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21 Gennaio 2007

Se Prodi cadrà, la sinistra scomparirà

Autore: Eugenio Scalfari
Fonte: La Repubblica

L´ampliamento della base militare Usa a Vicenza sembrava una piccola cosa, una bega di cortile. Invece, con una reazione a catena, sta provocando un parapiglia. Rifondazione, Verdi, Comunisti e pacifisti sciolti e a pacchetti pretendono, quasi come ritorsione, che l´Italia si ritiri dall´Afghanistan dove il nostro contingente sta da cinque anni sotto le bandiere della Nato in quanto Paese membro della Nato e sta sotto le bandiere dell´Onu in quanto Paese membro dell´Onu.
Il rischio d´una crisi di governo si profila. Il rifinanziamento della missione si farà con decreto, ma poi, entro marzo, il decreto dev´essere convertito in legge. Il rischio che almeno al Senato la conversione sia respinta esiste ed è decisamente elevato. Sono sei o sette i dissidenti dell´estrema sinistra decisi a votare contro anche a dispetto dei rispettivi partiti e non pare, allo stato dei fatti, che valga a recuperarli qualche solenne promessa di ridiscutere con gli alleati gli obiettivi e la natura della missione e neppure la blindatura del voto di fiducia.
La verità è che la loro dissidenza non è controllabile dai partiti di appartenenza. Di provocare la caduta del governo se ne infischiano. Si direbbe anzi che la auspichino. L´errore fu d´averli portati in Parlamento pur conoscendone il carattere e l´ideologia del tanto peggio tanto meglio che alligna in quelle teste pseudo-rivoluzionarie.
Ci sono tre possibili alternative a questi ipotetici accadimenti. La prima è di riuscire a convincerli. Improbabile. La seconda è appunto di blindare il voto con la richiesta di fiducia: esito molto incerto. La terza è una votazione non blindata con il soccorso bianco ma determinante da parte dell´Udc e forse perfino di Forza Italia. Che però potrebbe determinare, a quel punto, non la semplice dissidenza d´una manciata di cani sciolti, ma di interi partiti della sinistra massimalista e uno spettacolare cambio di maggioranza.
Se questa terza ipotesi diventasse realtà, il Capo dello Stato dovrebbe rinviare il governo alle Camere prima di accettarne le dimissioni. Si potrebbe allora verificare che la maggioranza di centrosinistra, cui Prodi dovrebbe rivolgersi per ottenere la riconferma della fiducia, gliela votasse riconfermandolo in carica e archiviando per altri sei mesi la questione afgana (e di conseguenza anche quella vicentina).
L´ipotesi non è del tutto irreale, ma è evidente che si balla sul filo del rasoio e si producono ulteriori fenomeni di distacco e disincanto nella pubblica opinione. Eppure.
Eppure negli ultimi dieci giorni le cose avevano preso una diversa piega. Sembrava, ad ascoltare la tivù e a leggere i resoconti dei giornali e i commenti di gran parte degli osservatori, che la riunione di Caserta avesse messo in evidenza l´impotenza decisionale di Prodi, la débãcle dei riformisti, la netta supremazia della sinistra radicale. Anche l´agenda delle priorità che il governo si proponeva di affrontare entro il 2007 (dopo aver ottenuto entro i termini prestabiliti l´approvazione della Finanziaria che avrebbe invece dovuto essere la sua tomba secondo le previsioni dell´opposizione) era stata immediatamente definita aria fritta.
Ma i fatti sono invece andati in modo alquanto diverso. Li enumero.
