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21 Marzo 2005

Sanità, se ne parla poco anche se conta molto

Autore: Mario Pirani
Fonte: la Repubblica

Dunque, stando al recentissimo sondaggio Demos-Eurisko, 8 cittadini su 10 mostrano assoluto disinteresse per le prossime elezioni regionali. Ilvo Diamanti ha tentato una spiegazione (Repubblica del 17 marzo) analizzando i comportamenti, improntati a preoccupazioni globali, assunti dai due leader nazionali, Prodi e Berlusconi, in un contesto in cui i cittadini, pur avendo ormai percepito quanto conti la Regione nella loro vita quotidiana, non ritrovano le tematiche ad essa connesse al centro del dibattito elettorale. Se non ci fosse questa iato tra i due momenti il tema più sentito della competizione dovrebbe essere – infatti – la sanità, poiché per l´80 dei bilanci regionali sono impegnati in questo settore. Inoltre è proprio nella gestione della sanità che i poteri dei governatori e degli assessori appaiono incisivi e determinanti.
A rendere ancor più pregnante la questione dovrebbe inoltre concorrere l´evidente divaricazione di impostazione e di valori tra centro destra e centro sinistra sulle sorti della sanità pubblica. Non solo perché la maggioranza enfatizza e pratica tagli e riduzioni di spesa, sempre giudicata eccessiva,, ma anche perché la devoluzione, riaffermata proprio in questi giorni al Parlamento, accentuerà lo squilibrio di Welfare tra Nord e Sud.
Tutto ciò nel quadro di una visione privatistica del diritto alla salute che dovrebbe essere assicurato e in termini ridotti solo alle fasce povere della popolazione. Il centro sinistra, per contro, si presenta in linea di principio come campione della sanità pubblica per tutti, vantando anche una sua amministrazione equilibrata nelle grandi regioni del Centro-Nord (Emilia, Umbria e Toscana). Eppure non si può certo dire che l´Ulivo abbia cercato di imporre questo tema come fulcro primario della campagna per le regionali. Il perché di questo pallido impegno credo vada individuato nel profondo di una psicologia adusa ad animarsi attorno ai grandi spartiacque politici e ideologici, alle questioni di principio, alle battaglie simboliche che si risolvono per stanchezza e per il sopravanzare di altri eventi «sostitutivi». Speculare a simili pulsioni pesa altresì la «impreparazione» al riformismo, alla pratica empirica che comporta, al «qui ed ora» che lo contraddistingue, con scarsa tolleranza per l´utopia. Così tra l´auto definirsi riformisti e viverne la quotidianità, non sempre esaltante, corre un divario difficile da colmare.
Ma la spiegazione non sta tutta qui. Livia Turco che, ieri come ministro ed oggi come ispiratrice della politica sociale dei Ds, è tra le più sensibili personalità impegnate nell´azione riformista, mi ha inviato, per convincermi che le cose non stanno come a me sembra, due documenti: le proposte ds per il diritto alla salute e un disegno di legge presentato da D´Alema per promuovere, con apposito finanziamento, un piano straordinario di interventi strutturali in campo sanitario a favore del Mezzogiorno. Iniziativa davvero ottima: spero solo che, almeno nelle regioni interessate, se ne sia parlato più della candidatura Vendola. Quanto al documento Ds, esso presenta indicazioni serie e valide, specie per quanto riguarda le proposte per la continuità dell´assistenza, integrando le cure ospedaliere a quelle sul territorio.
Pieno accordo anche sulla carenza degli stanziamenti, come anche sul danno arrecato dal blocco delle assunzioni.
Perché, però, non accompagnare l´affermazione sulla esiguità della spesa pubblica sanitaria sul Pil (tra le più basse d´Europa) con una precisa rivendicazione di crescita
Temo che averla lasciata nel vago (ad esempio l´8 nei confronti del 6 attuale) sia dovuto all´imbarazzo indotto dal fatto che, invece, la spesa previdenziale è la più alta d´Europa (circa il 14), per cui se, come è giusto, si vuole aumentare la spesa sanitaria si dovrebbe, almeno in prospettiva, diminuire l´incidenza previdenziale. Ben più grave di questa carenza è l´affermazione che, pur con taluni temperamenti, «non va limitato il potere dei direttori generali». Ma, appunto, questo potere è quello che ha consentito le nomine politiche negli ospedali, nomine che si estendono ormai dai primari alle capo sala.
È questa pratica che ha avvilito le categorie sanitarie e le ha rese succubi della più indegna lottizzazione. Le Regioni di centro sinistra avrebbero dovuto introdurre per loro autonoma iniziativa criteri limpidi e oggettivi di scelta professionale. Se questo non viene neppure affermato nel documento in questione vuol dire che una preoccupazione miope di potere seguita a prevalere sulla affermazione dei diritti di professionalità e di democrazia.