Cari amici,
è questa la nostra terza riunione del nostro massimo organo, quello che è per altri il Congresso Nazionale.
La terza in tre mesi.
Questo dato da solo basta a ricordarci un elemento essenziale, che dobbiamo tenere presente: pur essendo un Movimento giovane, siamo chiamati a vivere con rapidità di iniziativa e tempestività di decisione.
Questa lunga transizione italiana, così carica di speranze ma anche di travagli, costringe tutti, partiti, forze politiche, forze sociali, a interrogarsi continuamente sulla direzione di marcia che si sta seguendo e impone a tutti, e prima di tutto alle forze politiche che hanno iscritti nella loro stessa ragion d’essere l’obiettivo del cambiamento e della modernizzazione del Paese, uno sforzo eccezionale di determinazione e di coerenza.
Non sempre questo avviene.
Nell’arco dei quasi dieci anni trascorsi da quando il nostro travaglio nazionale è iniziato, molte cose sono accadute sulla scena politica, istituzionale e sociale del nostro Paese.
L’Italia è cambiata profondamente. Il Paese si è modernizzato e rinnovato. La società italiana è maturata ed è cresciuta. Nuovi rapporti sociali ed economici si sono sviluppati. Nelle nostre comunità territoriali nuove forze si sono sviluppate e nuovi dinamismi hanno segnalato le capacità di reggere la sfida della competizione mondiale ai più alti livelli. Altre parti del Paese sono state meno capaci di cogliere le nuove opportunità e spesso nuove forme di separazione e di differenziazione fra le diverse parti del Paese hanno preso piede. Gli stessi rapporti fra i singoli, i gruppi, le classi sono cambiati. Il nostro ruolo nel mondo e nell’Europa è cambiato e si è rafforzato ma anche per questo nuove responsabilità e nuovi vincoli caratterizzano oggi l’orizzonte nel quale il nostro Paese opera.
Tutto questo è avvenuto mentre il nostro sistema politico e il nostro sistema istituzionale hanno dovuto affrontare una crisi profondissima nell’ambito della quale essi sono stati chiamati ad essere allo stesso tempo soggetto e oggetto di innovazione e di cambiamento.
Le forze politiche italiane sono state per una certa fase, coi loro comportamenti, coi loro ritardi, con le loro cattive abitudini, fattore di freno e di ritardo. Le istituzioni italiane sono state, e in larga misura sono ancora, inadeguate a guidare il cambiamento necessario. Le nostre culture politiche, attardate sui moduli della guerra fredda quando la guerra fredda era ormai finita, sono state inadeguate a offrire punti di riferimento sicuri.
Questo, cari amici, è a grandissime linee lo scenario che ha caratterizzato e caratterizza ancora il periodo storico nel quale noi siamo nati e rispetto al quale noi dobbiamo confrontare la misura e la ragione del nostro agire.
In questo scenario la estrema giovinezza del nostro Movimento non deve trarre in inganno.
Noi siamo nati solo poco più di un anno fa, ma la nostra nascita stessa ha costituito e costituisce tuttora l’approdo di un cammino più lungo, che ci ha portato ad essere insieme e a decidere di unirci per unire, in una prospettiva che ha nel nostro progetto per il futuro, le ragioni stesse della sua esistenza.
Noi siamo tutti, ciascuno a proprio modo e secondo il proprio itinerario personale, protagonisti e figli di questa grande stagione di transizione e cambiamento.
L’Ulivo, che costituisce per noi il punto di riferimento della nostra azione, ha rappresentato non solo una stagione esaltante ma anche la dimostrazione che era ed è possibile nel nostro Paese unire le forze migliori del riformismo italiano intorno a un progetto comune e condiviso, e raccogliere su questo progetto non solo il consenso degli elettori ma anche la fiducia dei cittadini.
Quando ricordiamo l’esperienza compiuta dal governo Prodi per portare l’Italia in Europa ricordiamo solo la stagione più alta dell’Ulivo ma anche un momento eccezionale di unità di intenti degli italiani intorno a un obiettivo comune, condiviso. Una unità di intenti che ha coinvolto anche chi non ci aveva votato ma capiva l’altezza storica e morale del nostro impegno e soprattutto capiva che noi, l’Ulivo, eravamo stati finalmente capaci di mettere l’interesse generale del Paese al di sopra delle strategie delle singole forze politiche e dei partiti, dei gruppi, delle fazioni che pure costituiscono un aspetto non eliminabile e persino vitale di un Paese moderno.
Questa è stata per noi la stagione dell’Ulivo. Un’unione di culture e di tradizioni, cementata da un programma comune, da un leader, da un voto popolare, ma legittimata soprattutto dalla capacità di far coincidere il proprio orizzonte di azione con l’orizzonte stesso del futuro del Paese.
Noi, cari amici, lo voglio ricordare, abbiamo deciso di metterci insieme e di far nascere questo nostro Movimento, quando quell’esperienza è sembrata essere rimessa in discussione nella sua ispirazione di fondo e nelle sue motivazioni più profonde.
Noi siamo nati quando abbiamo, con ragione, temuto che altri pensassero possibile far seguire alla stagione esaltante dell’Ulivo una nuova stagione, altrettanto attenta, forse, ai bisogni del Paese e alle ragioni del riformismo italiano, ma tutta piegata sulla difesa e tutela delle differenze, delle identità, delle specificità proprie di ciascuno.
Noi abbiamo fondato allora questo nostro Movimento. Lo abbiamo fondato in un momento preciso e per ragioni precise. Un momento temporalmente non lontano ma politicamente oggi lontanissimo.
Un momento nel quale, lo ripeto, abbiano con ragione temuto non già che i governi del centrosinistra non potessero portare avanti il grande progetto di riforme iniziato insieme presentandoci insieme agli elettori nel 96 ma che tutti gli sforzi che potessero essere compiuti rischiassero inevitabilmente di essere dominati dalla perdita di quello spirito di unità e di comune tensione che aveva caratterizzato l’Ulivo.
Per questo abbiamo assunto come motto la frase “uniti per unire”. Volevamo dire con quella frase che l’unione delle migliori tradizioni del riformismo italiano non era e non poteva essere un “accidente” della storia, una fase, pur bella ed esaltante, di un’azione politica destinata poi a svilupparsi lungo altre vie e secondo altri metodi.
