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14 Luglio 2004

Sinistra radicale, che fare di quel 15%?

Autore: Alberto Asor Rosa
Fonte: Il Manifesto

Avrei voluto scrivere questo articolo prima delle ultime consultazioni elettorali (europee e amministrative). Anzi, avrei dovuto: perché qualcuno potrebbe ora pensare che il mio discorso ne risulti influenzato. Invece no: quel che è successo con le elezioni (andate abbastanza bene, comunque) e quel che dopo, cioè ora, sta succedendo come effetto di quelle, ha al massimo accelerato i processi e aumentato la confusione in atto: non ha modificato alcuna delle tendenze di fondo e soprattutto non ha risolto nessuno dei problemi che ci stanno sul collo da almeno quindici anni (che è, in politica, un tempo infinito). Anzi: come ho già detto, la confusione invece di attenuarsi è al massimo, e per giunta in ambedue i campi contrapposti. L’esito non del tutto irrealistico potrebbe essere il crollo della Seconda Repubblica prima ancora che sia nata e un ritorno, per giunta degradato e sotto tono, alla Prima (cui molti stanno già lavorando). Verrebbe voglia di dire: fermiamoci un momento e riflettiamo: dove stiamo andando? e soprattutto: dove vorremmo andare? Farò un ragionamento in punto di logica e non di fatto. E’ vero: i padri fondatori del pensiero moderno ci ammoniscono che la politica non ha a che fare con la logica ma con il fatto. Tuttavia: possono sussistere e per giunta esser guardati con favore fatti deprivati di qualsiasi logica? Il mio contributo aspirerebbe a verificare la possibilità di riaccostare le due sfere invece di rassegnarsi a darle per costitutivamente separate, anzi contrastanti.


Parlo del centro-sinistra, ovviamente. Io continuo a pensare che, sul piano della logica, la soluzione migliore sarebbe una federazione di forze di sinistra, dai Ds a Rifondazione, che dialoghi, dentro un quadro organico e irrinunciabile, con la componente più moderata del centro-sinistra (la Margherita, e quant’altro). Devo ammettere, però, che in questo caso, la divaricazione tra logica e fatto sembra ormai irreversibile. La maggioranza dei Ds tende a federarsi, e secondo taluni a fondersi, con la Margherita. Il fatto è che ad una logica formale si contrappone qui una logica più sostanziale: Prodi, Fassino e D’Alema sono attratti l’uno verso l’altro da una visione moderata sempre più condivisa (quindi, il mio appello alla logica funzionerebbe in definitiva anche in questo caso). Gli si oppongono infatti, significativamente, le componenti più schiettamente Dc della Margherita, capeggiate, udite, udite!, da un singolare democristiano di recentissimo completamento, Francesco Rutelli, le quali pensano in questo modo, per l’appunto, di favorire un ritorno alla Prima Repubblica.


In questo quadro, scartata la prima ipotesi come troppo irrealistica per esser logica, io trovo che il tentativo confederativo (e forse fusionale) degli «Uniti per l’Ulivo» (ossia il partito prodiano) sia da guardare con favore. Se la pensano davvero allo stesso modo, se nutrono più o meno gli stessi valori, perché non dovrebbero stare insieme? Si tratta di quella federazione o concentrazione o partito del 30 per cento, che costituirebbe la consistente (ma non schiacciante) ala moderata del centro-sinistra italiano. Condizione ne sarebbe che la manovra distorsiva rutelliano-democristiana sia battuta (e questo, come dirò più avanti, sarebbe già un bel guadagno).


Ma, naturalmente, io contemplo le vicende dell’ala moderata del centro-sinistra in maniera ormai distaccata, da osservatore imparziale, che si sforza di apprezzare le prospettive logiche dovunque esse si manifestino (e questa mi sembra tale). Sarei più interessato a introdurre elementi di logica nella sinistra del centro-sinistra, che in questo momento m’interessa di più.


Qui, se possibile, la situazione è molto più confusa e caotica che nell’ala moderata del centro-sinistra, il che è tutto dire. Nonostante gli innegabili passi avanti compiuti da Rifondazione comunista con l’operazione Sinistra europea, a me pare che le divisioni organizzative, i risentimenti personali, i crediti elettorali acquisiti (che a chi s’accontenta possono sembrare anche un cospicuo patrimonio), la forza inerziale di sopravvivenza dei vari personali politici, disegnino una situazione di frammentizzazione e di debolezza, che rappresenta il ricalco automatico e del tutto sterile di frammenti minoritari storici del mondo politico della Prima Repubblica. Dobbiamo ammettere che nel campo moderato del centro-sinistra un’ipotesi strategica è emersa; qui nulla.


Il rischio è che, in caso di auspicabile vittoria elettorale, ognuno dei cespugli della sinistra faccia da partner, contrattabile, alla federazione moderata, in tal caso necessariamente egemone. Al contrario, la forza elettorale di questo ambito (che va dal Correntone Ds a Rifondazione ai movimenti) è stimabile realisticamente, come s’è visto, intorno al 15%: una forza enorme se presa nel suo complesso, in grado di determinare diversi rapporti di forza all’interno del centro-sinistra e d’influire in maniera decisiva sulla formulazione dei programmi di governo.


Sarebbe logico, dunque, che nascesse una confederazione di sinistra organicamente collocata nel centro-sinistra, come ne sta nascendo una moderata. Però… Però io penso che su questo versante la domanda non possa non essere maggiore e più impegnativa: rappresenta uno dei punti d’onore (e dei rischi peggiori) della sinistra di tutti i tempi non accontentarsi delle mere convenienze. La domanda dunque diviene la seguente: esistono le condizioni minimali comuni perché questa confederazione vs fusione si possa realizzare come nel caso dei moderati del centro-sinistra?


Per dare una risposta a questa domanda, com’è sempre stato nelle tradizioni migliori della sinistra italiana (ed europea), bisognerebbe spostare il campo d’osservazione dalla politica alla cultura, e la domanda dovrebbe essere ulteriormente riformulata in questo modo: cos’è una cultura di sinistra oggi in Italia (e in Europa)? a quali interessi intende rispondere? quali convinzioni ideali la tengono insieme? Più radicalmente ancora: può esistere una cultura politica di sinistra nelle condizioni date della globalizzazione?


Su questo non una parola seria (solo slogan) nel corso dei famosi ultimi quindici anni. Per forza che ci ritroviamo solo piccoli scheletri organizzativi e militanze molto solide ma molto chiuse, legate alla forza residuale delle rispettive tradizioni. Qui non basterebbe la confederazione delle piccole forze esistenti, così come sono, ci vorrebbe una riflessione comune sui fondamenti. Se a qualcuno interessa, si può tentare di farla.


Infine. Tutto il ragionamento sta in piedi solo se non si torna indietro dal sistema bipolare al sistema proporzionale. Questa è la cartina di tornasole che evidenzia la distanza enorme tra chi intende ancora approfittare delle opportunità offerte tutto sommato dall’impianto istituzionale della Seconda Repubblica e chi vuole tornare al metodo della contrattazione permanente e multilaterale di ognuna delle forze nei confronti di tutte le altre. La logica anzi vorrebbe che, proprio per portare avanti il disegno rinnovatore del centro-sinistra, di tutto il centro-sinistra, il sistema bipolare fosse rafforzato in senso maggioritario. C’è qualcuno disposto ad ascoltarlo nella sinistra del centro-sinistra? Se non c’è, inutile parlare di nuova cultura mentre in politica stiamo tornando vertiginosamente alla vecchia.