Mercoledì scorso governo e sindacati hanno approvato all´unanimità un documento di riforma del pubblico impiego, basato sui principi dell´efficienza, della meritocrazia, della mobilità, dei percorsi per stabilizzare i lavori precari e di sanzionare gli impiegati improduttivi, di incentivare lo smaltimento rapido degli esuberi. Questo documento servirà di base alla stesura del contratto e, per le parti che debbano essere trasformate in norme, per la formulazione di un´apposita legge.
Il ministro Bersani ha ricevuto nel frattempo il via libera dal governo di presentare entro il corrente mese di gennaio la lista dei provvedimenti di liberalizzazione da lui preparati.
Prodi dal canto suo ha preso la decisione di consentire l´ampliamento della base militare Usa a Vicenza, questione assai controversa sia per ragioni di pacifismo ideologico sia di diverse valutazioni ambientali.
In quegli stessi dieci giorni dopo Caserta il ministro degli Esteri ha compiuto l´ennesimo viaggio in Medio Oriente, tra Arabia Saudita, Egitto e Palestina, ribadendo i cardini della linea politica del nostro governo che privilegia i negoziati e il dialogo anche con i due Stati-canaglia (Siria, Iran) come principale via per pacificare la regione.
Il governo ha convocato il primo incontro con i sindacati per iniziare l´esame delle questioni che regolano il nuovo assetto delle previdenze sociali, degli ammortizzatori e delle pensioni. Un incontro è già avvenuto con i rappresentanti delle piccole imprese, dei commercianti, delle cooperative, degli artigiani.
Naturalmente ciascuna di queste iniziative ha provocato reazioni positive e negative. Ne esamineremo tra poco la natura. Tutto ciò – lo ripeto – è avvenuto nei dieci giorni da Caserta a oggi. Fatti alla mano, non mi pare che si possa accusare il governo di ignavia, passività, impotenza, galleggiamento. Molte altre critiche e anche acerbe gli possono essere rivolte e gli sono infatti state rivolte senza risparmio, ma queste no. Sta procedendo speditamente sulla strada che si era prefissa e sulla quale ha avuto il voto degli elettori.
Per completezza – e prima di proseguire l´analisi dei fatti e del loro significato politico – ricordo che a Torino mercoledì scorso il ministro Padoa-Schioppa, invitato dal rettore a svolgere una conferenza su Altiero Spinelli, è stato contestato con urla e petardi fin nel cortile dell´Università, da 50 rappresentanti di centri sociali, Cub e frange estreme di studenti, ed è stato seguito con attenzione e applaudito da 600 studenti e docenti nell´aula in cui parlava.
Due giorni dopo è toccato a Prodi d´esser fischiato da un centinaio di fascisti che lo hanno accolto col saluto a braccio teso all´Università Cattolica di Milano, dove l´aula magna gremita l´ha invece lungamente applaudito isolando i disturbatori.
Purtroppo di questi episodi la televisione e gran parte dei giornali hanno registrato con le immagini e i titoli i fischi dei pochi sottovalutando gli applausi dei più. Non credo per faziosità, ma per canone. Quale canone? Mi sembra interessante affrontare anche questa questione.
Spesso noi giornalisti tendiamo ad evitarla perché in qualche modo ci riguarda direttamente. Ma mi valgo in questo caso d´una annosa esperienza e invoco l´attenuante del mio stato di anziano pensionato. Alla mia età, tra tanti guai e lamentazioni, c´è almeno il privilegio di poter dire senza riguardi ciò che ci aggrada. È uno dei pochi vantaggi che la vecchiaia porta con sé.