Volevamo dire, in una parola, che l’unione delle migliori tradizioni del riformismo italiano era l’elemento essenziale per dare al Paese una speranza nuova: quella che fosse stato finalmente trovato il passaggio stretto attraverso il quale la transizione italiana potesse giungere finalmente al termine. Il passaggio stretto attraverso il quale finalmente una nuova cultura politica potesse riuscire a promuovere anche lo sviluppo di un analogo processo di modernizzazione anche nel campo dell’opposizione e potesse dunque creare le condizioni vere per la modernizzazione delle nostre istituzioni, delle nostre prassi politiche e amministrative, del nostro costume pubblico. Il passaggio stretto, infine, attraverso il quale finalmente anche la lunghissima transizione italiana potesse vedere un termine.
Questo dunque è stato ed è il Movimento dei Democratici.
Un Movimento che è sorto dentro la tradizione del nuovo riformismo italiano, che non ha mai avuto dubbi sulla propria collocazione, che ha sostenuto con lealtà i governi del centrosinistra spesso apprezzandone anche le realizzazione ma che non si è mai stancato di ripetere che la via intrapresa dopo la caduta del governo Prodi e il repentino abbandono, nei fatti e nelle anime, della stagione dell’Ulivo era una follia e un errore gravissimo, portatore di sciagura non solo per le forze con noi alleate ma anche per la stessa opposizione e per il Paese.
Un Movimento che ha così profondamente iscritto nella propria ragion d’essere la ricerca di una nuova forte stagione di unità del riformismo italiano da dichiarare fin dall’origine di considerarsi strutturalmente transitorio e tutto orientato al raggiungimento di un obiettivo che avrebbe segnato la ragione stessa del suo medesimo scioglimento.
In questo quadro, con questi obiettivi, in questo complesso scenario noi abbiamo dato vita a questo nostro Movimento e il nostro Movimento è figlio, sotto ogni profilo, di questo complesso quadro. Così come tutta l’azione politica che noi abbiamo svolto in questi mesi deve essere valutata e capita tenendo presenti le cose e i problemi che ho richiamato.
Valutando la nostra vicenda umana e politica di questi quattordici mesi della nostra esistenza in questo contesto noi possiamo avere, io credo, buoni motivi per essere convinti della bontà delle nostre intuizioni e dell’utilità della nostra azione.
In quattordici mesi noi abbiamo partecipato a due prove elettorali generali e parecchie elezioni locali, talune anche, al di là degli stessi candidati in gioco, di grandissima importanza per la nostra esperienza collettiva.
In quattordici mesi abbiamo affrontato due crisi di governo e abbiamo dato con onestà e impegno il nostro contributo allo sforzo di dare al Paese esecutivi che fossero, nelle condizioni di volta in volta presenti, la risposta migliore alle esigenze del Paese e alla prospettiva politica nella quale ci collochiamo.
In quattordici mesi, infine, abbiamo costruito un Movimento nuovo non solo per il fatto di essere una nuova struttura organizzativa ma anche per il fatto di essere il primo vero e concreto esempio di creazione di un soggetto politico capace di riunire in sé, in forma permanente e dentro un’unica cornice organizzativa e politica, tradizioni fra loro diverse e storie politiche e personali provenienti da esperienze e itinerari differenti.
Abbiamo soprattutto impedito che si chiudesse definitivamente la prospettiva di una democrazia bipolare e venisse meno ogni possibilità di rilancio del progetto dell’Ulivo.
Dei tre obiettivi che ci proponemmo all’indomani del 13 giugno, due possiamo considerali conseguiti: coincidenza stabile tra maggioranza di governo e coalizione con la condivisione da parte di tutte le componenti della accettazione del bipolarismo e della stabile collocazione nel campo del centrosinistra.
Quanto al terzo obiettivo, la costruzione di un soggetto unitario a partire da cessioni di sovranità da parte dei partiti il cammino è invece appena iniziato.
Oggi a pochi giorni da elezioni regionali che hanno segnalato senza alcun dubbio il grande disagio politico del Paese e la difficoltà enorme di uno schieramento riformatore tutto ripiegato su sé stesso e sulla ricerca continua di equilibri interni, nella stessa settimana in cui si è conclusa la quarta crisi di governo di una legislatura che ha da poche settimane compiuto il suo quarto anno di vita, noi siamo chiamati a ragionare insieme sul cammino percorso, sui risultati raggiunti, sulle prospettive della nostra azione.
E’ questo il tema di questa riunione. Un tema che ci è imposto dalla vicenda politica nella quale noi, come tutto il Paese, siamo immersi, e che dobbiamo affrontare con la lucidità e la capacità di chi sa che è dentro un processo difficile, segnato, come dicevo all’inizio da una transizione che sembra infinita, e caratterizzato dalla crescente disaffezione di un elettorato che sembra dimostrare sempre di più sfiducia nella politica e perdita di speranza in un avvenire collettivo comunemente e democraticamente costruito.
Guardandomi intorno, mi sento un poco, consentitemi di dirlo, come chi, nel corso di un lungo cammino, scalata una montagna impervia e raggiunta con fatica la cima, si sieda un attimo a riposare e guardandosi alle spalle si senta serenamente sollevato per il raggiungimento della cima, ma allo stesso tempo, guardando avanti veda ancora una lunga e difficile discesa verso una pianura sterminata e sappia che deve subito alzarsi di nuovo in piedi, riprendere il cammino, proseguire il viaggio perché la meta non è ancora raggiunta.
Questo è il mio sentimento amici. Questo è, credo, il sentimento della maggioranza di voi. Nessuno più di noi, che siamo nati dentro questa lunga transizione e che abbiamo intrapreso con convinzione e con passione un lungo cammino per poter portare noi e il nostro Paese dentro la modernità compiuta, nessuno più di noi, dicevo, sente oggi il peso dello sforzo compiuto e avverte allo stesso tempo quanto ancora deve essere fatto per giungere alla meta.
Di più. Seduto con voi sulla cima della montagna che insieme abbiamo scalato, guardando davanti a me e intorno a me, io vedo come voi, cari amici, che il cammino da compiere è ancora lungo ma il tempo a nostra disposizione è breve.
Noi, noi democratici, noi riformisti, noi tutti, gli italiani, non abbiamo più molto tempo davanti a noi per poter giungere al termine della nostra transizione e trovare finalmente la serenità di una moderna democrazia matura e compiuta.
Il nostro tempo infatti è segnato non solo dalla brevità del tempo che questa legislatura ha a disposizione. E’ segnato molto di più dall’urgenza di affrontare e sciogliere nodi importanti che la nostra stessa partecipazione all’Europa ci impone di sciogliere. E’ segnato infine, e molto di più, dalla stessa disaffezione dei nostri elettori e dall’inquietante degenerazione che le nostre incertezze e i nostri errori hanno indubbiamente concorso a determinare nello stesso schieramento di opposizione.
