzi, le resistenze scomposte alle primarie hanno di per sé contribuito a mettere fuorigioco una parte del vecchio gruppo dirigente (da Veltroni alla Bindi).
“Tuttavia, la sua vittoria condiziona non poco la definizione politica e la figura della coalizione di centro-sinistra. L’appoggio inevitabile di Vendola e la necessità di tenere unito il sindacato di riferimento (la CGIL) lo costringono nella vecchia figura politica del ‘progressismo’. La sua vittoria ne rafforza la leadership, ma ne segna e ne determina politicamente la linea. Ed è una linea di ieri: andare uniti alle elezioni come fronte progressista e allearsi dopo con il centro di Casini.
“Molto dipenderà dalla legge elettorale. Al PD sarebbe convenuto il ritorno alla legge Mattarella, non avendo voluto affrontare per tempo una riforma seria sul modello semipresidenzialista piuttosto che un ‘porcellum’ qualsiasi, questo o un altro che sia. Ma come è accaduto per le primarie, il gruppo dirigente del PD ha sempre puntato sulla conservazione del partito in quanto partito, aggregando gli alleati di turno, e non è stato in grado di inserire il proprio legittimo interesse in quello del paese.
“Il sindaco Renzi è una figura nuova. È di formazione cattolica, ma non è riconducibile a nessuna delle due storie: né a quella comunista, né a quella democristiana. È il prodotto politico dell’elezione diretta dei sindaci. Di qui gli deriva la forza non velleitaria di sfidare nella nomenclatura del partito la forma stessa del partito e provare a superarla dall’interno. I risultati conseguiti nelle cosiddette zone rosse confermano che egli ha misurato una necessità reale e oggi condivisa dallo stesso elettorato di centro-sinistra. È di una generazione più giovane, ed è mosso da un vitalismo nuovo.
“Quanto sia in grado di indicare una linea politica all’altezza dei problemi del paese rimane ancora un’incognita. Non è detto che lo sia. Ma ha percorso con forza la strada che ha intrapreso, ha avuto coraggio e determinazione, mostrando doti di leadership. Un leader nascente, contemporaneo, non calante. Rimane aperto l’interrogativo sul disegno complessivo, che sembra ispirato più al modello democratico americano che a quello socialdemocratico tedesco.
“Non sappiamo se e come verrà impostata e risolta la crisi aperta da Renzi nel PD. Sappiamo del rischio che alle prossime politiche il confronto – complice la legge elettorale – sia tra il vecchio e il vuoto”.