8 Settembre 2005
Rutelli: sulla crisi petrolifera serve un piano energetico nazionale
Autore: Luigi La Spina
Fonte: La Stampa
Da un mese e mezzo l’Italia, dal Quirinale in giù, appare bloccata nell’attesa di sapere se il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, si dimetterà o no. Intanto, nel mondo, succedono cose che avranno conseguenze gravi anche nel nostro Paese, come l’aggravamento della crisi per il rialzo vertiginoso del prezzo del petrolio, anche a causa dell’uragano Katrina. Milioni di italiani sono alle prese con pesanti rincari d’autunno, sono interessati a sapere se si ridurranno le tasse sulla benzina, se la legge finanziaria rilancerà l’economia o se saranno necessari nuovi sacrifici per salvare i conti pubblici. In questo contesto l’Europa vedrà probabilmente lo spettacolo di un ministro dell’Economia e di un governatore «separati in casa» e i loro colleghi stranieri li saluteranno sapendo che uno dei due, al prossimo appuntamento, non ci sarà più.
Onorevole Rutelli, è, il nostro, un Paese normale Il governo ha certamente responsabilità maggiori, ma anche l’opposizione sembra concentrarsi solo sull’obiettivo di cacciare Fazio da via Nazionale.
«E’ certamente una situazione assurda e inaccettabile. In una vicenda molto meno significativa, come quella del governatore tedesco Ernst Welteke, criticato perché la moglie aveva utilizzato un biglietto aereo gratuito per partecipare a un convegno, il problema si è risolto con le dimissioni in 48 ore. La mia richiesta, da settimane, che Fazio faccia un passo indietro nasce proprio da questa consapevolezza: se quello snodo della Banca d’Italia si blocca, se diventa un fattore di divisione e di tensione, è il sistema che si arresta e le conseguenze sono quelle che lei nota».
Ma anche voi…
«No, questa osservazione è ingiusta e la responsabilità è anche di voi giornalisti. Pure alla festa della Margherita si è ripetuta la solita storia: parliamo per ore delle nostre proposte sull’economia, e poi voi mi chiedete solo quali sono i miei rapporti con Prodi. L’Italia osserva stupefatta uno spettacolo penoso mentre non si accende, nella nostra classe dirigente, una seria discussione sulle conseguenze di quello che è avvenuto a New Orleans. Conseguenze che saranno, sul piano politico, culturale, economico e sociale, anche per noi, forse più gravi dell’attacco terroristico alle torri di New York. Come ha osservato Newsweek, questa tragedia americana intacca in maniera troppo grave i principi basilari della democrazia americana».
Per fortuna, come ha osservato Lucia Annunziata sulla «Stampa», non si è aperto in Europa un processo all’America, speculando su questa catastrofe.
«Sì, per fortuna. Sarebbe ingeneroso e profondamente sbagliato. Anzi, bisogna riconoscere, in un Paese complesso come gli Stati Uniti, la persistenza, emersa anche in questa occasione, di una robusta coscienza democratica che, in questi giorni, si interroga almeno su due questioni fondamentali. La prima è la disparità, per censo più che per ragioni razziali, che si verifica, in situazioni d’emergenza ambientale, quando non esiste un potere che costringa, per esempio, all’evacuazione di una città in pericolo, ma ci si debba limitare agli appelli. Chi, in condizioni di indigenza, non ha l’auto, non sa dove andare, non può abbandonare quel poco che ha, o chi non è raggiunto dall’informazione della tv o dei giornali, perisce o va nell’inferno dello stadio, teatro di violenze indicibili e incontrollabili».
Insomma, lei vuol dire che l’emergenza rivela come le teorie, una volta molto alla moda, dello «Stato minimo», quello che teorizzava Robert Nozick, si dimostrano sbagliate?
