C’era una volta una federazione dei riformisti dell’Ulivo (Democratici di sinistra, Margherita, Sdi), fortemente voluta, almeno all’inizio, da Romano Prodi: non proprio un partito, ovviamente di gran lunga il più forte del centrosinistra, ma qualcosa che doveva assomigliargli da vicino, il cuore e, nello stesso tempo, l’ala marciante di un’alleanza votata a vincere, si capisce, ma, dopo aver vinto, pure a governare.
Nessuno la ha ufficialmente sepolta, questa federazione, e si può anzi essere certi che in molti salteranno su, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, a spiegare che la attende un destino radioso. Ma la tentazione di parlarne al passato, come di un progetto che, per tanti motivi, non è riuscito neanche a decollare, è forte. E dopo il vertice di ieri tra il candidato premier e tutti i leader dell’opposizione si è fatta quasi irresistibile.
I riformisti federati (o impegnati a federarsi a tappe forzate) non avevano infatti con sé solo un trenta e passa per cento alle elezioni europee, e insomma la forza dei numeri, che, nella politica democratica, conta, e giustamente, assai. Pretendevano di spenderla, questa forza, e di spenderla tutti insieme, per rendere il più possibile visibile il profilo riformatore del centrosinistra, in primo luogo nella trattativa programmatica con Rifondazione comunista e le altre componenti più radicali dell’alleanza. Anche quando litigavano (e litigano) tra loro, di mezzo certo c’erano (e ci sono) ambizioni di partiti, di gruppi e, si capisce, di uomini, ma anche risposte diverse a problemi comuni. Primo tra tutti quello, giudicato decisivo, della conquista di una parte significativa degli elettori moderati che, nel 2001, avevano votato per la Casa delle Libertà.
Ancora una volta: di tutto questo si continua a ragionare e, ne siamo certi, si ragionerà ancora. Ma il vertice di ieri sembra porre le prospettive di Prodi e del centrosinistra su basi molto diverse. Della speranza della costituenda (o no?) Federazione di contrattare tutta unita, sul programma da presentare agli elettori, con Rifondazione, rischia di restare poco. Il programma sarà presentato agli elettori solo alla fine del 2005, e per mesi non se ne parlerà troppo. Ma intanto tutti i partner della coalizione, da Clemente Mastella a Fausto Bertinotti, partono sullo stesso piano: un punto per Bertinotti, che questo aveva richiesto sin dall’inizio, e che avrà modo di saggiare nelle primarie la propria forza, e di farla saggiare agli alleati, creando loro i problemi che non creerà a Prodi.
Tutto questo non basta per dire, come si affannano a sostenere in coro molti esponenti del centrodestra, che Prodi è caduto prigioniero del leader di Rifondazione comunista, e si avvia alla sua campagna elettorale su posizioni di sconsiderato estremismo: anche l’abilità con la quale il vertice del centrosinistra ha evitato l’ostacolo (incombente) di una nuova spaccatura in Parlamento sulla guerra in Iraq testimonia che le cose non stanno esattamente così. Ma certo una novità c’è. Non è davvero un caso che si cominci con una manifestazione nazionale di lotta contro la Finanziaria, e si continui, sulla riforma costituzionale, con una battaglia dura, frontale, condotta con lo spirito di chi fa molto affidamento sul referendum finale. Nei prossimi mesi, un’opposizione che per vincere vuole fare in primo luogo il pieno delle proprie forze, cercando di richiamare alle urne anche molti degli astenuti di questi anni, sarà impegnata, più che a proporre, ad opporsi. E ad opporsi senza troppi aggettivi, e senza lasciare spazio a defezioni, a destra come a sinistra. Molto partisan, pochissimo bipartisan.