La miglior prova di quanto noi avessimo ragione quando segnalavamo che abbandonare le prospettive di un Ulivo coeso e determinato poteva far arretrare non solo la nostra esperienza ma quella di tutto il sistema politico italiano la abbiamo purtroppo avuta quando abbiamo dovuto registrare che l’opposizione, pur di vincere, era disposta a stipulare alleanze innaturali fra movimenti e forze politiche diverse e contrapposte. Questa opposizione, grazie a questa innaturale e pericolosa alleanza ha vinto le elezioni ma ha anche aperto la via a un nuovo scenario di difficoltà e di crisi del sistema politico italiano, dimostrando così anch’essa e per la sua parte che, nella attuale situazione del Paese, se si pone al centro dell’azione politica la pura e semplice vittoria elettorale, perseguita con qualunque mezzo e a qualunque condizione, non si va avanti ma si accresce e si accelera invece il degrado del sistema politico, si incentiva la disaffezione degli elettori, si aggrava la difficoltà di governo del sistema italiano a tutti i livelli.
Ma torniamo a noi, e all’analisi che dobbiamo compiere.
Guardiamo dunque per un attimo dietro a noi, cari amici, e misuriamo insieme il cammino percorso.
Sul piano politico generale, innanzitutto.
Noi abbiamo dato atto più volte e volentieri lo faccio oggi ancora una volta, che l’esperienza complessiva svolta dai governi che si sono succeduti in questa legislatura è stata non solo positiva e di alto profilo ma anche profondamente coerente e sostanzialmente ispirata al programma che costituì nel 96 il comune riferimento dell’Ulivo.
Ma proprio per questo la nostra analisi si dimostra, mi pare, ancora più giusta, e le nostre preoccupazioni ancora più fondate.
Se vi è stata, come vi è stata, continuità programmatica; se vi è stata, come vi è stata, capacità di governo e di realizzazioni; se vi è stata, come vi è stata, determinazione nel perseguire gli obiettivi indicati, dove sta allora l’origine della crisi?
La nostra risposta è ovvia, nota, ripetuta molte volte. Perché si è pensato possibile rinunciare a essere un unico soggetto politico di governo, ancorché un soggetto “plurale” come si dice con brutta espressione gergale. Perché si è pensato di poter sostituire a una maggioranza fondata sul senso di appartenenza a un unico soggetto e a un unico progetto una coalizione concepita come pura alleanza fra partiti che hanno, contingentemente, i medesimi obiettivi di governo.
A chi ci dice oggi che i voti che l’Ulivo ebbe nel 96 non sono di più di quelli che tutti i partiti della coalizione di centro sinistra hanno ricevuto oggi, volendo con questo significare forse che il preteso valore aggiunto dell’Ulivo non vi sarebbe mai stato, noi rispondiamo che, questo fenomeno, inspiegabile agli occhi di chi lo ha anche di recente sottolineato, trova la sua spiegazione più logica proprio nel fatto che si è nel frattempo abbandonata la prospettiva con la quale ci si era presentati agli elettori, con ciò stesso rinunciando alla possibilità di raccogliere i frutti per le cose realizzate. Come si può chiedere agli elettori di giudicare dai risultati, pur positivi, raggiunti, forze politiche che esse stesse hanno cambiato nel tempo caratteristiche e modo di presentassi agli elettori?
Ancora, ed ancor più importante. Se i medesimi voti che quattro anni fa fecero vincere, oggi non sono bastati a non perdere, questo è certo dovuto anche al nuovo modo col quale l’opposizione si è presentata agli elettori. Un modo che ha visto insieme forze politiche fra loro incompatibili, legate unicamente e dichiaratamente solo dalla volontà di battere la coalizione avversaria prima ancora che di ottenere consensi su un proprio, peraltro inesistente e comunque non dichiarato progetto comune. Ma se questa oggettiva degenerazione della politica è stata possibile ciò non è dovuto forse in parte importante anche a chi ha pensato di poter sostituire senza problemi un soggetto unitario con un cartello; un progetto con un insieme di provvedimenti; una prospettiva lunga di cambiamento culturale e politico con una aggregazione di corto respiro fondata solo se convenienze elettorali?
Di qui dunque dobbiamo ripartire. Dalla ridefinizione e dall’aggiornamento di un progetto comune e condiviso, che abbia a suo fondamento primo la volontà di superare le differenze e di unire insieme le diverse tradizioni. Un progetto che non può essere la mera ripetizione di quello del 96, perché il tempo è passato, l’Italia è cambiata, il mondo è diverso, ma che deve avere la stessa convinta determinazione di quello di allora.
A questa impresa noi ci dedicheremo con determinazione come mai abbiamo cessato di fare in questi mesi.
Noi democratici abbiano infatti la ambizione di essere, come abbiamo sempre detto, il lievito del progetto che vogliamo costruire con gli altri. Rinunciamo ad essere un partito come gli altri perché abbiamo un’ambizione più alta: quella di essere, per la nostra parte, il motore del cambiamento e dell’innovazione del riformismo italiano.
Su questa strada continueremo dunque con determinazione ancora maggiore.
Oggi tuttavia, proprio perché è il momento della riflessione e del bilancio del cammino compiuto prima di riprendere con lena la marcia, non possiamo rinunciare a riflettere a fondo anche sulla nostra propria esperienza.
Non sarebbe giusto infatti limitarsi a richiamare le nostre buone ragioni senza interrogarci anche su noi stessi e sui nostri limiti.
I risultati elettorali che abbiano registrato nelle due consultazioni generali sono da questo punto di vista elementi che dobbiamo prendere in attento esame.
Come tutti i dati elettorali essi sono variamente leggibili e interpretabili.
Alcune definizioni che si sono affermate sui giornali anche grazie al contributo attivo di esponenti del nostro stesso Movimento ci descrivono come una forza sconfitta. In effetti la misura del consenso, superiore al cinque per cento, raccolto dalle nostre liste nell’insieme delle regioni è inferiore di poco più di un punto all’unico dato correttamente comparabile. Quello raccolto in occasione delle amministrative svoltesi lo stesso giorno delle elezioni europee nella consultazione di giugno.
Poiché come avevo già osservato nell’ultima Assemblea delle regioni del 19 febbraio le caratteristiche del nostro Movimento propongono il dato amministrativo come stabilmente inferiore a quello politico questo equivale a dire che il dato da noi raccolto corrisponde in effetti al 6-6,5% che i sondaggi avevano ripetutamente registrato a nostro riguardo.
