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28 Maggio 2007

“Sì, la politica deve riformarsi ma è sbagliato evocare il ’92”

Autore: Massimo Giannini
Fonte: La Repubblica

«Ma sì, non c’è
dubbio che la politica sia in difficoltà, così come non c’è dubbio che nel Paese
ci sia un clima di scontento. Ma per favore, evitiamo di farci travolgere tutti
da un’ondata di qualunquismo».

Come lo Scalfaro del decennio passato, Carlo
Azeglio Ciampi pronuncia il suo sommesso “non ci sto”. E nel pieno di una
tornata di elezioni amministrative che misura l?indice di prossimità tra gli
elettori e gli eletti, e quindi il grado di fiducia del Paese nei confronti di
chi lo governa, l’ex presidente della Repubblica entra a modo suo nel campo
minato dei “costi della politica”, per parlare di quella che ormai si definisce
la “crisi della politica”. Non la nega, ma la circoscrive: «Cerchiamo di non
esagerare – dice – non è vero che l’Italia del 2007 è come quella del ’92. Pur
con tutti i suoi problemi e i suoi limiti, il Paese di oggi è infinitamente
migliore di quello di allora».

Da una parte caste chiuse che si riproducono per
partenogenesi e oligarchie autoreferenziali che confliggono tra loro. Dall?altra
corpi sociali in deficit di rappresentanza e cittadini semplici spremuti dalle
tasse. Di là privilegi, di qua sacrifici. In mezzo, la marea montante
dell’anti-politica, la voglia malsana di far collassare un sistema che non si sa
riformare. Lo spettro della gogna mediatica, il fantasma delle monetine
dell’Hotel Raphael. La liquidazione di un’intera classe dirigente, la tentazione
di uno sbocco tecnocratico. Ma è davvero questa, l’orrenda rappresentazione
dell’Italia di oggi, secondo la declinazione un po’ forzata costruita sulle
parole di Massimo D’Alema?

Ciampi, che non è un politico ma ha vissuto suo
malgrado nel Palazzo negli ultimi quindici anni, non accede a questa visione,
che parte dal pessimismo sulla mala-politica ma rischia di sconfinare nel
nichilismo dell’anti-politica: «Sta succedendo qualcosa di strano. In pochissimo
tempo, siamo passati da un panorama sociale caratterizzato da cielo nuvoloso, a
un clima da tempesta imminente. Io, onestamente, questo clima non lo respiro.
Vedo che c?è in giro un?insoddisfazione diffusa. Dico con assoluta convinzione
che non si può non condividere un certo allarme, per i ritardi sulle riforme,
per le inefficienze del sistema e per i costi dell’apparato politico. Ma
insisto: non si può fare di tutta un?erba un fascio. E non si possono fare
paragoni azzardati con un passato che, per fortuna, è davvero alle nostre
spalle».

L’ex Capo dello Stato se lo ricorda bene, quel passato. Nel ’93 fu
proprio lui a camminare tra le macerie di quel terribile ’92, quando i giudici
di Milano rasero al suolo Tangentopoli, il Paese sfiorò la bancarotta
finanziaria. Oggi Ciampi invita tutti a non fare accostamenti troppo azzardati,
che finirebbero solo per alimentare i focolai di qualunquismo. Quelli non furono
solo gli anni del simbolico linciaggio di piazza contro Bettino Craxi. Ma anche
quelli dell?avviso di garanzia quotidiano per i ministri in carica. Anche quelli
del contrattacco mafioso, con le stragi di Falcone e Borsellino e poi gli
attentati di Roma, Milano e Via dei Georgofili a Firenze. Ciampi visse quella
drammatica stagione prima da governatore della Banca d?Italia, poi da premier.
Per questo, oggi può dire: «Di problemi ne abbiamo tanti, ancora. Ma quanta
strada abbiamo fatto, da allora?». Questo invito alla prudenza nei giudizi,
tuttavia, non vuole nascondere le convulsioni che la nomenklatura sta vivendo. E
meno che mai vuole occultare le persistenti aberrazioni della partitocrazia.

«Anch’io ho letto “La Casta”, il libro che oggi sta avendo giustamente questo
grande successo. Anch?io resto colpito di fronte a certe storie di sperpero del
pubblico denaro. Del resto, la lotta agli sprechi e il risanamento delle finanze
dello Stato sono stati la missione della mia vita. L?obiettivo di tagliare
drasticamente certe spese inutili è giusto. Così come è sacrosanta la necessità
di dare risposte serie e immediate alla sana indignazione dell?opinione
pubblica. Tutti dobbiamo impegnarci di più, per tentare di risolvere questo
problema. Ma in questa fase dobbiamo evitare di essere travolti in una campagna
di discredito che investe tutto il sistema politico. Questa non aiuta, anzi
peggiora solo le cose». Ciampi cita un esempio che lo riguarda da vicino, e che
in queste settimane ha finito per porre anche lui al centro di qualche velenosa
polemica: le spese del Quirinale.