* * *
Le agenzie di stampa danno notizie. In ordine cronologico. Quelle che ritengono di particolare interesse per i loro abbonati le fanno precedere da un suono che le sottolinea. I telegiornali e soprattutto i giornali, oltre alle notizie pubblicano anche opinioni, analisi, retroscena. L´oggettività della notizia è accompagnata dalla soggettività dei commenti.
Ma anche l´oggettività della notizia contiene una buona dose di soggettività che stabilisce le pagine in cui sono pubblicate, il rilievo tipografico, il titolo che le sintetizza.
Il limite alla soggettività proviene dalla deontologia la quale vuole che le notizie siano complete. I cattivi giornali spesso ignorano questa prescrizione deontologica; i buoni giornali invece la rispettano, almeno formalmente, ma non sempre sostanzialmente. Spesso accade infatti che una parte della notizia sia messa in rilievo nel titolo e nel testo e un´altra parte relegata tra due virgole o quasi. Qual è il criterio prevalente, faziosità a parte?
Il criterio è l´eccezionalità. L´uomo che morde il cane (come ho già detto altre volte) è una notizia più importante perché eccezionale, del cane che morde l´uomo (a meno che non l´ammazzi).
Un presidente del Consiglio fischiato è certamente una notizia d´eccezione. Il presidente d´un governo di centrosinistra fischiato da attivisti fascisti lo è invece molto meno. Un ministro dell´Economia che adotta una politica di rigore, contestato da un gruppo sparuto di sinistra massimalista non è un fatto eccezionale ma del tutto normale.
Quando Berlusconi a Vicenza attaccò lo stato maggiore della Confindustria in un convegno promosso da quei maggiorenti e fu accolto dall´ovazione d´una platea di industriali, quella fu un fior di notizia e giustamente tenne banco per mesi (lo tiene tuttora). Quando i tre segretari dei sindacati confederali sono stati contestati dagli operai di Mirafiori, quella fu un altro fior di notizia. Ma il Prodi fischiato dai fascisti e il Padoa-Schioppa contestato da un gruppetto di Cobas e centri sociali, queste a mio avviso non sono notizie che meritino particolare rilievo. Invece su alcuni giornali, e non dei minori, hanno avuto sette colonne di testata di prima pagina e l´apertura nei telegiornali delle ore 20.
Naturalmente c´è una giustificazione: la linea determina una scelta. È perfettamente legittimo che un giornale abbia una sua linea e quindi è legittimo che compia le sue scelte (soggettive). Avviene nei “media” di tutto il mondo e quindi anche in Italia.
Il mercato dei “media” è uno dei pochi luoghi in cui vige una concorrenza accanita, che riguarda molteplici aspetti. Riguarda anche la politica, ma lì la varietà concorrenziale è minore: o si sta col governo o si sta con l´opposizione o si sta in mezzo. In teoria la posizione deontologicamente più corretta sarebbe quella di stare nel mezzo, a volte da una parte a volte dall´altra secondo il giudizio sui singoli fatti. Ma questa, appunto, è teoria.
In realtà quest´imparzialità cosiddetta anglosassone non è mai stata adottata neppure dagli anglosassoni. C´è sempre una tendenza, un sentimento, un umore dominante che fa pendere da una parte i piatti della bilancia.
La dominante nella maggior parte dei “media” italiani, per fortuna con qualche rilevante eccezione, tende verso forme di neo-centrismo. Gli attori politici ed economici conoscono benissimo questa inclinazione mediatica e infatti l´agenda neo-centrista viene adottata da gran parte dei giornali e dei telegiornali; è stato così con il governo Berlusconi e lo è con il governo Prodi. Con una differenza notevole: Berlusconi possiede metà dell´universo mediatico nazionale e Prodi no; Berlusconi disponeva d´una maggioranza di cento deputati e cinquanta senatori mentre Prodi ha un solo senatore di maggioranza e, sulla questione Afghanistan, probabilmente neppure quello, sia che metta la fiducia sia che non la metta.
Mi domando che cosa potrebbe accadere dopo.

***
Dopo, se la crisi non sarà in nessun caso evitabile, ci sarà un governo di transizione con il compito di approvare alcuni provvedimenti economici urgenti e la riforma della legge elettorale. Sarà un governo del Presidente (della Repubblica) come sempre avviene nei governi transitori, con compiti e tempi ben delimitati.
Credo che a quel punto il partito democratico nascerà veramente, dettato non solo dall´opportunità ma dalla necessità. Credo anche che, dissolte ormai le coalizioni, la legge elettorale sarà mirata a limitare se non ad escludere del tutto i partiti che si sono dimostrati ribelli o incapaci di tenere a freno le loro frange estreme.
Infine si andrà a votare, in autunno o al massimo nella primavera 2008.
Fare previsioni ora per allora è impossibile. Certo il baricentro politico si sarà spostato e non certo verso la sinistra. Chi avrà seminato vento raccoglierà tempesta, o meglio: tornerà a casa con le classiche pive nel classico sacco.