L’impettito
uomo dei servizi (o dovremmo dire imperterrito?) che si aggira e scompare fra
la nuvolaglia di fumo con in mano la borsa di Paolo Borsellino. La borsa
che, alla fine di quel tragitto, non conterrà più l?agenda. Fatta sparire,
altro che volatilizzata. Il punto di osservazione sul luogo della strage,
ideale e tenebroso, rappresentato dal Castello Utveggio. Le misteriose
utenze telefoniche che il giorno dell?Apocalisse, a pochi minuti dalla
strage di via D’Amelio, entrano in fibrillazione da Palermo in direzione degli
“States”. Per notificare l?accaduto? Tranquillizzare? Chiedere conforto al
dante causa dello sterminio appena commesso? Sollecitare altre direttive? La
mano che premette il telecomando innescando la catena dell?esplosione? Mai
trovata. Figuriamoci il corpo del killer, il corpo del mandante. E poi
perché, e per chi, furono uccisi Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Cusina,
Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano?Cui prodest? Qualcuno
sa dirlo, spiegarlo, motivarlo? No.
Diversamente non saremmo ancora a
discuterne.Allora, nel giorno canonico dell?anniversario di via D’Amelio, è
il momento adatto per stilare un piccolo promemoria a uso dei tanti
smemorati di Collegno che spesso frequentano le stesse fila della lotta alla
mafia.Strage bastarda. Strage commessa da bastardi. Se si potesse declinare una
scala di valori dello stragismo, diremmo che quella di via D?Amelio è la
strage più bastarda di tutte. Orfana di spiegazioni, orfana di una logica,
indipendentemente dalla personalità incommensurabile di Paolo Borsellino.
Cercheremo di spiegare la pesantezza di questa affermazione, specificando
che tutte queste considerazioni si riferiscono a quanto risulta acquisito
per tabulas processuali. Non al senso comune della gente, nel cui
immaginario collettivo era ed è fin troppo ovvio che dopo Falcone doveva
scoccare l’ora di Borsellino.
Ma anche per questa banalissima riflessione:
solo un club di pazzi incoscienti avrebbe lanciato un secondo ordigno
nucleare sullo stesso obbiettivo quando il fungo sollevato dal primo (la
strage di Capaci) non si era ancora diradato e non si sapeva che reazione ne
sarebbe conseguita da parte dello Stato. E tutto si può dire dei mafiosi
tranne che siano kamikaze. Vigliacchi, semmai, kamikaze no.Riflettete: della
strage di Capaci, quasi subito, si seppe tutto. Di quella di Via D’Amelio,
quindici anni dopo, non si sa quasi nulla. A volere essere più precisi:
mezze verità. Questa seconda parte della considerazione non è nostra, è di
Rita Borsellino, l?altra sera, durante un dibattito a palazzo Steri, a
Palermo, di fronte a quelli che potremmo definire gli Stati generali
dell?antimafia: i vertici della nuova Procura di Palermo al gran completo.
Una spiegazione c?è. Altra considerazione della Borsellino.
Dopo Capaci, una
valanga di pentiti. Dopo via D’Amelio, quasi nulla. E aggiungiamo noi:
neanche le proverbiali ?bocche cucite?. Neanche le proverbiali scimmiette
del folklore mafioso: «nenti sacciu, nenti vitti, nenti dissi». Strano. Solo
un povero diavolo, Enzo Scarantino, del quale forse si sono perdute le
tracce anche all?anagrafe, che si pentì, ritrattò, si ripentì, e così
all?infinito. Un povero diavolo, indiscutibilmente un ragazzaccio mafioso,
che forse disse le cose che disse non secondo scienza e coscienza, ma perché
ritenne opportuno che dirle fosse meglio che non dirle. E speriamo che la
frase, per quanto ingarbugliata, in fondo renda bene l?idea. Scarantino non
riuscì ad avvalersi del quarto comma della costituzione delle scimmiette del
folklore mafioso che così recita: «signor presidente, e si chiddu chi dissi
costituisci dittu .. comu si nun l?avissi dittu». (E se quello che ho detto
rappresenta parola detta come se non l?avessi detta). Insomma, alla fine, le
mezze verità di Scarantino furono in qualche modo utilizzate. E Scarantino
diventò così un Ercole processuale sulle cui spalle furono caricate forse
eccessive certezze.
D’altra parte, sono cose note agli addetti ai lavori,
consegnate ai dibattimenti. Non é vero infatti che queste vicende non ebbero
mai riconoscimento processuale. Se ne discusse invece. Eccome se ne discusse. E
il cronista ne fu testimone, e non da solo: insieme a tanti altri colleghi.
Se non altro perché furono i migliori avvocati di mafia a sollevarle. Gli
stessi avvocati che hanno sempre goduto di buona stampa, anche se,
nonostante la buona stampa, sia detto per inciso, gli avvocati dei mafiosi
hanno collezionato una gran quantità di condanne per i loro assistiti a
fronte di rare assoluzioni. Possibile che tutti abbiamo dimenticato? Se si fosse
dimostrato che a fianco della mafia, dietro la mafia, o, a volerla dire più
grossa, sopra la mafia, c?era un?altra entità, gli imputati, alla fin fine,
un sia pur piccolo sconto di pena lo avrebbero ottenuto. Quelle che abbiamo
elencate all’inizio sono le storie mai chiarite, sussurrate, qualche volta
conclamate. Provate? Eh no: provate no, mai. Seduto in prima fila, Francesco
Messineo, procuratore capo, impassibile tanto quanto attento a ogni parola
dei suoi aggiunti o sostituti, sembra non gradire né flash né telecamere.
Guido Lo Forte: «L?uccisione di Emanuele Notarbartolo, fine 800. Il
direttore del Banco di Sicilia che voleva recidere il nodo del credito
concesso ai mafiosi dell?epoca. Tutto così chiaro…
Condannati i killer,
condannati i mandanti. Qualche anno dopo, invece: tutti assolti. Con
banchetti e festeggiamenti a Palermo mentre il figlio di Notarbartolo morì
in esilio».Roberto Scarpinato: «La mafia non è una patologia del sistema
italiano, ma un fenomeno che dura almeno da 150 anni. È forse azzardato
sostenere che la mafia rappresenta la fisiologia più che la patologia?».Nino
Di Matteo: «Il problema resta lo stesso: il nodo mafia e politica. Quella
che i mafiosi chiamano la spartizione della torta, o, in altre parole, sedersi
al tavolino». Antonio Ingroia: «Possiamo chiedere se e quando verranno
cancellate le leggi vergogna che rappresentano un intralcio alla lotta alla
mafia?»Conclude Beppe Lumia, vicepresidente dell?antimafia: «Non è giusto
dire che non siano stati raggiunti risultati. Tante cose sono state fatte.
Certo: la politica non mantiene le sue promesse: e questo è un problema…».
Insomma: molti il bicchiere lo vedono mezzo vuoto, altri mezzo pieno.
Direte: ma con la strage di via D’Amelio che c’entra? C’entra. Quelli che
hanno parlato l?altra sera potevano spingersi sino a un certo punto. Ma non
di soli magistrati e parenti delle vittime può vivere l?antimafia. La
politica spesso ripete che vuole riconquistare il suo primato. Se non lo fa
su questo tema è destinata a restare piccola piccola. E la lotta alla mafia,
battaglia perduta in partenza.