«Sì. Questa discussione è importante anche per noi: si tratta di costruire un nuovo modello di pubblico e di privato. Di fronte all’emergenza ambientale, non basta la risposta privata del “si salvi chi può”. E’ inaccettabile la privatizzazione del rischio e si avverte in tutta la sua importanza la dignità e l’indispensabilità del settore pubblico. Attenzione: questo discorso non c’entra nulla con lo statalismo; anzi, è proprio il compito di uno Stato liberale».
L’Europa non ha strumentalizzato la tragedia americana e anche da Paesi come la Germania o la Francia, particolarmente critici contro le tentazioni egemoniche dell’amministrazione Bush, sono arrivate subito offerte di aiuto.
«Mi sono informato, a questo proposito, e ho scoperto che tuttora in Europa non esiste alcun coordinamento nel settore. Ognuno dei 25 Paesi fa per conto suo. Ci vuole la costituzione urgente di un organismo di Protezione civile europea, capace di mobilitare unitariamente le forze di un continente che possiede le nostre capacità organizzative, tecnologiche e scientifiche, le nostre disponibilità economiche, il nostro potere politico e militare. Se oggi potessimo disporre di una cabina di regia unica per la protezione civile, la disponibilità europea a intervenire in emergenze internazionali avrebbe un significato e un peso molto importante sul palcoscenico del mondo».
La necessità di affrontare insieme, almeno a livello europeo, alcune questioni fondamentali si manifesta anche in molti altri campi. Basti pensare a un’altra importante conseguenza dell’uragano di New Orleans: l’ulteriore spinta al rialzo del prezzo del petrolio.
«Per la verità, la questione dovrebbe essere considerata a livello mondiale perché siamo ai limiti e un solo evento critico (un uragano, un attacco terroristico, una crisi politica o militare) può portare il prezzo del barile a 100 dollari. La fragilità del sistema che si regge sia sull’estrazione del greggio sia sulla raffinazione non può essere solo padroneggiata dai paesi dell’Opec, ma dovrebbe essere superata con un coordinamento anche dei paesi consumatori. Ma questa è utopia, me ne rendo conto. Così, come una comune strategia europea; mi basterebbe che, almeno in Italia, si definisse un piano energetico nazionale. Sono anni, se non decenni, che non se ne parla più…».
Altolà, onorevole Rutelli. Lei vuol riaprire la questione del nucleare E’ un tema rischioso, che divide soprattutto il suo schieramento.
«Il nucleare ha ancora problemi non risolti che richiedono una ricerca seria e una scelta pragmatica, sulla base del confronto costi-benefici e rischi-opportunità. E’ significativo che, da circa 20 anni, anche in America si sia fermata la costruzione di centrali nucleari. E’ una questione da affrontare senza pregiudizi, come quella delle fonti alternative al petrolio. Certo, se non si fa nulla, come in Italia da molto tempo, i problemi della bolletta energetica si aggravano pericolosamente, non si risolvono da soli. Dobbiamo ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e moltiplicare le fonti».
Le buone intenzioni non bastano. Voi dovete convincere gli italiani che, se avrete la maggioranza, riuscirete a spezzare le resistenze corporative, gli interessi particolari che finora hanno bloccato la nostra società.
«L’Italia soffre soprattutto perché la mobilità sociale è bloccata. Ci vuole più concorrenza nelle professioni, più concorrenza nei servizi, soprattutto in quelli pubblici locali. Ci vogliono non tanto più privatizzazioni, ma più concorrenza. Certo, la concorrenza dev’essere regolata dall’interesse pubblico».
Insisto: molti cittadini, non schierati pregiudizialmente da una parte o dall’altra, sono delusi dai risultati di questo governo, ma sospettano che anche voi non riuscireste a sconfiggere tabù, resistenze, conservatorismi mentali, convenienze elettorali…
«Abbiamo 6 mesi per rispondere a questo dubbio, che riconosco legittimo. Noi siamo impegnati, soprattutto noi Margherita e i ds, proprio per garantire questo baricentro riformista che permetta, se avremo la maggioranza, di realizzare quel programma che Prodi, da oggi, con il suo Tir, ha cominciato a illustrare all’Italia».