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16 Gennaio 2006

Troppe voci per una lista sola

Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: la Repubblica

C’ è un aspetto poco indagato, circa gli effetti politici delle polemiche intorno al ruolo giocato dai leader Ds sulla vicenda Unipol-Bnl. Riguarda il rafforzamento delle logiche di partito, che possono indebolire la costruzione della “lista unitaria”. Gli attori e i commentatori politici, fin qui, si sono, piuttosto, preoccupati di stimarne le conseguenze sui consensi elettorali dei Ds. E, quindi, della coalizione di centrosinistra. Hanno, cioè, considerato l’ impatto di una nuova “questione morale” ai danni dei soggetti politici di sinistra che, in passato, l’ avevano brandita, come un’ arma.

A prescindere dalla denuncia di Berlusconi contro le presunte “manovre” dei Ds a favore dell’Unipol (con esiti a dir poco imbarazzanti per il premier), l’ impressione – a leggere i sondaggi più attendibili di questi giorni – è che, nel sentimento sociale e nelle tendenze del voto, sia cambiato davvero poco. Perché i cittadini, ormai, sono vaccinati da altre, precedenti stagioni di sdegno, segnate da scandali di portata ben diversa. E hanno esaurito tutte le scorte di sfiducia e di disincanto. Per trovare, oggi, motivo di indignarsi troppo. Così, i rapporti di forza tra le coalizioni sembrano essersi modificati in misura molto limitata. E il vantaggio del centrosinistra, seppure eroso, resta ampio. Ben al di là di quell’ uno e mezzo per cento dichiarato dal premier. (Il quale, peraltro, prima di Natale, aveva sostenuto che le due coalizioni erano ormai alla pari. Dovremmo dedurre che oggi il centrodestra è in calo?).

Tuttavia, questo velenoso avvio della campagna elettorale ha prodotto un altro effetto. Non sappiamo se e in che misura previsto da Berlusconi. Ma sicuramente pericoloso, per il centrosinistra. Riguarda l’ accentuarsi della logica “proporzionale”. Già imposta per legge, ma oggi rafforzata per via politica. E’ indubbio, infatti, che le polemiche delle ultime settimane abbiano favorito il ritorno, prepotente, dell’ identità Ds. Che non solo hanno serrato le fila, contro ogni sospetto “morale”. Ma hanno contestato le conclusioni di quanti, come Casini e Follini, hanno tratto motivo dalla vicenda dell’ Unipol per affermare l’ infondatezza di ogni pretesa “superiorità” etica della sinistra. In questo modo, però, oltre a tutelare la propria storia e la propria immagine, i Ds hanno ribadito la propria “diversità”. La propria identità. Una tendenza rischiosa per la “lista unitaria”. A cui proprio i Ds hanno garantito il maggiore sostegno, nell’ ultimo anno. Mentre, nella Margherita, suscitava una crescente diffidenza. La “lista per l’ Ulivo”.

E’ stata imposta, resa inevitabile, dall’eccezionale partecipazione degli elettori di centrosinistra alle primarie del 16 ottobre. Che hanno espresso una estesa domanda di unità. Legittimando, al tempo stesso, Romano Prodi.

Tuttavia, la nuova legge elettorale (proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione vincente) ha restituito potere ai partiti. Rafforzato le spinte oligarchiche. Anche a questo fine, d’ altronde, era stata progettata e approvata la nuova legge. Per rendere inattuale la strategia elettorale del centrosinistra. Impostata sulla legittimazione personale e diretta del leader, secondo la logica maggioritaria. La “lista unitaria”, in tempi di proporzionale, può essere competitiva (e “vantaggiosa”, dal punto di vista elettorale) a una sola condizione. Che rifletta – e trasmetta – un progetto comune e condiviso. Dotato di una identità politica, specifica e chiara. Il Partito Democratico oppure l’ Ulivo, non importa. La questione non è nominale. Ma sostanziale. Riguarda il significato che assume. E comunica. Se diventa – o, semplicemente, appare – un’ intesa tattica, fra partiti distinti, destinati, dopo il voto, a procedere ciascuno per conto proprio.