Questa misura, pur inferiore al dato politico registrato nelle europee potrebbe essere quindi considerato soddisfacente. Ancora di più se si considerano le condizioni in cui è stato raccolto: la nostra recente e ancora inadeguata presenza sul territorio; la mancanza di amministratori sperimentati che potesse costituire un punto di riferimento nella mobilitazione del consenso e soprattutto il trattamento riservatoci dalla stampa.
Ragionando quindi in una prospettiva di tipo proporzionalistico del tutto indifferente alle nostre ambizioni ed estranea al nostro orizzonte potremmo dire che l’Asinello ha superato la prova del fuoco, proponendosi come una presenza stabile sulla scena politica e non come un fenomeno effimero, legato a un’emozione del momento. Un dato la cui misura emerge con ancora più rilievo se la si compara con la vicenda della lista Bonino dissoltasi senza alcuna emozione da parte di analisti e commentatori
Tuttavia, pur rimproverato da alcuni amici a me vicini, non ho esitato un momento a considerare il dato insoddisfacente.
La mia paura è infatti che se i democratici si adagiassero con una qualche soddisfazione su questo dato rapidamente diventeremmo anche noi prigionieri della logica partitista contro la quale siamo scesi in campo.
La stessa logica che ci ha fatto perdere per strada la quota di elettorato che ci aveva votato alle europee interpretandoci come rappresentanti della logica di coalizione e della logica bipolare.
Non posso infatti tralasciare che il dato più importante che la ricostruzione dei flussi mette a nostra disposizione segnala come il 30% del nostro elettorato politico di giugno ci ha abbandonati per votare il solo candidato presidente, riconoscendo in questa scelte il senso più profondo della nostra stessa proposta.
Nel ricostruire l’origine del nostro ridimensionamento elettorale a questo punto non posso non sottolineare qui i danni profondi recati all’immagine del nostro Movimento un costume riprovevole che non ha eguali in nessuna delle altre formazioni politiche. Mi riferisco all’abitudine di portare immediatamente all’esterno, in forma esasperata, qualsiasi dissenso di per sé legittimo che si manifesti al nostro interno.
Già da subito dopo le elezioni europee, quando cominciammo a muovere i primi passi impegnandoci in una delicata e contrastata azione politica in seno alla coalizione, e poi in modo più accentuato dall’inizio della fase costituente, noi abbiamo dovuto registrare uno stillicidio continuo di dichiarazioni e interviste tese a delegittimare l’azione degli organi dirigenti, a esasperare i contrasti, ad accreditare l’immagine di una formazione rissosa e priva di una linea condivisa.
Questo può essere imputato talvolta a leggerezza, a vanità, a smania di protagonismo. Sono tratti comunque riprovevoli in chi aspira ad essere parte del ceto dirigente del Movimento. Altre volte, però, è difficile sottrarsi all’impressione che si sia trattato di una intenzionale azione di sabotaggio finalizzata a danneggiare profondamente la percezione pubblica del nostro Movimento, mirando ad una sua penalizzazione elettorale e ad accrescere le difficoltà di attuazione del progetto politico, come modo per colpire chi lo guida.
Non occorre particolare acume politico per comprendere che l’attenzione riservata dai media al nostro Movimento, tanto scarsa da rasentare l’ostracismo e l’oscuramento ogni volta che ci siamo impegnati in iniziative che avrebbero meritato una qualche eco, e tanto ampia ogni qual volta è stato possibile presentarci nella luce peggiore esasperando i nostri contrasti, ha rispecchiato un diffuso interesse del sistema politico-mediatico a ucciderci, rappresentando noi comunque un elemento di profonda turbativa degli equilibri consolidati.
Eppure tanti, troppi esponenti maggiori e minori del Movimento non hanno compreso che l’attenzione di per sé gratificante a loro prestata dai media era in effetti diretta ad una strumentalizzazione delle loro posizioni, espresse in dichiarazioni e interviste senza un minimo di considerazione delle ricadute generalmente negative sull’immagine pubblica e la capacità di azione del Movimento.
Altri invece, come ho detto, questo lo hanno capito benissimo e si sono serviti spregiudicatamente di organi di informazione ostili al Movimento e pronti perciò a dare ampio risalto a tutto ciò che accreditasse un’immagine profondamente lacerata e inconcludente.
In questa situazione è semplicemente straordinario che alla nostra prima prova elettorale successiva alle europee, avvenuta su un terreno già di per sé difficile per un Movimento con le caratteristiche del nostro, noi abbiamo raccolto il 5 per cento dei voti. E francamente non mi sorprende affatto che, tra quanti ad urne appena chiuse si sono affrettati a deprezzare pubblicamente il risultato conseguito, si ritrovino alcuni dei maggiori protagonisti della costante azione di sabotaggio del nostro Movimento attuata a mezzo stampa.
Concludendo sulla valutazione del dato elettorale, quello che certamente possiamo dire è che questi dati, dimostrano che noi non siamo affatto, coma talvolta qualcuno cerca di affermare, una presenza puramente intellettuale che ha trovato spazio nella vita politica italiana proprio grazie alla transizione. Dicono invece che con noi ci sono milioni di cittadini che ci votano e si riconoscono in noi.
Questo risultato è importante per tutti i riformisti italiani perché dice che davvero la via di unirsi per unire e di ricercare sintesi forti e capaci di superare le divisioni in nome di un più alto e comune progetto riscuote consenso e fiducia nei cittadini.
E’ questa del resto la ragione politica che spiega il perché, dopo entrambe le prove elettorali, noi abbiamo potuto e dovuto svolgere un ruolo importante nelle crisi di governo che si sono verificate in questi mesi.
Credo giusto riconoscere che noi abbiamo svolto, sia durante la formazione del secondo governo D’Alema che durante la formazione dell’attuale governo Amato, un ruolo importante.
In entrambe le crisi noi abbiamo seguito un medesimo orientamento che si può riassumere in tre punti.
Il primo, rafforzare comunque la logica di coalizione, operando all’interno dello schieramento di centrosinistra e assumendo a criterio di scelta gli interessi del Paese e non la nostra convenienza di parte. Per questo ci siamo assunti anche responsabilità dirette impegnando esponenti del nostro Movimento in settori di rilievo.
Le motivazioni che ci hanno guidato nella formazione del secondo Governo D’Alema sono le stesse che ci hanno spinto a sostenere con nostro voto e la nostra presenza il Governo Amato.
Anche in questo caso noi, per rispetto dello spirito di coalizione e per la necessità di rispettarne le regole fondamentali, abbiamo accettato un’indicazione che non avevamo fatto e che avremmo preferita diversa, per ragioni che abbiamo spiegato più volte negli incontri di coalizione.
