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31 Maggio 2005

Tre peccati d’arroganza

Autore: Angelo Panebianco
Fonte: Corriere della Sera

Troppa ipocrisia e troppa arroganza. Il trattato, molto impropriamente detto « costituzionale » , è stato vittima anche di questo.
Ha ragione Sergio Romano quando scrive, sul Corriere di ieri, che l’iter delle approvazioni del trattato non potrà che continuare. Ma il « no » della Francia, comunque, lo seppellisce.

Restano le regole di Nizza per l’ordinaria amministrazione. E resta, nonostante gli apocalittici commenti di molti, i l fatto che l’Unione rimarrà in piedi e continuerà a erogarci il suo bene più prezioso: la pace europea. Essere « europeisti » , come non si stancava mai di ripetere Helmut Kohl, è soprattutto questo: volere un continente europeo in pace dopo secoli di guerre, dotato di istituzioni che garantiscano la cooperazione fra europei.
      
È stato un atto di arroganza presentare un macchinoso trattato intergovernativo la cui utilità consisteva nel mettere ordine nel caos delle normative europee accumulatesi nel tempo, e nel tamponare i più gravi problemi legati all’allargamento, come se fosse, niente meno, « La Costituzione » : che decadenza, anche culturale – ha ragione Francesco Cossiga – rispetto ai tempi gloriosi del costituzionalismo europeo. Forse, un approccio più minimalista sarebbe servito a non scatenare contro il trattato i cittadini dello Stato per antonomasia, la Francia.
      
Se non si vuole portare l’Unione a una crisi irreversibile non bisogna insistere. Passi più lunghi della gamba non se ne possono fare.      

Col tempo e con calma si potrà forse introdurre, come da noi hanno subito detto Giorgio La Malfa e Giuliano Amato, qualche significativa integrazione ( soprattutto sul metodo di votazione) nel trattato di Nizza. Chi ha pensato di usare il trattato per forzare le cose nella direzione di un’Europa politica dominata dall’asse franco tedesco, mettendo in riga i Paesi dell’Europa ex comunista, e magari anche togliendo di mezzo quello che per i gollisti è sempre stato il « cavallo di Troia » degli Stati Uniti, ossia la Gran Bretagna, si è suicidato politicamente. Lo rimpianga chi ne ha voglia.
      
L’aspirazione all’Europa politica al più presto si basava su tre idee sbagliate. In primo luogo, l’idea che l’allargamento avrebbe potuto andare di pari passo con l’unificazione. No.
      
L’allargamento era necessario, non si potevano lasciare fuori dalla porta i nostri fratelli separati dell’Est, usciti da una terribile storia.
      
Che Europa sarebbe un’Europa senza di loro? Ma, al tempo stesso, l’allargamento, portando dentro Paesi con una storia totalmente diversa da quella occidentale, non può non cambiare natura e qualità dei rapporti nell’ Unione. Il che allontana nel tempo, forse di qualche generazione, il momento, se mai verrà, dell’Europa politica, federale o comunque sia.
      
La seconda idea sbagliata si fondava su un wishful thinking (scambiare i propri desideri per realtà). C’è un salto logico tra constatare che gli Stati nazionali europei non possono fronteggiare le sfide del mondo se non cooperando strettamente fra loro (mercato unico, euro), perché la sovranità si è indebolita, e concludere che gli Stati sono finiti.

Non sono finiti affatto, restano il principale centro di identificazione politica dei cittadini (tra l’altro, la democrazia esiste solo su base nazionale) e questo garantisce tuttora la loro vitalità.  

Governi europei lottano duramente fra loro per la distribuzione dei benefici dell’Unione, si dividono politicamente sui rapporti con gli americani, italiani e tedeschi si accapigliano in nome dell’interesse nazionale per il seggio all’ Onu, i francesi fanno la loro solita, indipendente, politica africana. E si potrebbe continuare. Di che si parla quando si parla della possibilità di superare a breve termine gli « egoismi » nazionali?

La terza idea sbagliata era che si potessero forzare i tempi nella direzione di una più stretta unione politica proprio mentre tre dei più importanti Paesi europei ( Germania, Francia, Italia) o sono in depressione economica o arrancano stancamente, proprio mentre vacillano i capisaldi che ne hanno assicurato il benessere in passato. Come poteva l’Unione non diventare, anche ingiustamente, capro espiatorio?

L’Europa politica si farà, se si farà, solo quando gli Stati nazionali, ancora oggi vitali, si saranno ulteriormente indeboliti e ci vorrà molto tempo. E si farà anche quando, detto per inciso, gli europei, o la schiacciante maggioranza, saranno in grado di parlarsi e di capirsi.

Non si può non apprezzare l’ironia del fatto che, verosimilmente, solo l’inglese potrà, un giorno, unificare linguisticamente il Continente, diventarne la lingua franca.
      
Bisogna ripartire con modestia. Intanto, c’è da fare moltissimo per realizzare davvero il « mercato unico » . Lo stop alla liberalizzazione dei servizi ( in cui sempre la Francia ha avuto un ruolo essenziale) è forse più grave della bocciatura del Trattato.

Bisogna continuare a rimuovere, con perseveranza, i tanti ostacoli giuridici alla piena integrazione economica. E poi bisognerà, con pazienza, spiegare a tanti europei ( nel caso della Francia, sia a quelli del « sì » che a quelli del « no » ) che non è demonizzando, ma imitando, il capitalismo « anglosassone » , l’unico capitalismo occidentale che oggi funzioni, che l’Europa potrà superare i suoi problemi economico sociali.
      
C’è poi il capitolo italiano. I sondaggi registrano, in Italia, simultaneamente, euro entusiasmo e diffusa ignoranza sull’Europa. La classe dirigente deve smetterla di fare solo retorica. Occorre educare gli italiani alla concretezza: l’Unione ci serve, va usata, bisogna saperla usare. Dà vantaggi ( domandate agli spagnoli) se ci si sa muovere al suo interno e svantaggi se non lo si sa fare. Basta con certe sciocche, e terroristiche, etichette.

Non ci si divide solo fra europeisti e antieuropeisti, fra euroentusiasti e euroscettici. Sono anche possibili modi diversi di essere europeisti e sono legittime idee diverse su come affrontare l’attuale crisi europea, su come proseguire nel cammino dell’integrazione.

« Ci sono più cose in cielo e in terra… » . I rozzi schematismi su cui, da sempre, è inchiodato il dibattito italiano sull’Unione servono forse alla polemica politica spicciola, ma rendono impossibile comprendere i complessi problemi che l’Europa, e l’Italia, hanno di fronte.