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7 Settembre 2005

Se la Chiesa tifa per il terzo polo

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica

CENTRO, centro, centro. Ne parlano tutti, per auspicarlo, battezzarlo, esorcizzarlo. Eppure sulla questione del centro incombe un grande silenzio. Quello della Chiesa. Che per storia e dottrina sarebbe uno degli interlocutori privilegiati. Ma che in questo momento tace. Non un parola. Prudenze. Cautele. Quasi sempre il rifiuto di assumere una posizione netta, di offrire una dichiarazione, un appoggio, un diniego. Un atteggiamento comprensibile, del resto.

Dopo la metamorfosi della Dc e la disintegrazione del Partito popolare, in un decennio la gerarchia ecclesiastica ha dovuto abituarsi faticosamente al bipolarismo.Adesso che il tema del centro è tornato con forza inedita nel dibattito politico, prevale una disposizione scettica. Meglio non farsi implicare. Meglio le mani libere. Eppure qualcosa trapela.

Ad esempio, negli ambienti cattolici ha sollevato un certo scalpore l´intervista rilasciata a fine agosto dal rettore dell´Università Cattolica di Milano, Lorenzo Ornaghi, al Corriere della Sera. Non soltanto perché lo scienziato politico Ornaghi è un uomo prudente, taciturno quanto il suo maestro Gianfranco Miglio era esplosivo, quindi difficilmente inquadrabile in termini di schieramento politico; ma soprattutto perché a suo tempo la sua elezione venne sostenuta dal cardinale Camillo Ruini, il presidente della Cei.

Quindi risulta difficile attribuire alle sue riflessioni il carattere dell´occasionalità. Se poi una figura così politicamente guardinga si spende esplicitamente a favore del centro, non ci si sottrae facilmente all´idea di un via libera autorevole. Perché Ornaghi non si è limitato ad augurare al paese moderazione e centrismo; è entrato nei dettagli pratici: «È certamente vero che l´Udc e Casini, in questo momento di grave stagnazione politica, hanno rimesso in moto un percorso».

Conclusione: se un leader come il presidente della Camera avesse l´audacia politica di uscire dalla Casa delle libertà, «sarebbe un gesto molto interessante». Come endorsement non c´è male. Tempestivo, soprattutto. Anzi, formulato in un momento addirittura cruciale: perché fino a poche settimane fa, anzi fino a pochi giorni fa, i vertici della Chiesa, Ruini in testa, pensavano ragionevolmente che la partita si trovasse sui binari della totale prevedibilità.

La diagnosi politica riconosceva il sostanziale insuccesso del governo di centrodestra: perciò d´ora in avanti si sarebbe trattato più che altro di aspettare le elezioni e il cambio di fase, per trattare poi sul campo con il futuro governo di centrosinistra. Adesso le cose sono cambiate. Il “terzo polo”, che veniva considerato una seconda scelta, comincia ad apparire una possibilità non irrealistica.

Ciò risveglia sensazioni dimenticate: «La Chiesa ragiona sul lungo periodo», spiega il sociologo torinese Franco Garelli, autore di numerosi studi sulla religione in Italia. «La caduta della Dc ha reso certamente orfani la Chiesa e i gruppi cattolici di una sponda politica. L´effetto di spaesamento è durato alcuni anni, durante i quali il mondo cattolico si è scoperto diviso e frammentato al proprio interno, e collocato spesso ai margini delle dinamiche sociali».

Il che significa che il riapparire del centro suscita nostalgie? «Significa piuttosto che se si profila un´opportunità, essa genera attenzione e curiosità». Può sorprendere la rapidità con cui negli ambienti ecclesiastici di vertice si è consolidato un giudizio negativo sull´esperienza berlusconiana. Solo due anni fa, su Jesus, il deputato ulivista Franco Monaco si era rivolto all´episcopato chiedendo «perché tanto silenzio sull´Italia».

L´anno scorso anche padre Bartolomeo Sorge, su Aggiornamenti sociali, aveva parlato del «silenzio dei vescovi». Come ricorda lo storico milanese Guido Formigoni, Ruini aveva risposto a chiare lettere con un´intervista al Corriere: «Non è vero che non parliamo: semplicemente lo facciamo in modo diverso» (cioè sul piano antropologico, senza cedere alla critica «partigiana»).