Anche in questo caso, poi, abbiamo privilegiato il bene e l’interesse del Paese e per questo abbiamo considerato essenziale evitare uno scioglimento anticipato della legislatura che avrebbe bloccato i referendum , avrebbe pregiudicato, in una fase delicatissima, il raggiungimento dei risultati del processo riformatore realizzato in questa legislatura e avrebbe infine rischiato di consegnare il Paese a uno schieramento politico confuso e contraddittorio nei programmi, nelle prospettive e nella stessa etica politica sulla quale ha fondato la sua alleanza.
Non si può negare che in entrambe le crisi di governo e particolarmente nell’ultima abbiamo dovuto registrare difficoltà non piccole anche al nostro interno e che abbiamo pagato prezzi alti, con la perdita di amici ai quali continuiamo comunque a guardare con rispetto nonostante la loro dissociazione dal nostro progetto dalla coalizione di maggioranza e dal nostro Movimento e la loro scelta di votare con le opposizioni, una dissociazione della quale abbiamo dovuto prendere atto.
Le nostre decisioni sono sempre state adottate dagli organi dirigenti legittimamente preposti alla guida del Movimento: nel caso specifico l’Esecutivo allargato ai Capigruppo parlamentari avendo acquisito previamente l’orientamento dei gruppi parlamentari. Come è stato dimostrato anche nei comportamenti la linea seguita è stata condivisa dalla quasi totalità dei parlamentari.
Non possiamo negare che anche noi, come spesso accade nella vita e specialmente nella vita politica, possiamo aver detto o fatto cose sbagliate per raggiungere un obiettivo giusto così come certamente non è mancato chi può aver creduto d fare cose giuste anche se per motivi e obiettivi sbagliati.
Quello che conta, però, è, io credo, aver la coscienza serena e l’animo tranquillo.
Noi abbiamo fatto cose giuste. Le scelte che abbiamo compiuto dovevano essere compiute.
La coalizione doveva essere comunque difesa e salvata proprio per poterla cambiare e costruire secondo le nostre convinzioni. I Democratici dovevano superare ed evitare ogni prospettiva di isolamento che li avrebbe collocati in una sterile posizione oggettivamente terzaforsista, compromettendone il progetto e la funzione.
Il Paese doveva avere il governo migliore possibile nelle condizioni date e noi dovevamo comunque assumerci le nostre specifiche responsabilità, proprio per poter continuare a reclamare a pieno titolo un salto forte di crescita nell’azione politica comune.
La legislatura non doveva essere sciolta e il Paese non doveva essere consegnato, per nostra colpa e inerzia, a un governo privo di un forte e serio fondamento programmatico ed etico.
Abbiamo dunque fatto cose giuste e possiamo dire serenamente, io credo, che abbiamo usato bene il mandato e la forza politica che ci è venuta da quanti si sono riconosciuti in noi e ci hanno dato il loro sostegno e il loro voto.
Non posso nascondermi che i tempi stretti e le difficoltà di comunicazione ci hanno impedito di rendere ragione ai nostri aderenti e ai nostri elettori della specificità della nostra posizione.
Dobbiamo dunque ora promuovere un largo dibattito nel Paese che spieghi il senso del nostro sostegno e della nostra partecipazione al Governo Amato, la sua specifica e circoscritta missione, la necessità di mettere a frutto il poco tempo che ci sta davanti per portare a compimento il cammino riformatore e rilanciare la coalizione.
Anche a questo fine ho intensificato il rapporto con i coordinatori regionali che nella nostra organizzazione federale rappresentano per eccellenza la base del Movimento, incontrandoli per ben due volte negli ultimi quindici giorni.
Anche in questo caso guardare al cammino percorso ci deve servire soprattutto a ritrovare la via migliore lungo la quale camminare nel futuro.
Abbiamo bisogno di un nuovo eccezionale sforzo di energie e di pensiero.
Abbiamo bisogno di costruire insieme un riformismo che liberi le energie del Paese, che sia promotore e fattore di speranza, di innovazione, di progresso.
Abbiamo bisogno di un pensiero politico concreto, da un lato, ricco di idealità e di entusiasmi, dall’altro.
Il tramonto delle ideologie dice che oggi la politica deve misurarsi sul terreno della concretezza, non certo che possa abbandonare l’attenzione per i grandi valori della persona e della società.
Proprio perché nel nostro tempo non esistono ricette ideologiche preconfezionate, il compito dei politici è più alto e più impegnato.
Spetta alla politica interpretare le attese, i bisogni, le energie presenti in una società, rispettarle, orientarle secondo un sistema di valori condiviso, rispettarle nelle loro potenzialità, favorirle nella loro creatività. Regolarle per garantire il rispetto dei valori fondamentali di tutti e la tutela dei bisogni essenziali sui quali si fonda allo stesso tempo la libertà e la dignità dell’uomo.
Abbiamo bisogno di un grande progetto di sviluppo per la prossima legislatura.
Abbiamo bisogno di un progetto capace di collegarsi virtuosamente alle grandi e moderne correnti del riformismo contemporaneo. Non è timore provinciale, quello che ci fa sempre sottolineare la necessità di guardare intorno a noi e ricercare sinergie e coerenze con quanto avviene negli altri Paesi. E’ piuttosto la convinzione profonda che oggi tutto sia intimamente legato, e più che mai siano legati fra loro i destini dei Paesi europei.
Dunque non è più tempo di programmi politici o di prospettive riformistiche legate ai singoli scenari nazionali.
E del resto proprio il superamento delle antiche ideologie di marca internazionalista obbligano oggi più che mai a essere attenti a quanto accade nei Paesi vicini a noi. Collegamenti, coerenze, scambi di esperienze una volta garantiti dalle pesanti organizzazioni politiche delle “internazionali” del novecento oggi non esistono più e comunque non possono più assolvere a una funzione positiva. Oggi occorre che ogni Paese e ogni classe dirigente sappia interpretare insieme la specificità della propria esperienza storica e il quadro generale nella quale essa si inserisce.
Ecco il perché della nostra volontà di guardare ad altri e ad altre esperienze, fino a immaginare quello che non è certo l’Ulivo mondiale inteso come un comune e identico progetto a somiglianza delle grandi ideologie del passato ma può essere ed è certamente lo sviluppo di sensibilità simili in contesti nazionali e culturali diverse.
Con questo respiro dobbiamo tornare sui grandi problemi irrisolti del caso italiano.
