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8 Maggio 2008

Un uomo solo al comando

Autore: Massimo Giannini
Fonte: La Repubblica

Un governo proprietario, ma «a
responsabilità limitata». Il quarto esecutivo di Silvio Berlusconi, che
ieri ha ricevuto l´incarico dal capo dello Stato, è un governo forte,
perché il «padrone» conta. E insieme anche leggero, perché i «soci»
partecipano ma non non pesano. Stavolta il Cavaliere non ci ha stupito con
effetti speciali. Non ha neanche provato a mettere insieme un «dream team».
Non ci sono i Lamberto Dini prelevati dalla Banca d´Italia (come nel 1994)
o i Renato Ruggiero precettati dal Wto (come nel 2001).
La squadra che oggi giurerà nelle mani del presidente della Repubblica è
tagliata a misura della biografia personale del premier, che dopo quindici
anni di leaderismo avventuroso ma fatalmente bellicoso, coincide ormai a
tutti gli effetti con la biografia della nazione. Non ci sono sorprese
nella gerarchia dei ministri né invenzioni nella distribuzione degli
incarichi. Non ci sono grandi personalità della politica né brillanti
innesti dalla società civile. C´è un uomo solo al comando. E questo basta.

Come un altro Cavaliere, lo Jedi difensore della pace della Repubblica
Galattica nelle Guerre stellari di George Lucas, Berlusconi ha capito qual
è il «lato oscuro della forza». Per il suo governo, stavolta, la forza non
risiede nell´autorevolezza, ma nell´affidabilità. Non risiede nel
prestigio, ma nella compattezza. 

Lo Jedi di Arcore, evidentemente, ha capito la lezione della legislatura
che finì nel 2006: schierò in campo i leader dei partiti dell´allora Cdl e
finì per logorarsi in un negoziato permanente, ricco di conflitti e povero
di riforme. E ha capito la tensione della legislatura che sta per
cominciare: a dispetto della luna di miele post-elettorale, avrà qualche
difficoltà a smerciare prebende sociali e sgravi fiscali con un ciclo
economico a crescita zero. Se dovrà inevitabilmente gestire un problema di
consenso reale dentro il Paese, stavolta preferisce evitare qualunque
dissenso potenziale dentro il governo.

Se si guarda alla geografia politica, la lista dei ministri riflette
fedelmente la nuova mappa post-elettorale, che premia il Pdl ma non esclude
del tutto le vecchie logiche spartitorie deflagrate nelle complesse
trattative di questi giorni. C´è tanta Forza Italia (12 dicasteri su 21),
partito personale ma sempre più nazionale. C´è molta Lega Nord (i 4
dicasteri previsti) e in particolare molta rappresentanza trasversale del
mitico Nord-Est. C´è un po´ di «Lega Sud» (i 2 ministri siciliani Alfano e
Prestigiacomo, il napoletano Vito e il pugliese Fitto). C´è altrettanta
Alleanza nazionale (che ottiene le 4 poltrone richieste, anche se una di
queste non contempla l´ambito «portafoglio»). Ci sono meno donne del
previsto, solo 4, anche se con due curiosi esordi, Gelmini e Meloni. E c´è
anche uno strapuntino offerto in premio alla fedeltà post-democristiana,
con l´attuazione del programma affidata a Rotondi. Insomma, c´è la
fotografia puntuale di quella nuova «destra corporata» (come l´ha efficacemente
definita Edmondo Berselli) che ha stravinto il 13 aprile e che, sia pure
con sfumature e accenti diversi, si riconosce nel suo leader, indiscusso e
incontrastato, federatore di tutti i suoi simboli e conciliatore di tutte
le sue identità.

Se si guarda all´alchimia politica, non si può non notare che i fedelissimi
del capo, e non per caso, coprono tutti i ruoli-chiave. O per provata e
riconosciuta competenza, come nel caso di Giulio Tremonti all´economia. O
paradossalmente per il suo esatto contrario, come nel caso di Angelino
Alfano alla Giustizia. Nel confronto delicato con i contribuenti, come
nello scontro avvelenato con i magistrati, non c´è spazio per personalità
autonome, o esterne all´inner circle del Cavaliere. Anche a costo di scelte
francamente fiacche e discutibili, com´è appunto quella di Alfano.
Probabilmente non sa niente di Csm e di snellimento del processo civile,
anche se evidentemente deve sapere molto delle urgenze processuali del suo
«principale».

Ma allo stesso tempo, non si può non notare che i ministeri cruciali sui
quali si giocherà la legislatura, le Riforme e gli Interni, sono in mano al
Carroccio. Umberto Bossi avrà le leve della nuova legge elettorale
(probabilmente imposta dal referendum voluto dal popolo sovrano) e del nuovo
federalismo fiscale (sicuramente preteso dal popolo padano). Roberto Maroni
avrà in mano le leve della sicurezza e dell´immigrazione, i due nervi più
sensibili per i cittadini-elettori, sui quali si è giocato l´esito della
partita elettorale appena conclusa. Questa impronta leghista, al di là
della natura presidenzialista e quasi «cesarista» di questo governo, è
destinata a influire non poco, sui possibili esiti della legislatura e sui
futuri equilibri della maggioranza.

Ma il potere è il miglior cemento per un centrodestra che ha vinto con 11
punti di vantaggio sul centrosinistra. E la sensazione, nonostante i
potenziali conflitti che pure ci saranno a Palazzo Chigi e fuori, è che
stavolta l´uomo di Arcore, solo al comando, vorrà davvero provare ad incarnare
un´era di «bipolarismo morbido», inedita per il Paese, e di «populismo
mite», inconsueta per il leader. E il governo che da oggi comincerà la sua
navigazione rispecchierà queste intenzioni. Oscillerà tra surplace e fine
tuning. Qualche strappetto riformatore qua e là (soprattutto sul
federalismo e sulla Pubblica amministrazione) e per il resto un po´ di
benevola «manutenzione» (soprattutto sui conti pubblici e sulle tasse).

È ancora presto per dire se sarà davvero una legislatura costituente (anche
se le premesse, e le promesse, ci sarebbero tutte). Ma una cosa è sicura.
Berlusconi non si metterà in guerra con nessuno. Né con l´opposizione, né
meno che mai con il Paese. È una metamorfosi funzionale ai suoi corsi
anagrafici e ai soprattutto ai suoi percorsi politici. Ha 72 anni. Vuole
passare alla storia, da statista repubblicano. E punta dritto al Quirinale,
la sua «magnifica ossessione». Questo governo, così piatto eppure
resistente, per l´Italia può anche non servire granché. Ma per il Cavaliere
sembra proprio un perfetto trampolino di lancio, costruito proprio con
quell´unico scopo: il grande salto verso il Colle. Visti i dolorosi
tormenti del Pd, stavolta non si vede chi possa fermarlo.