CITTA DEL VATICANO – Ora la malattia di Karol Wojtyla non è più un affare interno della Chiesa. Poche parole del suo braccio destro cardinale Sodano ? «Le dimissioni? Lasciamole alla coscienza del Papa, lui sa cosa fare» ? sono bastate per infrangere un tabù secolare. La questione della rinuncia del romano pontefice è ormai sul tavolo. Investe non solo il mondo ecclesiastico ma l´opinione pubblica del mondo globalizzato, che Giovanni Paolo II ha percorso carismaticamente per un quarto di secolo. Ai vertici della Curia vaticana infuria una tempesta di esternazioni contrastanti, ma quanto più si esprime la veemenza di chi rimuove il nodo dimissioni tanto più si impone l´interrogativo sul governo effettivo di oltre un miliardo di fedeli. In parole essenziali, è il Papa al servizio della Chiesa o è la Chiesa al servizio della sua immagine. «Parlare delle sue dimissioni è di cattivo gusto, ed è ancora più grave se si pensa che la questione si è riaperta prendendo spunto da un´influenza», taglia corto polemicamente il cardinale Re, potente prefetto del dicastero per i vescovi. È il segnale di una spaccatura ai vertici della Curia. Da un lato porporati come Re o il cardinale Castrillon Hoyos, responsabile dei duecentosettantamila preti cattolici sparsi nel mondo, respingono l´idea «perché il Santo Padre ha nelle sue mani sperimentate e sante il timone della Chiesa». Dall´altro un Segretario di Stato, convinto che l´amore di Wojtyla per la Chiesa gli farà prendere in piena libertà la decisione giusta.
Qualcuno pensa che Sodano si sia lasciato sfuggire una parola di troppo. Difficile crederlo con un diplomatico consumato qual è.
Difficilissimo sostenerlo dal momento che il Segretario di Stato, prima ancora di mettersi a rispondere, ha voluto conoscere in anticipo le domande, ci ha riflettuto e ha dato il via libera al colloquio.
La verità è che di fronte alla crisi che inaugura la terza fase del pontificato wojtyliano, la stagione dell´impedimento crescente, la Curia si trova spiazzata e rifluisce su due posizioni. Ci sono i fautori dello status quo, della tradizione, della conservazione di assetti che dovrebbero durare fino a che il pontefice non avrà percorso sino in fondo il suo calvario. E ci sono i lealisti pragmatici che non chiudono gli occhi dinanzi alla realtà.
Perché la malattia di Wojtyla, dopo gli spasmi fatali che minacciavano di soffocarlo, non è più affare esclusivo della Sede romana. Non si conquista mediaticamente il pianeta, non si diventa un gigante del ventesimo secolo, non si lascia un´impronta potente nei decenni convulsi a cavallo del millennio, che hanno portato dal crollo del totalitarismo sovietico all´unilateralismo imperiale americano, se non diventando come Giovanni Paolo II “persona di tutti”, soggetto investito dall´attenzione del mondo intero.
Da evento vissuto misticamente e nel chiuso del proprio intimo la malattia di Wojtyla – piaccia o no – è divenuta ormai enigma universale. Scrive Le Monde che l´atmosfera di fine regno porta allo scoperto una Chiesa “scombussolata e sclerotizzata”. Incalza un organo cattolico prestigioso come La Croix per denunciare la stagione delle “mezze verità”, con un entourage papale affannato a “far credere ai cattolici e al mondo intero che non ci sia apprensione da provare”. Nessuno riuscirà più a rimuovere la questione e a bloccare gli interrogativi.
Ripetono alla noia gli araldi di un pontificato intoccabile e stagnante che la Chiesa non è una multinazionale. Naturalmente. È qualcosa di più. Una comunità estesa nei cinque continenti, con una solida struttura giuridica, una diplomazia, dicasteri centrali e realtà territoriali che arrivano fino alle lande più sperdute, con università, centri di ricerca, organismi di assistenza, scuole, asili, una banca, una radio, centinaia di migliaia di quadri… che fanno tutti capo ad un sovrano assoluto il quale (recita il canone 331 del codice di diritto canonico) “in forza del suo ufficio ha potestà suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa”.
Conta per chi è dentro e fuori sapere chi la governa e come la governa. Cambiano le cose se le scelte dei vescovi sono frutto di uno studio approfondito di dossier o vengono approvati benevolmente da un uomo malato al termine di un pranzo.
Karol Wojtyla, è noto, non intende dimettersi, vuole spendersi sino all´ultimo respiro. Nessuno, a norma del codice, può costringerlo. Meno noto è che lui stesso qualche anno fa ha sottoposto il quesito delle dimissioni papali ad una commissione segreta. L´uomo è capace di sorprese.
Non è senza significato che il suo vecchio compagno di studi, il cardinale argentino Mejia, ammonisca in queste ore: «È auspicabile e prudente che papa Wojtyla abbia scritto una lettera di disposizioni (con le dimissioni in bianco in caso di impedimento totale, n.d.r.) come fecero anche Paolo VI e Pio XII. Non prevederla creerebbe problemi nel caso la situazione dovesse precipitare».