Problemi questi legati da un lato al mancato completamento di un coerente disegno riformatore sul piano istituzionale e dall’altro ad un troppo lento processo di riforma e di modernizzazione sul piano sociale.
Sul piano istituzionale noi restiamo pervicacemente ma motivatamente convinti della necessità di completare la transizione italiana, dando finalmente al Paese stabilità di governo e certezza che gli elettori esercitino una sovranità piena e diretta sulle scelte dei governi e dei loro programmi.
Di qui l’importanza che diamo al referendum elettorale e all’esigenza di una nuova legge elettorale e di nuove regole per le istituzioni di governo.
Sul piano del riformismo istituzionale tuttavia si affacciano oggi, anche grazie al processo riformatore compiuto in questi anni, nuovi e non meno importanti problemi.
Mi riferisco ovviamente a quelli direttamente legati all’attuazione delle grandi innovazioni che, sia sul terreno politico e istituzionale che su quello amministrativo, abbiamo introdotto nel nostro sistema regionale e locale.
Il nuovo regionalismo, che affonda le sue radici nelle modifiche costituzionali e ordinamentali già realizzate e individua il suo sviluppo nel nuovo peso che le nuove istituzioni regionali avranno anche sul piano politico complessivo, obbliga oggi a ripensare profondamente ai legami fra i diversi livelli di governo e alle modalità con le quali deve operare uno Stato che passa improvvisamente dal modello accentrato del passato al modello a forte articolazione territoriale e regionale del futuro.
Su questo piano infine non possiamo dimenticare anche le frontiere che al nuovo riformismo indica la necessità di dare finalmente al sistema Italia, diventato sempre più articolato e complesso, istituzioni di raccordo col livello europeo all’altezza dei problemi e delle esigenze poste dalla sempre più accelerata integrazione dell’Unione.
Di non minore importanza sono i problemi, nuovi e meno nuovi, che dobbiamo affrontare sul piano del riformismo sociale. Dobbiamo essere capaci di liberare energie presenti in un grande Paese come l’Italia procedendo e rafforzando il cammino già intrapreso attraverso la riduzione del peso dello Stato nell’economia e dobbiamo ora procedere alla riduzione della morsa fiscale e completare il ripensamento del nostro sistema di Welfare. Dobbiamo allargare la nostra attenzione dalla difesa esclusiva dei lavoratori occupati a quelli stabilmente disoccupati o in transito fra una occupazione e l’altra.
Come vedete, cari amici, la via che ci sta davanti è ancora lunga e faticosa.
Di qui quel senso di fatica che, come vi dicevo, mi coglie guardando al nostro immediato futuro.
Di qui anche la convinzione che proprio per questo non possiamo ora venir meno ai nostri impegni.
Questo tuttavia mi induce ad affrontare l’ultima grande questione che credo debba costituire oggi oggetto di riflessione fra di noi.
Intendo parlare ovviamente del nostro stesso Movimento, del modo col quale esso si è sviluppato, di come ha agito finora, di come deve attrezzarsi ad operare nel futuro.
Il nostro Movimento è stato caratterizzato dalla necessità, che ci ha condizionato finora, di porre un freno alla deriva della coalizione. In qualche modo siamo stati costretti ad operare politicamente più dominati dalla necessità di evitare che un processo degenerativo dello spirito e della sostanza dell’Ulivo si sviluppasse e si radicasse di nuovo nella realtà italiana che non dalla possibilità di concorrere con tutte le nostre potenzialità e capacità all’elaborazione e all’evoluzione del processo riformatore necessario al nostro Paese.
Non solo.
Noi siamo stati fortemente segnati, in questi primi mesi di vita organizzata, anche dalle circostanze esterne in cui abbiamo dovuto operare, stretti come siamo stati fra la gestione di due crisi di governo e una campagna elettorale delicata quale è stata questa che si è appena conclusa.
Tutto questo ha inciso pesantemente su tutti noi e sul nostro Movimento nel suo complesso.
Ha necessariamente rallentato il nostro stesso processo di organizzazione interna; ha costretto spesso il nostro dibattito su temi limitati e anche sicuramente angusti; ha obbligato tutti noi ad operare confrontandoci in ogni momento con la contraddizione derivante dalla necessità di vivere la provvisorietà del confronto e dello scontro politico e di cercare di costruire allo stesso tempo una nuova stabilità per la coalizione e per il Paese.
Come ricorderete nel corso del nostro processo costituente, quando dovevamo prepararci alla costituzione dei nostri organi nazionali, presentai al Movimento un documento articolato e complesso, nel quale cercai di individuare non solo i contenuti stessi che oggi ho cercato di richiamare, ma anche le linee conseguenti di organizzazione, di struttura, di prassi e di comportamenti che avrebbero dovuto caratterizzare un Movimento coerente con quegli obiettivi e con quelle indicazioni.
Quel documento resta oggi, per me come un punto di riferimento che dobbiamo ancora attuare.
Di lì dobbiamo oggi ripartire.
All’Assemblea delle regioni di Venezia, la nostra prima e fondamentale esperienza comune dopo la fine del processo costituente, io accettai la responsabilità di Presidente del nostro Movimento sottolineando due cose.
La prima: che dall’andamento stesso del dibattito avevo registrato una sostanziale condivisione da parte della larghissima maggioranza di voi delle indicazioni contenute nel documento da me presentato e dunque che consideravo esistenti le condizioni minime di sintonia e di condivisione necessarie per poter guidare il Movimento in una fase tanto difficile.
La seconda: che io accettavo quella responsabilità e quel peso fino alle elezioni regionali, riservandomi dopo di verificare insieme a voi se vi fossero ancora le condizioni per andare avanti nella nostra esperienza e per procedere sulla strada che il mio documento indicava.
Oggi è venuto il momento, cari amici, che ciascuno di noi per la sua parte torni a Venezia e da Venezia riparta.
A me tocca oggi di sciogliere la riserva fatta allora. A voi tocca di sapere quali sono le cose che io vi chiedo e mi chiedo di fare insieme affinché la nostra comune esperienza sia coerente con sé stessa e possa dare un contributo effettivo alla crescita del nostro Paese.
Due sono essenzialmente i terreni sui quali noi dobbiamo oggi impegnarci nel nostro comune lavoro nell’ambito del nostro Movimento.
Il primo terreno è quello del completamento del nostro processo costituente e dello sviluppo di una solida realtà di presenza sul territorio e nella realtà quotidiana del nostro Paese.