Allora, la “lista unitaria” risulta una scelta molto rischiosa. Perché, nel proporzionale, la diversità dei soggetti politici è una risorsa, se dispongono di identità e organizzazione. Come i Ds. E, in misura più limitata, la stessa Margherita. Le aggregazioni, quando si tratta di cartelli elettorali, sommatorie di sigle, risultano, invece, svantaggiose. Sempre. Tanto più in alcune zone del Paese, dove è maggiore la capacità di attrazione locale e personale delle liste. Nel Mezzogiorno, in particolare.

Per cui, le aggregazioni sono utili solo se non appaiono frutto di operazioni tattiche. Provvisorie. Un rischio da cui la “lista unitaria” fra i DS e la Margherita non sembra immune, in questa fase. Anzitutto perché, ancora una volta, i soci fondatori hanno intrapreso una via tortuosa. Differenziando le strategie elettorali. Uniti alla Camera, divisi al Senato.

Per ragioni “tecniche”, suggerite dalla legge elettorale (che, per il Senato, valorizza maggiormente la dimensione territoriale, in quanto attribuisce i premi di maggioranza su base regionale). Tuttavia, è difficile non disorientare gli elettori, in questo modo. Convincerli che il voto del 9 aprile costituisca il primo passo del Partito Democratico prossimo futuro.

Né cambierebbe qualcosa l’ ipotesi di presentare, anche al Senato, la lista Unitaria, limitatamente alle regioni del Nord. Oltre a generare ulteriore confusione, rafforzerebbe, semmai, la convinzione che l’ unità costituisca una scelta strumentale. Da adottare di volta in volta. Caso per caso. Zona per zona. Meglio, allora, adottare un unico criterio, per la Camera e il Senato. Correre insieme: uniti oppure divisi. Dovunque. Naturalmente, queste considerazioni possono apparire una esercitazione inutile. Fuori tempo massimo. Visto che tutto è già stato deciso. E in più: dannosa. Perché rimettere in discussione la soluzione unitaria “almeno” alla Camera potrebbe frustrare la volontà del “popolo delle primarie”. Mettere, di nuovo, in difficoltà Prodi. Leader senza partito di una coalizione di partiti.

Tuttavia, il “popolo delle primarie” non può accontentarsi di intese a metà. Tanto meno di campagne elettorali condotte da partiti che agiscono e si mobilitano ciascuno per proprio conto. Sventolando le proprie bandiere.

Quanto a Prodi, oggi, sicuramente, non è più un “amministratore di condominio”. Ma il candidato, riconosciuto, del centrosinistra. Garante del progetto unitario. Un’ alleanza tattica non aggiungerebbe nulla al suo ruolo. Semmai lo incrinerebbe. Questo appare, oggi, il problema della “lista dell’ Ulivo”. Andare oltre le ambiguità degli ultimi anni. Oltre l’esperienza delle elezioni europee, dove si è realizzata un’ intesa senza convinzione. Oltre l’ esperienza delle regionali. Che hanno accentuato le spinte partitiche. Ma è difficile non provare disagio quando, come negli ultimi mesi, i programmi vengono elaborati e discussi in singole assemblee di partito. E i problemi del rapporto fra politica e affari diventano “fatti personali”. Partitici. Che oppongono D’ Alema, Fassino e i Ds a Berlusconi e Forza Italia. La “lista unitaria”. Può essere competitiva, alle prossime elezioni. Se è davvero unitaria. Se i soci fondatori si presentano uniti. Se l’orgoglio di partito non prevarica quello dell’ Ulivo. Se la “questione etica” coinvolge tutti. Se la voce di Prodi risuona alta e chiara. Più delle altre. (E più di adesso). Altrimenti, meglio che ciascuno corra per conto proprio. Sventolando la propria bandiera accanto a quella dell’ Unione.