Ora che il simpatico e democratico Mastella ricorre agli ispettori ministeriali, contro i magistrati, con la stessa disinvoltura con cui se ne serviva il rozzo leghista Castelli, sarà interessante analizzare la reazione dei giornalisti che crocifiggevano (a ragione) quest’ultimo. Anche perché il ministro Guardasigilli non ha agito intempestivamente, ma chiamato a gran voce proprio da tanti uomini dell’informazione.
C’è un antefatto, un paio di giorni fa. Per capirci, occorre raccontarlo. Questo giornale non ha parlato, mercoledì, di «tentativo di ricatto» ai danni del portavoce del governo Silvio Sircana che si sarebbe accostato con la macchina a un transessuale in strada. Non lo ha fatto perché l’episodio non trovava riscontro nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che si occupa di Vallettopoli, dov’è nascosto sotto una marea di «omissis». E, soprattutto, perché il ricatto non risultava: e infatti non è mai esistito, se non al livello di intenzione, nelle chiacchiere di due trafficoni di basso conio (uno dei quali per di più ha successivamente smentito).
È stata una scelta di rigore informativo, condivisa da tutti i quotidiani del Paese, salvo il Giornale. È stata una scelta che rifaremmo, anche se è stata compiuta tra molti dubbi, perché è difficile per un giornalista rinunciare a fornire informazioni ai lettori. La rendevano, a nostro avviso, giusta e necessaria alcune considerazioni: si trattava di un fatto del tutto privato, un breve percorso in macchina sulla via dei trans, conclusosi con qualche battuta a finestrino abbassato. Faccenda del tutto personale, penalmente e politicamente irrilevante, al più disdicevole sul piano del costume.
La bufera esplosa il giorno dopo nei palazzi del potere romano non ci ha sorpreso. Ogniqualvolta un politico grande o piccolo viene colpito, la classe degli onorevoli esprime una sua ovvia solidarietà: a ogni pubblicazione di intercettazioni, registrazioni o atti giudiziari che coinvolgono parlamentari i partiti reagiscono all’unisono, scatenandosi contro l’informazione-spazzatura della quale si servono peraltro senza ritegno. Ma proprio la moltiplicazione, in larga parte ipocrita, delle invettive contro la «gogna mediatica» e «l’imbarbarimento dell’informazione» ci induce a farci qualche domanda sul nostro mestiere e sui suoi rapporti con i poteri (che sono sempre forti).
Lasciamo da parte la persona di Sircana, uomo perbene (e che continuerei a considerare allo stesso modo anche se venisse provato che, una sera, ha ceduto a una tentazione). Siamo del tutto sicuri che il suo ruolo sia stato estraneo alla valutazione fatta dalla quasi totalità dei giornali italiani e che nella scelta non siano entrati rapporti di conoscenza, di frequentazione, di alleanza, in qualche caso di amicizia? Non siamo colpiti dal moltiplicarsi delle solidarietà che lo riguardano, mentre nessuno si fa scrupolo per il trattamento riservato alle starlette da cinquemila euro a serata? Qual è la linea di demarcazione tra ciò che va pubblicato e ciò che si deve o si può tacere?
A sottolineare le diverse misure che la politica riserva ai suoi sodali e ai cittadini normali si rischia di scivolare nel moralismo più banale. Ma è difficile non rimanere colpiti dalla corsa affannosa di molti giornalisti verso il cappio a cui appendersi. Ieri era tutto un affannarsi a chiedere al ministro della Giustizia Mastella (o a chi per lui, purché qualcuno provvedesse) norme più restrittive sull’informazione. Pubblicazioni in tutti i sensi minori si sono spese per conto terzi contro Belpietro, il direttore del Giornale. Toccherà a lui liberarsi, se lo vorrà e se ci riuscirà, dall’ombra di una bieca operazione politica. Ma qualcuno è arrivato a scrivere: «Speriamo che non abbia mai rubato una merendina all’asilo, fatto l’occhiolino a una ragazza (poverina), gonfiato le ricevute di un taxi. Che la sua famiglia e i suoi figli siano immacolati, angelici, nulla di meno che trasparenti».
Non manca nemmeno, in questo clima un po’ preoccupante, un tocco di ridicolo: mentre Mastella affrettava i suoi ispettori, anche il Garante per la privacy si allineava, facendo la sua parte. E vietava «con effetto immediato» di diffondere notizie quando «si riferiscano a fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico… attengano a particolari della vita privata delle persone diffusi in violazione della tutela della loro sfera sessuale». Ma l’interesse pubblico chi lo valuta? Il Garante, un giornalista di regime o un messo di Palazzo Chigi?