Noi abbiamo nel nostro patrimonio genetico l’obiettivo, che anche oggi ribadiamo, di costruire un nuovo grande e unitario soggetto politico nel quale il migliore riformismo italiano possa tutto riconoscersi, e dunque noi siamo per definizione un Movimento transitorio, che considera sé stesso come uno strumento e non certo come un fine.
E tuttavia, proprio per poter adempiere fino in fondo e nel modo migliore alla missione che noi stessi ci siano dati e che oggi dobbiamo tutti insieme ribadire, noi dobbiamo anche essere in grado di operare coerentemente su tutto il territorio italiano, assumendoci fino in fondo tanto le responsabilità che su di noi pesano per ciò che oggi siamo dentro e fuori le istituzioni nazionali e locali, quanto le responsabilità che abbiamo in virtù del progetto che vogliamo realizzare.
Occorre dunque che in tutte le realtà regionali sia completato il processo di elaborazione degli statuti regionali, cercando di individuare in ciascuna regione le modalità organizzative più adatte a interpretare le peculiarità locali e a massimizzare la nostra capacità di essere promotori del grande soggetto riformatore unitario al quale tendiamo.
Occorre che in ogni realtà ci apriamo il più possibile al confronto continuo fra di noi, senza mai escludere nessuno ma sempre mirando a includere tutti nell’elaborazione collettiva della comune azione politica.
Occorre che in ogni situazione gli organi dirigenti del Movimento operino confrontandosi con eletti e amministratori e ricerchino un rapporto continuo con i nostri aderenti e i nostri elettori.
Solo dal confronto con i problemi concreti che eletti, amministratori e cittadini affrontano ogni giorno si può superare quell’autoreferenzialità organizzativistica della quale tutti noi abbiamo in questi mesi sofferto.
Occorre che in ogni realtà noi ci assumiamo fino in fondo le nostre responsabilità di presenza nelle istituzioni, offrendo la nostra capacità di riflessione e il nostro contributo alla vita quotidiana e alla elaborazione delle strategie di fondo degli enti nei quali siamo presenti grazie alla fiducia che gli elettori ci hanno dato. Noi non dobbiamo cioè sfuggire, in nome di un più grande progetto politico da realizzare nel futuro, al confronto con la realtà, spesso difficile, del governare nell’oggi.
E’ questo il significato della nostra presenza nel Governo con amici autorevoli che sono chiamati a spendersi senza risparmio nel loro lavoro e nell’esercizio delle loro responsabilità. E’ questo il senso del modo col quale io vi chiedo di vivere la nostra esperienza individuale e collettiva nelle istituzioni.
Il lavoro stesso di costruzione del nostro comune progetto richiede poi da parte di tutti uno straordinario impegno di presenza e di elaborazione in tutte le realtà nelle quali il nostro Movimento opera.
Un obiettivo per noi qualificante da perseguire è, come andiamo dicendo da sempre, la costruzione della coalizione, sia nella sua complessità operando a favore della sua unità totale, sia promuovendo al suo interno aggregazioni più intense a partire da comuni sintonie politiche e programmatiche.
La decisione assunta dal Comitato di coalizione di procedere alla costituzione in tutte le regioni di comitati di coordinamento deve vedere i democratici in prima fila tra i promotori.
Nello stesso senso deve andare il nostro impegno per la ricerca di convergenze con le forze a noi più vicine. Questo deve avvenire nel rispetto delle specificità locali senza pretendere di seguire moduli rigidamente prefissati a livello nazionale.
Voglio infatti riconfermare in questa sede la nostra determinazione a procedere a confronti senza pregiudiziali ma tuttavia esigenti e proiettati sul futuro.
Dobbiamo superare la condizione che ci vede volta a volta tirati per la giacca da occasionali interlocutori e farci promotori attivi di confronti, convergenze, incontri.
Per evitare il rischio che questa scelta di procedere dal basso, per noi qualificante e secondo uno schema che abbiamo definito e praticato come a geometria variabile, conduca far perdere riconoscibilità alla nostra iniziativa disarticolandola sul territorio è necessaria la guida di un gruppo dirigente che promuova e alimenti continuamente il confronto, tendendosi per mano.
Nessuna presenza nazionale, per quanto impegnata e dinamica può supplire il lavoro quotidiano che occorre fare sul territorio, a contatto continuo con le molteplici e multiformi realtà del nostro Paese. E allo stesso tempo a poco servirebbero fughe in avanti, elaborazioni di progetti parziali incentrati su realtà specifiche per quanto ampie, del nostro Paese se esse non potessero poi trovare una sintesi più alta in un coerente quadro di elaborazione nazionale.
Questi sono, cari amici, i binari stretti lungo i quali corre la nostra esperienza e il nostro progetto.
Il secondo terreno di impegno, coerente con quello fin qui descritto e strettamente collegato con esso, è il terreno della nostra capacità di riflessione e di elaborazione.
Nel nuovo scenario che oggi si è aperto noi possiamo e dobbiamo procedere a una grande accelerazione dei modi stessi della nostra presenza e della nostra azione.
Se vogliamo fare il nostro dovere non possiamo certamente limitarci a ricordare sempre e ovunque la necessità di tornare allo spirito originario dell’Ulivo e di lavorare per costruire il nuovo soggetto comune del riformismo italiano.
Dobbiamo entrare dentro il merito stesso delle cose. Dobbiamo aiutare noi stessi e i nostri interlocutori a capire meglio questo nostro Paese e le comunità regionali e locali in cui operiamo.
Dobbiamo perciò attrezzarci sin da ora affinché il nostro contributo alla indispensabile elaborazione comune non si esaurisca nella preparazione di un programma cartaceo, per quanto bello esso possa essere, ma nasca da un confronto vero e continuo sulle cose reali. Un confronto che veda necessariamente presenti e coinvolti i soggetti politici con i quali vogliano procedere nella costruzione del nostro progetto ma veda anche coinvolte le persone, i gruppi, le mille realtà vive nella società del nostro Paese.
Tra il ’95 e il ‘96 i comitati prima, i Comitati per l’Italia che vogliamo e poi i Comitati per l’Ulivo consentirono agli italiani che vollero di vivere una grande esperienza di elaborazione e riflessione collettiva.
Quell’esperienza così come si svolse allora è oggi probabilmente irripetibile.
Ma è quello il punto di riferimento al quale dobbiamo guardare.
Dobbiamo dunque metterci noi stessi in condizione di essere allo stesso tempo capaci di accogliere dentro la nostra riflessione comune il più possibile di quanto di vero e di importante proviene dalle realtà nelle quali operiamo, e di essere capaci allo stesso tempo, di essere noi stessi promotori di un allargamento del dibattito e della riflessione al di là e al di fuori delle nostre stesse strutture organizzative e della nostra stessa identità di Movimento.
