La vicenda Telecom coi suoi colpi di scena a ripetizione: il
piano Rovati, la trattativa di Tronchetti Provera con prelazione di vendita agli
americani di AT&T e ai messicani di America Movil del 66% di Olimpia che
significa il 12% di Telecom, la ribellione degli azionisti di minoranza
culminata nello show di beppe Grillo ripresa dalle tv di mezzo mondo.
E
ancora, la rinuncia degli americani di AT&T all’acquisto, la proposta di
partecipazione minoritaria rivolta dalle banche a Berlusconi e
Colaninno…Ebbene, tutto questo ha prodotto critiche al governo da destra e da
sinistra. Le critiche da destra sono di invadenza politica, di leso libero
mercato e di attivismo sospetto delle banche. Le critiche da sinistra, partendo
dalle grandi privatizzazioni precedenti Enel, Telecom ed Autostrade, monopoli
naturali ceduti ai privati senza vere liberalizzazioni, riguardano i ritardi
governativi nell’adeguamento dei poteri delle Autorità di controllo e nel
correggere l’anomalia delle scatole cinesi, società
contenenti solo
partecipazioni di altre società, mediante le quali capitalisti furbi con pochi
capitali controllano grandi società.
Io credo che mentre siano giuste le
critiche alle privatizzazioni senza liberalizzazione fatte dai passati governi
di centrosinistra ed ai ritardi legislativi nell’adeguare i poteri delle
Autorità di controllo e nel ridurre i danni delle scatole cinesi, ritardi che
risalgono indietro nel tempo, siano del tutto ingiustificate le critiche di
invadenza politica, di leso libero mercato e di attivismo delle banche. In
particolare ritengo che nella delicata vicenda Telecom il governo si sia mosso
bene evitando trabocchetti e facendo gli interessi del Paese e di un mercato
veramente libero per
tutti.
Il basso profilo, da “moral suasion”,
con cui si è mosso Prodi e l’intero governo ha reso chiaro a tutti, agli esperti
americani dell’AT&T in primo luogo, che l’Italia, dopo aver ceduto a
capitali stranieri ben cinque operatori di telecomunicazioni, non aveva alcuna
intenzione di cedere anche l’unico e più grande rimasto senza una serie di
garanzie attinenti, la “governance”, l’effettiva apertura della Rete al mercato
con libero accesso dei concorrenti in condizioni di parità, l’ammodernamento
della Rete con adeguati investimenti stimati in almeno 10 miliardi e, last but
not least, garanzie perché la ricerca tecnologica, soprattutto del centro di
Torino, restasse in Italia e non migrasse oltre Atlantico.
I liberisti
nostrani, a cominciare dagli amici del «Sole 24 ore», il cui fondo di ieri aveva
un titolo significativo «la politica invadente che disorienta il mercato»,
sembrano come sempre più schierati dalla parte di risicate maggioranze che di
corpose minoranze, come quando Telecom passava di mano molte volte negli ultimi
10 anni, facendo arricchire pochi furbi a spese degli azionisti di minoranza.
Quanto ai politici di seconda fascia Della Vedova, Capezzone, Gasparri che hanno
imputato la “fuga” degli americani alle prepotenze del governo ed all’attivismo
delle banche, che cercano di imbarcare qualche industriale con soldi come
Berlusconi o con idee e voglia di industria come Colaninno, forse erano poco
informati del pensiero del loro leader.
Comunque li inviterei a
rileggersi la storia del “convertendo” Fiat quando proprio le banche italiane,
anche allora accusate di attivismo filo governativo, assumendo rischi non lievi,
hanno consentito il salvataggio e poi la rinascita della nostra maggiore impresa
manifatturiera. Rimane il buco legislativo per parare i danni di pratiche tutte
italiane come i patti di sindacato e le scatole cinesi. Sui primi c’è poco da
fare, anche se fossero formalmente vietati come chiedeva Guido Rossi nessuno
potrebbe impedirne l’esistenza informale, mentre mi sembra meritevole di
approfondimento la proposta di Mario Sarcinelli («Economia» del «Corriere della
Sera», 16 aprile) di abbassare il tetto dell’Opa obbligatoria, in caso di
scatole cinesi, cioè società che hanno al loro interno solo partecipazioni di
altre società, dal 30% attuale al 10-15%