ROMA – Era uscito dal vertice del listone scuro in volto, molto contrariato. Ha aspettato ancora un giorno, per riflettere a mente fredda e ascoltare i suoi. Ma niente da fare, mentre anche alla Camera il no di Prodi alle riforme subisce qualche diserzione ulivista. Per Arturo Parisi e per molti prodiani quel compromesso siglato, pur di non rompere con Rutelli, continua a lasciare l´amaro in bocca. Passi avanti sì, ma come sintetizza Giulio Santagata «si poteva fare molto di più, prendiamo per buono il bicchiere mezzo pieno». Sulle primarie slittate troppo in avanti, la federazione che non scavalca i partiti, e soprattutto sulle regionali che, a parte Toscana e Veneto, si prevedono senza liste unitarie. Se Rutelli ha vinto questa mano, i suoi avversari dentro la Margherita si preparano alla rivincita. Perché, secondo gli uomini vicini a Parisi, «non possiamo inchiodare il nostro partito al ruolo del frenatore, e nella riunione soltanto uno ha bloccato il percorso in avanti».
Quell´uno si chiama appunto Francesco Rutelli. Che ha anche messo apertamente in discussione il ruolo formale di Parisi nel futuro assetto della federazione. E´ successo al momento di stendere il documento finale, nella riunione di lunedì con Prodi, quando si è trattato di mettere a fuoco i contorni dell´organismo dirigente. Il Professore chiede: va bene il “format” qui presente come timone, anche se provvisorio, della federazione? Al tavolo siedono Fassino e D´Alema, Amato, Rutelli e Parisi, Boselli e Villetti. Il no arriva da Rutelli. «Il vertice – spiega senza tante perifrasi – deve essere composto dai segretari dei partiti. Poi tu, Romano, puoi anche invitare chi meglio credi ma le decisioni sono dei leader di partito». Per poi, quasi sottovoce aggiungere «del resto come si vede io qua sono solo». Come a dire, a rappresentare la Margherita in riunione c´è solo il presidente. E Parisi, il presidente dell´assemblea federale dello stesso partito? Per Rutelli, evidentemente, esprime la minoranza e dunque non avrebbe titolo a sedere al tavolo dei leader della federazione. Se no, bisognerebbe aprire le porte anche alle minoranze degli altri partiti, a cominciare dal correntone della Quercia. Una bordata pesante. Gelo. Imbarazzo generale. Parisi non replica. Si sente invece chiamato in causa Giuliano Amato, anche se non è lui l´obiettivo del siluro, che si giustifica: «Sono vicepresidente del Pse, vicepresidente della Convenzione Ue, rappresento Sdi e anche Ds. Ma se volete, posso anche andar via… «. Interviene Prodi, rassicurante: «Giuliano, ma tu hai preparato il nostro programma». Ma il problema non è appunto il dottor Sottile ma la guerra aperta dentro la Margherita. Con Parisi che non si riconosce affatto in quella etichetta “minoranza”, «nei vertici rappresento in pieno le decisioni assunte dagli organismi dirigenti del mio partito, anche quando non le ho condivise». Metti quel documento approvato a Rocca di Papa sulle elezioni regionali, e che Rutelli ha sbandierato per stoppare le liste unitarie.
Si faranno dove è possibile, decideranno le segreterie regionali. Ma i prodiani si preparano a dar battaglia, ad estendere a tappeto il listone. E guardano con grande attenzione alla galassia delle liste civiche che, sabato e domenica, si raduna a Roma. Una valanga di liste dei sindaci o dei governatori, presentano un proprio simbolo a fianco del centrosinistra. Era previsto l´intervento di Prodi, ma forse il capo dell´Ulivo si limiterà ad un messaggio per non alimentare sospetti. Rutelli, e lo ha fatto capire anche al vertice dopo averlo denunciato a Polignano, teme che dietro le civiche possa prendere forma una “Lista del Professore” per scavalcare i partiti. Ma nell´incontro della verità, nonostante la “resistenza” dello Sdi che si è battuto per non svuotare le liste uliviste, nero su bianco la versione ufficiale uscita è proprio quella “riduttiva”, la lettura minimalista per cui i quattro partiti andranno insieme solo dove possibile. Un compromesso che è piaciuto a Marini, uomo di partito non pentito come lui stesso si definisce, ma non ai parisiani. Dal Lazio in giù, in tutto il Sud, i popolari non vedono liste unitarie. E nel Nord solo in Lombardia ci sarebbe qualche chances. Restano solo Toscana e Veneto.