Intorno al confronto sulle cose, che è in un certo senso molto di più che un puro confronto sui programmi, dobbiamo verificare la nostra capacità di promuovere aggregazione e unità fra i diversi soggetti della realtà politica e la società reale che noi vogliamo rappresentare e al servizio della quale vogliamo porci.
Tutto questo significa darci una struttura organizzativa capace di individuare i temi, le occasioni, i modi di una riflessione politica quotidiana.
Credo che su questo piano sia molto importante che ciascuna realtà regionale del nostro Movimento avvii rapidamente una riflessione approfondita su quali siano le grandi questioni che caratterizzano la vita di ciascuna regione e di ciascuna comunità.
Senza pretesa di esaustività ma in riferimento alla loro concreta portata storica dobbiamo insieme individuare alcune grandi questioni.
Penso innanzitutto a quelle che hanno maggiormente affaticato e messo in scacco l’iniziativa politica della coalizione: la questione settentrionale, la questione fiscale, la questione dell’ immigrazione, la questione della sicurezza, la questione della nuova occupazione, la questione della posizione internazionale del nostro Paese.
Su queste dobbiamo concentrare la nostra riflessione e la nostra iniziativa come contributo alla crescita della coalizione.
In questa direzione l’Esecutivo nazionale ha già avviato un’esperienza attraverso la costituzione di un Comitato tecnico-scientifico che ha già iniziato a lavorare. Questa esperienza deve essere ulteriormente sviluppata coinvolgendo tutte le energie presenti nel Movimento che hanno acquisito su questi terreni una riconosciuta autorevolezza. Penso, per esempio, a Massimo Cacciari a proposito della sensibilità, anche culturale, con cui ha richiamato l’attenzione nostra e di tutta la coalizione sulla questione settentrionale; penso alla grande esperienza tecnica di Augusto Fantozzi sulla questione fiscale. Questi ed altri amici, autorevoli per capacità professionali, per cultura, per esperienza politica vissuta, si devono sentire coinvolti pienamente nella iniziativa politica del Movimento.
La stessa cosa dobbiamo fare a livello nazionale.
Ovviamente, cari amici, tutte queste aree e questi diversi temi, moltissimi dei quali credo siano importanti e vitali anche nell’ambito delle realtà regionali e locali di ciascuno, devono tutti essere inscritti dentro tre grandi parole d’ordine che devono caratterizzare il senso complessivo di marcia del nostro Movimento e del nostro progetto.
La prima parola d’ordine è: favorire l’innovazione e la modernizzazione del Paese, liberando le energie che in esso vivono e favorendo lo sviluppo, l’inventiva, la competitività fra le generazioni, fra i sistemi territoriali, fra le diverse realtà produttive.
La seconda parola d’ordine essenziale deve essere quella di assicurare sempre e comunque il massimo di rispetto e di tutela della legalità, della pacifica convivenza in un quadro di sicurezza collettiva, di una giustizia sociale moderna ed efficiente, rispetto delle necessità legate alla globalizzazione ma anche di valori fondamentali dell’uomo.
La terza parola d’ordine deve essere il completamento del processo di transizione del nostro sistema politico e istituzionale, in un quadro che abbiamo come punti di riferimento essenziali: a) la costruzione di una forte e stabile democrazia governante fondata sull’effettiva sovranità dei cittadini; b) la costruzione di un forte e dinamico sistema di governi regionali e locali, capace di dialogare con un governo centrale moderno, stabile, in grado di rispettare le diversità locali ma anche di fare sintesi dell’interesse generale del sistema Paese; c) la capacità dell’Italia di adempiere in Europa e nel mondo ai doveri che le competono per le sue tradizioni culturali, per il suo peso economico, per le sue potenzialità di sviluppo, per la sua capacità di essere interprete vera, da millenni, dei valori più profondi della persona umana.
Cari amici, ho finito.
La mia è stata una relazione lunga e in certi punti anche minuziosa.
Una relazione complessa, non facile da leggere e certo meno facile da ascoltare.
Ho voluto però che questo nostro appuntamento, in qualche modo il primo nel quale noi possiamo e dobbiamo finalmente riprendere a pieno la nostra capacità di iniziativa politica, fosse in qualche modo anche il momento in cui noi ci diamo davvero un itinerario condiviso.
Molte delle cose che ho detto sono certamente opinabili. Molte delle proposte correggibili. La stessa individuazione che io ho fatto dei problemi che dobbiamo affrontare, delle questioni sulle quali dobbiamo lavorare, delle responsabilità che dobbiamo affidare ad amici che io chiamerò a guidare queste aree e che, come tali, potranno partecipare anche ai lavori del nostro esecutivo in riferimento alle loro specifiche responsabilità, tutto questo è certo opinabile e discutibile.
Io spero però che la direzione di marcia che ho cercato di indicare sia da voi condivisa e accettata.
Questa marcia deve trovare una sua traduzione anche a livello di quella elaborazione statutaria della quale abbiamo già ravvisato la necessità.
In questa prospettiva penso come cose particolarmente urgenti la definizione delle forme della adesione, la individuazione di uno schema di riferimento per le elaborazioni statutarie regionali, e la individuazione di forme di allargamento dei nostri esecutivi che a tutti i livelli assicurino forme di coinvolgimento e di corresponsabilizzazione delle personalità più significative nell’esperienza del nostro Movimento a livello nazionale così come nelle diverse realtà regionali. Questa deve essere un’occasione importante da cogliere per far crescere ulteriormente quella unità che è stata dilacerata a causa dei limiti da tutti riconosciuti del nostro processo costituente. E soprattutto deve essere un modo per tornare a tutti i livelli a poter contare sull’impegno e il coinvolgimento di tutte le esperienze più significative che fin dall’inizio hanno partecipato all’esperienza del nostro Movimento e che, in questi mesi, pur continuando a condividere con noi il nostro progetto e il nostro impegno si sono trovati per motivi diversi non adeguatamente coinvolti.
Non possiamo continuare a parlarci fra di noi e a far parlare di noi solo sui giornali, siano le pagine delle cronache nazionali o quelle locali.
Spero che noi possiamo tutti riprendere fin da oggi il nostro cammino e che possiamo camminare insieme, a tutti i livelli del Movimento e in tutti i ruoli che ciascuno di noi è chiamato a svolgere, nella convinzione comune che la direzione di marcia è giusta.
Se così è, allora vale la pena, dopo questa sosta, di alzarci tutti insieme e di riprendere con maggiore lena il nostro cammino.