«Vede – osserva il presidente emerito – quello
è un tipico esempio di come un problema generale, se affrontato in modo
semplicistico, finisce per stravolgere il giudizio su un problema particolare.
Io non discuto la fondatezza dei dati sulle spese del Quirinale, riportati dal
libro di Stella e Rizzo e amplificati in questi giorni dai giornali. Ma io dico
che, per potere dare un giudizio obiettivo, bisogna distinguere tra dati
effettivi e dati contabili. E allora, se davvero negli ultimi anni i costi del
Colle sono aumentati dell?80%, questo è proprio il frutto di una dinamica non
effettiva, ma solo contabile. Tra il 2001 e il 2002 infatti decidemmo che per
ragioni di trasparenza i cosiddetti “comandati” presso la Presidenza della
Repubblica, che avevano lo stipendio base pagato dalle Amministrazioni di
competenza più un?integrazione finanziata dal Quirinale, fosse interamente
pagati dallo stesso Quirinale. Dal punto di vista dei costi generali dello
Stato, fu solo una partita di giro. Ma ecco che se si scorpora questo importo
dai costi del solo Quirinale, si scopre che quel clamoroso aumento delle spese
non c?è stato affatto». Il ragionamento dell?ex capo dello Stato non serve a
dimostrare che tutto va bene così

Al contrario, Ciampi ripete: «Dobbiamo fare
di più». Ma proprio per questo aggiunge: «Io, nel mio settennato, la mia parte
l?ho fatta. Primo: il compenso del presidente della Repubblica, sempre uguale
dal ?96, anno di inizio del grande risanamento, non è mai aumentato ed anzi,
d?accordo con il mio predecessore Scalfaro, decidemmo di sottoporlo a tassazione
piena, mentre prima era esentasse. Secondo: proprio allo scopo di monitorare al
meglio le spese, istituì un Comitato dei revisori, composto da tre funzionari
della Corte dei conti e della Ragioneria. Insomma, su questo terreno non accetto
lezioni proprio da nessuno. La mia storia parla per me?». Ciampi ci tiene a
ribadirlo, proprio nei giorni in cui, soprattutto da una destra becera e
populista, partono certe campagne avvelenate, per esempio sui trattamenti
pensionistici di politici, amministratori e grand commis dello Stato.

Anche su
questo versante, il presidente emerito ha qualcosa da dire: «La mia denuncia dei
redditi è pubblica. Agli atti della Presidenza del Consiglio. Basta consultarla,
per vedere che il mio reddito principale è una generosa pensione della Banca
d?Italia, dove ho lavorato per 47 anni. Credo di averla meritata, in tutta
onestà». Premesso questo, lui stesso conviene sulla necessità di intervenire su
certi privilegi, su certi trattamenti “speciali”, che riguardano sia i
parlamentari, sia soprattutto gli amministratori locali. Ma anche qui, «bisogna
intervenire dove è necessario, senza mettere tutti nello stesso calderone». Come
se tutti fossero ladri, grassatori, disonesti. A questa deriva Ciampi non vuole
arrendersi. Teme che, per questa via, si arrivi a soluzioni imprevedibili e
nefaste per i destini della Repubblica. Registra anche lui gli effetti del
manifesto politico di Montezemolo. Riflette anche lui sulle prese di posizione
di Mario Monti, a proprosito delle differenze tra “tecnici” e “politici”.

E da
tecnico a sua volta prestato alla politica commenta: «Vede, in Italia la discesa
in campo dei “tecnici” deriva indubbiamente da una certa debolezza della
politica. Io non colpevolizzo i tecnici, in assoluto. Ma c?è tecnico e tecnico.
Per me, come dimostra la mia vicenda, quando un tecnico è chiamato dalla
politica si deve mettere al servizio del Paese. E non deve farsi prendere dal
desiderio di potere. Deve limitarsi a compiere al meglio il suo incarico, e poi
ritirarsi in buon ordine. Io l?ho sempre fatto. Lo feci nel ?93 da presidente
del Consiglio, quando in molti volevano che il mio governo diventasse ?sine
die?, e invece andai dal presidente della Repubblica a rimettere il mio mandato.
Lo feci nel ?96 da ministro del Tesoro, prima col governo Prodi e poi col
governo D?Alema, a cui scrissi una lettera per dirgli che restavo ancora al mio
posto ma solo perché “l?euro è un matrimonio celebrato, ma non ancora
consumato”, e per questo rimasi fino all?avvenuta consumazione del rito. Lo feci
nel 2006 da presidente della Repubblica, quando resistetti alle sirene di chi mi
chiedeva di restare al mio posto, e invece risposi di no, perché avrei
introdotto un precedente inedito nella nostra storia, introducendo una forma di
“monarchia repubblicana” che mal si confà alla nostra democrazia e alla nostra
Costituzione». Anche oggi, quindi, per Ciampi dovrebbe valere la stessa regola.

Se la “crisi della politica” dovesse riprodurre l?emergenza di una “supplenza”
tecnica al governo, l?unico principio che dovrebbe valere sarebbe questo:
rendere il proprio servizio al Paese, e poi fare un passo indietro. Ma questa,
nella valutazione di Ciampi, è un?emergenza che la politica non dovrebbe
consentire. L?anomalia della “surroga” è e deve restare un?eccezionalità.
Nonostante le contraddizioni in cui si dibatte, la politica di oggi ha i mezzi e
gli strumenti per dare le risposte che i cittadini si aspettano. E per
riaffermare il proprio “primato”. A Ciampi è piaciuta molto, la vecchia battuta
che gli disse l?Avvocato Agnelli, ricordata su queste colonne quattro giorni fa
da Ezio Mauro: “Se fallisce lei, dopo c?è solo un cardinale, o un generale?”.
Secondo il presidente emerito, quel tempo è finito. E non deve mai più tornare.