ROMA — «Anticostituzionale», «ignobile»: ieri Claudio Petruccioli, dopo aver letto la mozione sottoscritta dall’Ulivo e dalla sinistra radicale, ha chiamato mezzo governo. «Ma quando mai il Parlamento ha dettato le condizioni alle Ferrovie dello Stato!?», ha urlato al telefono il presidente della Rai.
Le rimostranze sono giunte fino ad Anna Finocchiaro, rea di aver sottoscritto quell’accordo. La capogruppo dell’Ulivo al Senato si è offesa e si è difesa: «È l’unico punto di mediazione possibile: qui non è in ballo la Rai, ma la tenuta dell’Unione». Già, perché l’oggetto del contendere non è solo la Tv di Stato. Non si riduce tutto allo scontro, che pure c’è, tra maggioranza e Cda Rai.
«Chi vi credete di essere?», chiede provocatoriamente Cesare Salvi a Petruccioli e compagni. Ma il presidente dei senatori della Sinistra Democratica affronta solo un aspetto del problema. Che è ben più ampio, come sa bene Romano Prodi. Il quale, non a caso, ieri si è attaccato al telefono per convincere Clemente Mastella a non giocare una partita solitaria sulla Rai (tradotto: a non presentare una mozione dell’Udeur votata dal centrodestra).
Il Guardasigilli non ha detto di no e ha aperto la trattativa. Il premier non ha potuto far altro che seguire questa strada, giungendo al compromesso, perché, come ha confessato ai suoi collaboratori, «per la Rai, sulla scacchiera del Senato, c’è la stessa disposizione che ci sarà per la Finanziaria ». È questo l’assillo vero del premier e della Finocchiaro.
«Non è possibile — si lamenta Prodi — che ogni passaggio al Senato sia un passaggio a rischio». Ma tant’è. E ieri non in quel di Palazzo Madama. E la preoccupazione vera è per il dopo. Ieri, una Finocchiaro provata dalle defatiganti trattative nell’Unione confessava ad alcuni parlamentari: «Vi è chiaro che la Rai non c’entra niente? Che ognuno si sta posizionando per il dopo, lanciando segnali?
La sinistra radicale pensa alla manifestazione del 20 ottobre, Lamberto Dini al suo ruolo futuro… e così via». E il capogruppo di Rifondazione Giovanni Russo Spena non è che ieri facesse ragionamenti molto diversi con i suoi collaboratori: «L’Udeur chissà che vorrà, Dini deve trovare uno spazio nel Pd… o altrove. In attesa della Finanziaria o del dopo-Prodi ognuno recupera la propria autonomia».
Dunque, in questo Senato, terra di tutti e di nessuno, basta avere un parlamentare per chiedere… e per ottenere. Mentre Mastella cede, gli ulivisti Willer Bordon e Roberto Manzione insistono: presenteranno comunque la loro mozione. «Gli altri chiedono posti — spiega Bordon — noi no, quindi non ci fermiamo».
Perché fermarsi? Lo stanno pensando anche nei dintorni della sinistra radicale dove potrebbe nascere un nuovo raggruppamento con l’eurodeputato del Pdci Marco Rizzo e due parlamentari del Prc. Uno di non poco conto, visto che si chiama Fosco Giannini e di mestiere fa il senatore. Un voto in meno, o, meglio, un voto in più da contrattare a Palazzo Madama.
Non è la prima volta che Viale Mazzini è lo specchio fedele delle dinamiche della maggioranza. Ma per la Tv di Stato c’è sempre un di più, che è tutto dentro le logiche Rai. Perciò c’è il presidente della commissione di vigilanza, Mario Landolfi, di An, che va da Giorgio Napolitano a chiedere che non vengano fatte nomine all’impazzata (e l’inquilino del Colle si mostra d’accordo).
C’è Gianni Letta che ancora si lamenta: «Fabiani? Ci avevano promesso di fare un tecnico, proveniente dal ministero dell’Economia». E c’è Paolo Gentiloni che quando gli hanno chiesto di andare al Senato, gentilmente ma decisamente, ha declinato l’offerta: «Non sono il ministro competente ».
Lo è Padoa-Schioppa. Ma qualsiasi sia il risultato delle votazioni di oggi, il ministro dell’Economia non verrà coinvolto. E non lo sarà neanche il governo. Almeno fino alla prossima puntata. Che qualcuno ha già messo in palinsesto: a dicembre, a Finanziaria approvata.