12 Gennaio 2006
Una mossa a tavolino per tenere i Ds in difesa
Autore: Massimo Franco
Fonte: Corriere della Sera
La soddisfazione era evidente; e sconfinava nel sollievo di chi riteneva di avere circoscritto il caso Unipol senza troppi danni. Ma l’unità ritrovata dei Ds contro l’«aggressione» del centrodestra è stata sconvolta dal nuovo affondo di Silvio Berlusconi.
La sua tesi è che «i Ds mentono»: al punto che il premier sta «pensando di riportare ai magistrati quanto so su quello che è accaduto nell’affare Unipol». Sono parole gravi e insieme anodine, dette ieri sera in tv durante un faccia a faccia col segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti.
Ma si intuisce a che cosa mirano: come minimo, a tenere puntati e ben accesi i riflettori su una vicenda che coinvolge il primo partito d’opposizione.
I diessini speravano di averli spenti: almeno, di avere abbassato un po’ le luci della polemica all’interno dell’Unione.
L’attacco berlusconiano, però, lascia capire che la maggioranza di governo punta ad illuminare in modo accecante ogni sospetto, fondato o virtuale, che riguardi i vertici diessini; ed a farne il più a lungo possibile il tema della campagna elettorale.
Rimane da capire che cosa il presidente del Consiglio sappia degli «incontri per convincere alcuni soci Bnl a cedere le loro quote».
Ma sembra chiaro che nell’autocritica velata fatta in questi giorni da Piero Fassino e Massimo D’Alema, Palazzo Chigi ha colto un elemento di debolezza da sfruttare.
Dopo la Direzione diessina di ieri, a prevalere era l’immagine di una forza in trincea, ma abile a far quadrato quando si trova in difficoltà; e decisa a respingere «l’aggressione» del centrodestra, trasformata nel lessico dalemiano in un’operazione di «spionaggio» contro il partito.
Alla fine, però, gli attacchi del passato recente sono apparsi quasi carezze, rispetto alle parole di Berlusconi. I Ds si ritrovano sotto assedio in modo più insidioso e clamoroso di prima.
E con Bertinotti che, dopo avere intimato al capo del governo di andare dai magistrati a dire quello che sa, ha aggiunto: per me «il capitolo Unipol non è chiuso». Un messaggio poco rassicurante, per i Ds.
Il mistero tuttora non svelato è quando il premier ha avuto la «conoscenza ulteriore» che vuole offrire alla magistratura. «Se, come dice, “sa delle cose”, perché non è già andato dai magistrati?», gli chiede maliziosamente il partito di Fassino.
«La smetta di infamare i Ds. Non si trattenga negli studi di Porta a Porta e corra in Procura». Ma «Berlusconi o chi per lui sappiano che non abbiamo nulla da temere».
Il tono è furioso verso Palazzo Chigi, che di fatto ha oscurato la riconciliazione interna diessina di ieri; e, insieme, tende a rassicurare una volta di più un elettorato di sinistra che nelle ultime settimane è già stato scosso dalle notizie sull’Unipol.
Il timore che si indovina non è solo quello di rivelazioni destinate a compromettere la credibilità della leadership.
Il presentimento è che l’attacco possa incrinare il patto di non aggressione nell’Unione; e spingere i Ds alla chiusura a riccio.
È un pericolo ben presente, additato proprio ieri davanti alla Direzione ancora prima che parlasse il premier; e non da qualche alleato infido o dagli avversari, ma dal sindaco diessino di Roma, Walter Veltroni.
«Il rischio principale che possiamo correre», ha detto, «è culturale: quello di arroccarci, di chiuderci, di pensare che la soluzione sia una campagna elettorale di tutti contro tutti».
Dopo l’uscita berlusconiana, è probabile che il rischio evocato da Veltroni possa prendere corpo.