Rutelli dichiara in tv «caro Romano, stringiamoci la mano, noi ti sosterremo
lealmente», Prodi risponde da Creta «riapriamo un confronto collettivo sulla guida dell´Unione». A parte l´ennesima dimostrazione plastica di una perdurante sfasatura politica, l´annuncio del Professore scuote un´altra volta le già sfibrate radici dell´Ulivo. Semina altro panico tra i leader già disorientati del centrosinistra. Nessuno ne era informato. Nessuno se l´aspettava. Nessuno sembra condividerla (anche se non lo dice). Un altro piccolo passo verso l´eutanasia di un´alleanza, dunque Può darsi, nonostante le successive «precisazioni» del portavoce di Prodi, e a giudicare dall´irritazione con cui hanno reagito gli stati maggiori della Margherita e dallo stupore con cui hanno replicato i vertici dei Ds. Perché stressare di nuovo la coalizione con una sortita sul Web, invece che ragionare tutti insieme in una riunione? Perché stuzzicare ancora una volta Rutelli, dopo lo strappo consumato nel suo partito sul no alla lista unitaria? Perché frustrare ancora una volta Fassino, dopo il faticoso lavoro di ricucitura al centro a cui il segretario della Quercia si sta dedicando ormai da due settimane?
Dubbi più che legittimi. Eppure sarebbe ingiusto liquidare solo così quello che è accaduto. La mossa del Professore ha un merito: finalmente può fare chiarezza. Rilanciando in campo aperto l´ipotesi delle primarie, Prodi compie una doppia (ancorchè tardiva) «operazione-verità». Prima verità: dopo quello che è successo, nell´Unione si è formalmente aperto un problema di leadership, che va risolto presto e bene. Rimettendo in gioco la sua, di leadership, il Professore riconosce implicitamente di aver vissuto la rottura nella Margherita come un vulnus personale. Non rinuncia al suo progetto, tanto che nel lungo testo che accompagna il suo annuncio lo ripropone con una determinazione ancora maggiore, sia sul piano dei contenuti (il programma riformista) sia sul piano del contenitore (la federazione e la lista unitaria), fino al punto da profilare l´idea che il listone ulivista possa andare avanti «con chi ci sta», benchè «nel rispetto assoluto delle decisioni prese» e nella consapevolezza «di una diversità di posizioni tra i partiti e dentro i partiti». Ma adesso Prodi subordina questo progetto all´esigenza di una rilegittimazione sostanziale del ruolo-guida di cui gli alleati lo avevano investito un anno fa. Seconda verità: questa rilegittimazione per lui può anche venir meno, purchè
l´alleanza decida di scegliere il suo leader con regolari e democratiche elezioni primarie (e questa volta vere, non quelle finte di cui si parlava fino a due mesi fa). Questo vuol dire che se esistono altri candidati (a parte il solito Bertinotti) devono farsi avanti a viso aperto. E a viso aperto devono rappresentare un disegno politico diverso, se non alternativo. Perché a questo punto la scelta di un leader non può essere disgiunta da quella del progetto di cui lo stesso leader è portatore. Prodi un progetto ce l´ha. E ieri, nel suo documento, è tornato ad esporlo con chiarezza, non solo nell´individuazione dei valori (Europa, competitività, solidarietà) ma anche nell´indicazione delle formule (Fed, listone, unico «grande gruppo parlamentare»). Se qualcuno ne ha un altro, si faccia avanti e competa.
Certo, tutto questo postula una presa d´atto. Nel centrosinistra, ormai, la
competizione sembra prevalere sulla cooperazione. E tra gli alleati, anche nel perimetro del riformismo, a forza di rivendicare le rispettive «identità» la distinzione rischia di tradursi sempre più spesso in divisione.
La responsabilità è dei tanti che non hanno accompagnato con la necessaria
convinzione il cammino di Prodi. Ma una parte di responsabilità è anche del
Professore, il leader senza partito, che oggi paga un esercizio altalenante del suo stile di comando. In questi mesi ha alternato improvvisi strappi programmatici (rimarcati spesso dai toni ultimativi delle sue dichiarazioni) a improvvidi silenzi politici (riempiti solo dal rumore di sottofondo prodotto dai suoi tanti «esegeti»). Il risultato è che ora su di lui si concentrano due critiche uguali e contrarie: nella stessa alleanza c´è chi lo considera un leader troppo dispotico, e chi invece lo ritiene un leader troppo labile. Il vero paradosso è che sono un po´ vere entrambe le cose. Manca un anno alle elezioni, l´Europa è malferma e l´Italia è malata. Andare avanti così, per l´opposizione che si candida a governare, sarebbe questo sì un vero suicidio. Prodi se n´è reso conto. Ora tocca a tutti gli altri. Per il centrosinistra è l´ultima chiamata. Il Paese non può più aspettare.