A fine mattinata, nell’aula di Montecitorio, il gioco delle parti sul
decreto «Salva Rete4» si sta trascinando stancamente, gli oratori sono
costretti a parlare «sopra» un brusio diffuso, ma quando chiede la
parola un battitore libero come Bruno Tabacci, torna il silenzio. E lui
parla senza allusioni: «L’articolo aggiuntivo presentato dal governo
sulle concessioni autostradali evidenzia un clamoroso conflitto di
interessi», «l’urgenza appare legata alla questione Alitalia tanto che
l’articolo si potrebbe chiamare “lodo Ermolli”…». Con la frase-spot
Tabacci cattura l’interesse dei seicento colleghi presenti in aula e
insiste: «Lo schema di concessione è, a dir poco, in contrasto con gli
interessi dell’amministrazione, attribuendo alle società concessionarie
autostradali la possibilità di redigere i contenuti della concessione
stessa, evitando l’esame del Cipe» e «in alcuni casi by-passando
persino pareri negativi già espressi». E dunque, «altroché “salva
Rete4!”». Dai banchi della sua Udc, del Partito democratico e
dell’Italia dei Valori si alza un applauso liberatorio che segnala
l’evento: i riflettori si sono improvvisamente accesi su una questione
sulla quale i vertici di altri partiti, per motivi diversi, avevano
messo la sordina. La Lega e il Pd, probabilmente perché «affezionati»
alla gestione di alcuni tratti autostradali da parte di enti locali
controllati da quei partiti, mentre l’Italia dei Valori dell’ex
ministro alle Infrastrutture Antonio Di Pietro abbandona una iniziale
timidezza e cavalca la tigre polemica.
E
così, dopo l’intervento di Tabacci – sulle quinte e dietro – si è
aperta una complessa trattativa al termine della quale la Camera ha
approvato definitivamente la convenzione tra l’Anas e 13
concessionarie, la più importante delle quali è Autostrade per
l’Italia, società controllata da Benetton. Avviando così il superamento
di un contenzioso con l’Ue che si trascinava da mesi. Ma il via libera
è arrivato dopo che il presidente della Camera Gianfranco Fini aveva
manifestato, formalmente e informalmente, una forte irritazione con il
governo per le maglie troppo larghe del provvedimento. Mentre
l’opposizione, sulla scia della denuncia di Tabacci, ha poi continuato
ad attaccare, immaginando nella convenzione tra Anas e Autostrade per
l’Italia uno «scambio» tra governo e gruppo Benetton: la possibilità di
aumentare i pedaggi autostradali in cambio di un partecipazione diretta
alla cordata per Alitalia di cui Silvio Berlusconi parla da molte
settimane, finora senza dar seguito alle sue promesse. Il Pd, come già
in altre vicende, trascinato alla battaglia dai suoi partner di
opposizione, si è fatto vivo a provvedimento approvato con una
dichiarazione di Pierluigi Bersani: «L’emendamento è di una gravità
enorme» perché «lascia all’Anas la possibilità di decidere da sola a
chi dare in concessione un bene dello Stato», saltando il parere del
Cipe.
Una vicenda segnata anche da una vicenda parlamentare
particolarmente originale. Durante il dibattito il presidente della
Camera Fini ha espresso un certo disappunto sulla versione originaria
dell’emendamento governativo, che dava via libera alle convenzioni
dell’Anas stipulate anche dopo il varo del decreto governativo che
risale all’8 aprile. E dunque è stato Fini a suggerire al governo di
far rientrare nel provvedimento solo le convenzioni stipulate prima del
decreto. A quel punto il ministro Andrea Ronchi ha accolto l’«assist»
in modo così irrituale («Signor Presidente credo che la sua
riformulazione possa essere approvata dal governo») da suscitare
un’ondata di proteste. Pier Ferdinando Casini: «Ma non è il presidente
della Camera che può fare una riformulazione!» Ronchi si è corretto e
poi Fini ha avuto soddisfazione perché il governo ha accolto il suo
«consiglio».