Ma questa sorpresa, è la risposta che si raccoglie negli ambienti ruiniani, dipende dal fatto che i laici hanno una percezione imprecisa della Chiesa: «Avete pensato che ci fosse un via libero completo a Berlusconi, ma questo non era vero», dice Ornaghi. Certo, di qui ad aspettarsi un appoggio a Romano Prodi ne corre. Semmai, sono sempre più numerosi i commenti favorevoli a Francesco Rutelli.

Per la posizione assunta dal leader della Margherita all´epoca del referendum sulla procreazione assistita, ma soprattutto per la capacità dimostrata nell´ascoltare le ragioni del magistero cattolico, per i contatti avuti, e per aver saputo elaborare una riflessione qualitativamente apprezzata dai vescovi. Al contrario Prodi sconta una diffidenza di lunga data, e il risentimento ruiniano per la sua scelta di esercitare il diritto al voto all´ultimo referendum, quel «sono un cattolico adulto» che non gli ha guadagnato simpatie.

Basta questo per giudicare con ostilità il disegno del centrosinistra? Arturo Parisi ha sempre sottolineato come il bipolarismo sia una risorsa anche per la chiesa. Anzi, la leadership di un cattolico come Prodi «consente alla chiesa di avere interlocutori credibili anche da questa parte del sistema politico, una situazione nuova e feconda rispetto alla storia italiana».

Per anni, con gli articoli della rivista dehoniana Il Regno, e con gli incontri annuali di Camaldoli, un nucleo di cattolici legati al centrosinistra si è impegnato nel costruire un modello di prassi politica tale da risultare attraente per i settori non conservatori del mondo cattolico. Tutto questo rischia di andare fuori corso? Fra i prodiani c´è la convinzione che ora come ora l´impostazione degli schieramenti non è modificabile.

Nonostante i dialoghi riminesi tra Roberto Formigoni e Francesco Rutelli, si va alle elezioni con un confronto secco fra Cdl e Unione. A meno che non si verifichi una rottura irreparabile nel centrodestra, e l´Udc decida di andare da sola. Nel qual caso, la partita potrebbe riaprirsi.

Perché a differenza dell´”ondivago Fini”, che ha lavorato bene con gli oratori e ha dissipato il capitale con il referendum, Follini ha dimostrato di saper tenere una linea coerente, leale nella collocazione moderata ma intransigente nel sollevare argomenti (come la leadership) e il sistema proporzionale, che preludono a un superamento della Casa delle libertà.

A sua volta Casini ha intessuto una solida trama di rapporti istituzionali con gli ambienti ecclesiastici. Se dovesse scattare il varo della navicella neocentrista, Follini è il partito, il sottoscrittore di un´idea gradita alla “dottrina sociale” della Chiesa: «L´idea di un Paese moderno, pluralista, organizzato in corpi intermedi. Capace di coniugare coesione e mobilità, solidarietà e responsabilità.

L´idea di una politica che valorizzi tutto quello che costituisce legame: la famiglia, i partiti, le associazioni, la cura degli altri, la rappresentanza». Rispetto a questa ideologia, Casini è lo strumento operativo, il volto classico del potere postdemocristiano, la dimostrazione vivente di un´esperienza non sradicata da un passato ben conosciuto. Non è possibile dire quando si scioglierà il dilemma.

Di certo, da anni il cardinal Ruini sostiene che c´è «una sproporzione tra il radicamento sociale e la vitalità di iniziative che il cattolicesimo ha in Italia e la sua capacità di influsso culturale e politico». Quanto al bipolarismo, il presidente della Cei ha segnalato spesso la durezza del confronto, «l´eccessiva tensione», «la conflittualità e delegittimazione reciproca».

Ma per ora vale ancora il criterio stabilito al convegno ecclesiale di Palermo dieci anni fa, secondo cui la Chiesa non intende restare coinvolta in scelte di schieramento. Il centro insomma sembrerebbe un´equazione con troppe incognite. Una di queste è il ruolo di Benedetto XVI. Un papa «politicamente ingenuo», sostengono in molti. Distante dalla politica italiana, nonostante la sua lunga permanenza in Vaticano, «abituato a trattare la politica con i metodi della teologia», dice lo storico Alberto Melloni.

Sarà: ma al momento buono, in forme diplomaticamente soppesate, Ratzinger ha dato il suo appoggio al progetto astensionista di Ruini sul referendum. E se alla fine fosse un atto di ingenuità politica, sotto le forme della sapienza teologica, quella che infonderà vita al nuovo Zentrum italiano?