L´ASSASSINIO un mese fa di Rafik Hariri, l´ex primo ministro libanese, ha dato nuova vita a una vecchia idea: sfruttare la questione dell´indipendenza libanese per pregiudicare la posizione strategica della Siria.
Ricorrendo a quanto stabilito da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvata l´estate scorsa, il presidente Bush e altre autorità di alto livello stanno incalzando il “regime siriano” a ritirare dal Libano le proprie milizie e il personale delle intelligence e ad abbandonare qualsiasi ruolo politico detenga ancora in quel Paese.
I falchi dell´Amministrazione ? come il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld (che in qualità di inviato in Medio Oriente del presidente Reagan assistette al fallimento dell´incursione americana nella guerra civile libanese) ed Elliott Abrams del Consiglio per la sicurezza nazionale (un cui precedente coinvolgimento nella politica libanese contribuì a far nascere lo scandalo Iran-contra) ? ritengono che una simile linea d´azione consentirebbe l´insediamento a Beirut di un governo filo-occidentale che potrebbe essere gradito a Israele e che potrebbe concorrere a dare nuova immagine all´ascendente americano. Credono anche che ciò possa preparare il terreno per il tracollo del regime siriano, consentendo così di rimuovere un altro “Stato canaglia” baathista.
Le agitazioni scatenatesi in Libano dall´assassinio di Hariri ? che hanno raggiunto l´acme questa settimana con le dimissioni del primo ministro Omar Karami appoggiato dalla Siria ? potrebbero effettivamente rappresentare un´apertura strategica, ma non per la rischiosa e massimalista linea d´azione che alcuni esponenti dell´Amministrazione americana paiono essere intenti a perseguire.
Tanto per cominciare, qualsiasi tentativo di dare vita a un governo libanese filo-occidentale incontrerebbe le resistenze di Hezbollah, il più grande partito del Parlamento libanese, che per avere in passato combattuto Israele è legittimato agli occhi dei libanesi tanto quanto l´opposizione anti-siriana. Di fronte a tali resistenze, i tentativi di instaurare un governo filo-occidentale fallirebbero, provocando così nella regione una maggiore instabilità che gli Stati Uniti potrebbero malamente affrontare.
L´Amministrazione Bush ha compreso che nell´immediato futuro qualsiasi ordine politico in Libano che rifletta quella che la Casa Bianca definisce «la complessità del paese» implicherà inevitabilmente un ruolo di rilievo per Hezbollah? L´Amministrazione è davvero fiduciosa di poter contenere Hezbollah senza una dirigenza siriana in loco, e avendo come unica guida esterna del gruppo un Iran sempre più intransigente? Persino il consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro Ariel Sharon ha ammesso di recente che un ritiro precipitoso della Siria dal Libano potrebbe costituire una minaccia per Israele.
Oltretutto, l´improvvisa fine del regime guidato da Bashar al-Assad non necessariamente favorirebbe gli interessi americani. La società siriana è frazionata quanto quella irachena e libanese. Qualora Assad fosse destituito la conseguenza più probabile sul breve periodo sarebbe il caos e molto verosimilmente l´ordine politico che si configurerebbe da tale caos sarebbe fortemente islamista. Tutto sommato, la linea d´azione più promettente (nel caso in cui, però, sia graduale) per promuovere le riforme in Siria è quella di coinvolgere Assad e di dargli più poteri, non quella di isolarlo e di rovesciarne il regime.
Per sfruttare saggiamente le attuali contingenze, l´Amministrazione Bush deve abbandonare il proprio attaccamento ideologico a un periodo ormai superato ? quello in cui i leader cristiano-maroniti dominavano il Libano ? e deve altresì accantonare le fantasie di uno Stato democratico strategicamente neutralizzato che possa emergere in Siria nel giro di pochi mesi. Abbiamo già percorso in precedenza questa stessa strada durante la guerra civile del Libano: questa strada conduce all´uccisione di americani o alla loro presa in ostaggio in attentati terroristici. Conduce a compromettere la nostra credibilità tramite la nostra incapacità a far corrispondere una politica sostenibile alle nostre affermazioni.
È invece opportuno e intelligente sfruttare l´attuale attenzione posta sulle posizioni della Siria in Libano per acquisire miglioramenti concreti nell´ambiente politico libanese. Con l´aiuto dei partner internazionali e dei più importanti Stati arabi, dovrebbe essere possibile ottenere il ridispiegamento in Siria o nella Valle della Bekaa in Libano delle ultime truppe siriane presenti nelle città libanesi, in conformità all´accordo di Taif del 1989 che pose fine alla guerra civile libanese. Le recenti dichiarazioni di Assad indicano chiaramente che dovrebbe altresì essere fattibile indurre il governo libanese e quello siriano a negoziare una tabella di marcia per il ritiro di tutti i soldati siriani. Nei quattro anni e mezzo dacché è presidente, Assad ha già ridotto della metà il contingente siriano in Libano, gettando così le basi per un´ulteriore riduzione.
Raccogliendo l´invito di Assad al dialogo bilaterale, l´Amministrazione potrebbe anche negoziare un più libero processo elettorale per il Libano, monitorato da osservatori internazionali. Gli Stati Uniti, però, dovrebbero riconoscere che questo processo di apertura politica si attuerà nel corso di anni, piuttosto che in settimane o mesi, e comprendere che si dovrà procedere con grande prudenza per evitare un riemergere delle violenze di parte.
Come la Siria si ritirerà dal Libano, gli Stati Uniti dovrebbero servirsi di questa circostanza per far leva sul migliorato atteggiamento siriano in relazione a questioni che senza dubbio stanno maggiormente a cuore agli interessi americani nella regione, come il supporto che la Siria assicura ai ribelli in Iraq o alle attività terroristiche contro Israele. La decisione di Damasco di procedere alla consegna del fratellastro di Saddam Hussein e di altri baathisti iracheni in sostanza non è stata presa per effetto delle pressioni americane in Iraq, ma è stata piuttosto determinata dall´interesse di Damasco a distogliere l´attenzione dalle crescenti critiche per il suo ruolo in Libano.
L´Amministrazione Bush può conseguire più sostenuti miglioramenti nel comportamento della Siria in relazione all´Iraq e al terrorismo usando la minaccia di un più intenso biasimo per l´egemonia siriana in Libano ? comprese eventuali iniziative del Consiglio di Sicurezza ? alla stregua di un più che necessario bastone da mostrare a Damasco nel repertorio delle opzioni politiche possibili. Washington, infine, non dovrebbe temere di mostrare ad Assad anche le carote che sarebbe disposta a offrire in cambio di una maggiore collaborazione. Così facendo, il presidente Bush potrebbe perseguire alcuni dei suoi più importanti obiettivi nella regione e al tempo stesso migliorare concretamente la vita dei libanesi.
*(L´autore è stato direttore per gli Affari mediorientali al Consiglio per la sicurezza nazionale. Oggi è senior fellow del Saban Center per la politica mediorientale della Brookings Institution, e ha scritto “Inheriting Syria: Bashar´s trial by fire” di imminente pubblicazione.
Copyright “The New York Times”. Traduzione di Anna Bissanti)