26 Marzo 2007
Saramago: «Nessun progetto, così l’Unione ha fallito»
Autore: Alessandra Coppola
Fonte: Corriere della Sera
LANZAROTE (Spagna) — «Nulla. Ecco che cos’è l’Unione europea». In biblioteca, nella sua poltrona di pelle nera, quella con il plaid a scacchi che gli ha piegato e sistemato su un bracciolo la moglie Pilar, José Saramago esercita la sua lucidità su mezzo secolo di storia comunitaria.
Dall’alto dei suoi 84 anni, della sua infanzia contadina (ora riemersa in As Pequenas Memórias, che usciranno a breve in Italia); della sua militanza comunista e anticlericale che dalla pubblicazione del Vangelo Secondo Gesù Cristo lo ha portato a lasciare lo scandalizzato Portogallo e a scegliere di vivere tra le pietre laviche delle Canarie; con il peso del suo lungo percorso letterario costellato da quasi quaranta libri e da un Premio Nobel custodito qui, nella casa di Lanzarote, in una cassaforte di cui ha perso la chiave, il grande scrittore portoghese guarda a Bruxelles e al resto del mondo «senza chiudere gli occhi», quasi rassegnato alle proprie visioni nere, come in Cecità la moglie del medico che — unica — non perde la vista davanti all’orrore.
Qualcuno lo chiama pessimismo. Lui risponde che per «essere ottimisti bisogna essere stupidi o multimilionari», perché «il pianeta non ci dà nessun motivo per l’ottimismo». L’Europa tanto meno: «L’Unione non ha alcun peso politico», dice Saramago. Di più: «L’Europa ha fallito. E a dirlo non sono stato io, ma Romano Prodi».
A quale episodio si riferisce?
«Tempo fa sono stato chiamato a far parte di un gruppo organizzato da Prodi, allora presidente della Commissione, per discutere del futuro dell’Europa. Una dozzina di studiosi, coordinati dall’ex ministro dell’Economia francese Dominique Strauss-Khan. Prodi è apparso nella prima riunione per dare il benvenuto e le sue parole sono state: “L’Europa ha fallito. A voi dunque chiedo una riflessione…”. Mi ha colpito molto questo riconoscimento esplicito. Noi abbiamo riflettuto e discusso per due anni, e abbiamo prodotto un testo di cento e passa pagine, che starà dormendo in un cassetto a Bruxelles».
Perché l’Europa ha fallito?
«L’Europa ha commesso numerosi errori e continua a commetterne. Non ha un piano, non sa che cosa vuole, elabora una Costituzione che alcuni Paesi rifiutano, entra in crisi, non sa come risolverla. Vuole essere un contrappeso nel gioco mondiale della politica. Ma non ha consistenza…».
Nonostante i 27 Paesi di cui oggi si compone?
«Siamo passati da 12 a 15 poi a 25 fino a 27. E adesso chissà entrerà la Turchia. Uno è portato a chiedersi: invaderemo l’Asia? Tutto è Europa? Com’è che la Turchia è Europa?
Serve un’operazione di prestidigitazione mentale per convincerci che la Turchia è Europa».
Non sembra favorevole all’ingresso di Ankara…
«Quando uno scrittore come Orhan Pamuk viene costretto ad abbandonare la Turchia per minacce di morte c’è di che preoccuparsi».
La questione dell’ingresso della Turchia apre il tema del confronto dell’Europa con l’Islam, e in particolare con la sua versione radicale…
«Gli europei hanno cattiva memoria. Quello che succede oggi mutatis mutandis è accaduto con il cristianesimo. Siamo stati tanto intolleranti nel passato come lo sono adesso gli islamici radicali. Abbiamo creato un’associazione criminale chiamata Sant’Uffizio. Non lo dico per togliere importanza a quello che sta succedendo, ai rischi, ai pericoli. Ma dovremmo essere un po’ meno presuntuosi».
Con queste premesse, ha senso che i Paesi europei continuino il cammino insieme?
«Camminare insieme… La questione non risolve il problema fondamentale, storico, dell’Europa. Le vicende europee si possono riassumere in modo molto chiaro: conflitti continui per contendersi il potere, e cioè per sapere chi comanda…».
E chi comanda oggi?
«Io credo che sia la Germania. In principio sembrava che dovesse succedere rapidamente, poi c’è stata una specie di frenata, ma è molto chiaro ora che sarà la Germania a guidare l’Europa, secondo criteri che speriamo siano comunitari. Anche se sappiamo che ogni Paese continua a difendere i propri interessi esclusivi, egoistici, e in fondo non si preoccupa molto dell’Europa, ma di che cosa se ne può ricavare per il proprio sviluppo. E ci sono sintomi abbastanza preoccupanti… ».
Sintomi di che cosa?
«Di fascismo. Penso a un episodio brutto e pericoloso. Pochi mesi fa il governo polacco ha deciso di ritirare la pensione ai volontari della brigata internazionale nella guerra civile spagnola. Li hanno chiamati “traditori della patria”. Io credo che ci sia la possibilità che il fascismo stia aspettando di tornare in Europa. Non verrà con camicie nere, né brune, né cose simili. Ma la mentalità fascista sta lì, è tornata. Davanti all’impotenza della democrazia, ormai in crisi. C’è una deriva molto chiara della società europea in direzione dell’estrema destra».
Vede altri segnali in questa direzione?
«Non sono certo che accada e in quale forma. Ma il fascismo non si nasconde più. È lì, è uscito in strada, è arrivato anche sui media. E può succedere che ci troviamo in una situazione politica prefascista senza rendercene conto. E che improvvisamente il fascismo arrivi a governare. E noi continuiamo a non rendercene conto. Perché la facciata si mantiene. E la facciata è l’illusione democratica».