23 Gennaio 2006
Tutti i veleni del premier
Autore: Nicola Tranfaglia
Fonte: l'Unità
Ancora una volta la crisi politica italiana – crisi che l’attuale maggioranza tenta in ogni modo di far degenerare in rissa – è caratterizzata da un negativo paradosso.
Da un lato si consente (senza nessun intervento sanzionatorio da parte del governo Berlusconi), che funzionari infedeli di corpi dello Stato diffondano carte ritenute irrilevanti dalla magistratura che indaga su determinate, scottanti materie penali. È proprio quello sta avvenendo in questi giorni a proposito del cd che raccoglie conversazioni telefoniche che non sono in nessun modo entrate a far parte del procedimento che riguarda Consorte e altri imputati legati all’Unipol.
Ma dall’altro si sta compiendo una frenetica corsa per far approvare un decreto legislativo urgente sulle intercettazioni telefoniche che Berlusconi spera di far votare anche alle opposizioni dopo gli avvenimenti delle ultime settimane ma che costituisce, a tutti gli effetti, un ritorno pieno alla legislazione fascista del 1930 ed è in aperto contrasto con l’articolo 21 della Costituzione e le leggi vigenti sulla libertà di stampa nel nostro paese dopo il regime fascista.
In particolare l’applicazione del dlgs 231/2001 alle imprese multimediali in relazione alla violazione dell’articolo 684 del codice penale (Pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale), un articolo concepito e scritto all’interno del codice fascista di Alfredo Rocco e mantenuto in vigore dal legislatore repubblicano contro ogni ragionevolezza, fissa infatti sanzioni pecuniarie da 25mila a 232mila euro e determina, senza possibilità di dubbio, una forte mobilitazione delle imprese editoriali nella vita e nella fattura dei giornali e delle reti televisive.
In altri termini, non fidandosi dei giornalisti che sanno come la cronaca giudiziaria sia, in regime di democrazia, uno dei capitoli più importanti della cronaca e costituisca, in tutti i Paesi democratici, un’attrazione fondamentale per i lettori e per gli spettatori, si aggira il problema e si ricattano gli editori spingendoli a esercitare direttamente una censura per non incappare in sanzioni così alte da rischiare difficoltà finanziare.
Non si prevede il carcere per i giornalisti o addirittura per gli editori, che avrebbe rappresentato, in maniera ancora più evidente, pesanti rischi di costituzionalità, ma si interviene pesantemente sulla leva economica che costituisce oggi un elemento decisivo per la vita degli organi di informazione.
Il risultato rischia di essere quello del periodo fascista: non potendo parlare in nessun modo dei procedimenti penali in corso si ritornerebbe a poche righe di comunicati ufficiali.
Basta conoscere, come capita a me, e leggere i quotidiani degli anni Trenta e Quaranta per vedere piccoli trafiletti in fondo alle poche pagine di allora che riguardano i fatti che avvengono nella società e hanno risvolti penali: rapine, omicidi, truffe, raggiri e così via.
In questo modo si dà un’immagine falsa della società, si cerca di rappresentare una società in cui esiste una grande osservanza delle leggi e tutti sono virtuosi: proprio quello che Mussolini e la dittatura fascista erano riusciti a far credere per vent’anni a un bel po’ di italiani.
Avere a disposizione soltanto l’esito finale delle vicende non ha più nessuna efficacia, sia perché interviene comunque a un certo tempo di distanza dagli avvenimenti, sia perché le sentenze restituiscono essenzialmente l’aspetto tecnico piuttosto che quello umano dei fatti.
Si annulla, in altri termini, il ruolo dei giornalisti che si limitano a constatare e a intervenire esclusivamente ex post su quello che succede e di cui si parla all’interno della comunità.
È la prova, questo progetto, di quel ritorno frenetico all’indietro di cui è stato protagonista in questi cinque anni il berlusconismo ed è significativo che su di esso non si registrino fino ad oggi né interventi dei maggiori giornali né dell’associazione degli editori.
Questo è veramente un brutto segno di una situazione che ho già definito di mitridizzazione della opinione pubblica italiana, come se i veleni fossero diventati ormai così frequenti e continui nell’organismo nazionale che non ci siano più reazioni quando si può fare ancora qualcosa di fronte all’ennesimo colpo di coda di chi sta perdendo il potere.