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15 Giugno 2005

Rutelli: “Referendum, promotori sconfitti dal popolo”

Autore: Francesco Verderami
Fonte: Corriere della Sera

ROMA – La citazione con cui Francesco Rutelli esordisce, sembra il preludio a una critica felpata, quasi curiale: «Ernst Gombrich, uno dei massimi storici dell’arte, diceva che non possiamo mai veramente sapere se abbiamo ragione, anche se qualche volta sappiamo di esserci sbagliati. Ecco, i promotori del referendum sulla legge per la procreazione assistita devono analizzare quell’errore, non possono metterci una pietra sopra».

E’ solo il preludio a un giudizio severo per le dimensioni del risultato: «I votanti, compresa la quota degli italiani all’estero, sono stati meno di quelli che parteciparono alla consultazione sull’articolo 18 nelle piccole imprese, voluta solo da Fausto Bertinotti. E’ un dato sconvolgente rispetto alla natura dei quesiti e all’ampiezza di mobilitazione che c’è stata sui referendum del 12 giugno».

Il presidente della Margherita invita i «promotori referendari a una riflessione che non può essere sbrigativa nè auto-assolutoria»: «Il referendum è stato un errore grave e il risultato tocca le radici profonde del Paese. Perché è una sconfitta di popolo, perché è difficile dipingere il 75 degli italiani che si sono astenuti come un insieme di clericali, di reazionari, di ignavi e di inconsapevoli».

Le critiche dell’ex sindaco di Roma non riguardano più il merito dei referendum, ma sono concentrate sull’«incapacità di interpretare il Paese»: «Va data della società italiana una lettura nuova, adulta. Avverto un’analogia tra il referendum in Francia sulla Costituzione europea e la consultazione in Italia: a fronte di un massiccio schieramento di classi dirigenti c’è stato un rigetto popolare».

Pensa che il voto abbia radicalizzato lo scontro, facendo emergere un’area moderata di cui si sente parte a pieno titolo?
«Alcuni alleati mi hanno dipinto durante la campagna referendaria come illiberale, mentre esaltavano Fini. Massimo D’Alema ha definito l’astensionismo una furbizia per truccare le carte, una ferita grave nel centrosinistra. La verità è che sono contento di essere il presidente di un partito pluralista, dove una parte del gruppo dirigente – al contrario della gran parte dei nostri elettori – ha scelto di andare a votare. Guido un partito che non ha un pensiero unico in materia di bioetica. La missione della Margherita, semmai, è quella di parlare a una parte più larga del Paese, oltre i confini degli elettori che sono convintamente già dalla nostra parte. Ma c’è un errore da scongiurare: il rischio che la coalizione perda il proprio baricentro e proceda per strappi».

Ribalta l’accusa sui suoi alleati?
«Gli strappi finora non li abbiamo fatti noi. A Venezia, abbiamo subìto una scelta di rottura, eppure abbiamo dimostrato non solo che senza di noi il centrosinistra non vince, ma che sappiamo lavorare per ricomporre, come ha fatto Massimo Cacciari dopo la vittoria. E anche sul referendum sono stati altri a strappare».

Se si riferisce a Piero Fassino, il segretario dei Ds dice di non essersi pentito.
«Credo che alcuni valori morali laici debbano entrare nel dibattito politico italiano con maggior forza che non i temi del referendum. Penso alla condizione femminile nella società, alla priorità da dare al tema dei diritti delle donne che ricorrono all’inseminazione oltre i quarant’anni, perché rischiano di perdere il lavoro se fanno un figlio più giovani. Ritengo sia giusto puntare sulla ricerca e l’innovazione scientifica, penso alle staminali adulte, rispettando confini bioetici condivisi. Perciò, a mio avviso, è stato fuorviante definire i difensori della legge 40 come nemici del progresso scientifico. Il fatto è che, con i referendum, si è tentato di spostare l’asse politico e culturale su posizioni radicali».

Si riferisce alla sua alleanza?
«Certo. Dal centrosinistra noi rischiamo spesso di passare al sinistracentro. Il risultato invece testimonia che il rapporto tra politica, partiti e società è cambiato, che c’è stata una interpretazione vecchia del Paese».

Cosa vuol dire?
«Che il centrosinistra deve svegliarsi, deve dare una lettura più moderna delle attese dell’opinione pubblica e, al tempo stesso, far leva sui partiti rinnovati, che non sono più quelli sfasciati di dieci anni fa. Deve puntare su una coalizione plurale. Non su alchimie verticistiche».

Si riferisce alla lista unitaria proposta da Romano Prodi?
«Vorrei rispondere con due domande finora inevase. La prima: Prodi sostiene di non aver mai parlato di partito unico, ma cosa ne sarebbe di un partito come la Margherita che per tre volte consecutive – alle Europee, alle Regionali e alle Politiche – non presentasse il proprio simbolo nelle maggiori regioni italiane e che non avesse più un proprio gruppo in Parlamento Altra domanda: quale sarebbe l’approdo europeo del nuovo soggetto politico Su questi temi non ho avuto risposta. D’altronde è evidente la crisi della socialdemocrazia europea, una crisi che ha il suo epicentro nei Paesi motore dell’unificazione: Francia e Germania. E anche sulla base delle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, secondo cui il Polo andrà con liste distinte per prendere più voti nel proporzionale, la Margherita considera il tema della lista e del partito unico superato, archiviato. Meglio, risolto».

Il Professore però ripete che «l’Ulivo deve essere presente sul territorio, nelle istituzioni». E che va «offerto agli elettori».
«Il listone non ci sarà, ma il simbolo dell’Ulivo potrà comparire sulle schede e dobbiamo far funzionare finalmente la federazione dell’Ulivo».

E’ un braccio di ferro infinito. Lei chiede la riunione della Federazione e Prodi le risponde che c’è bisogno di una pausa di riflessione.
«Una pausa di riflessione è utile, ma una decisione è necessaria. E credo non si possa andare oltre giugno per decidere con quali assetti presentarci agli elettori e quali sono le garanzie che tutti gli attori in campo reciprocamente si danno».

Quando parla di «garanzie» teme che vogliano portarla fino a settembre, dare il via libera alla scissione della Margherita e presentare una lista ulivista?
«Non so se esista un rischio scissione, io governo un partito dove tutti si sentono e devono sentirsi padroni, sulla base delle decisioni adottate democraticamente. Quanto a scenari che riterrei esiziali per la coalizione, mi pare che anche Piero Fassino abbia correttamente detto come spaccature, scissioni o divisioni porterebbero a una catena di conseguenze».

Dunque, se la Margherita subisse la scissione, per lei Prodi non sarebbe più il candidato premier?
«Ripeto: spaccature, scissioni e divisioni porterebbero a una catena di conseguenze inevitabili».

Non sarà l’avviso di una scissione, ma Arturo Parisi è stato caustico dopo la proposta che il Cavaliere le ha rivolto: «Come meravigliarsi – dice Parisi – se Berlusconi si azzarda a invitare il mio partito a condividere una casa comune, immaginando di aver condiviso la stessa vittoria» al referendum?
«Non ho mai fatto polemiche nella Margherita e continuerò a non farne. Lascio giudicare ad altri il fatto che qualcuno in casa nostra prenda sul serio la dichiarazione strumentale di Berlusconi. E’ chiaro che il premier sente minacciato il proprio elettorato dalla Margherita e sa che, dopo aver ridotto il bacino elettorale di Forza Italia al Sud, ci accingiamo a farlo anche al Centro-Nord».

Come si vive con l’etichetta di traditore stampata addosso?
«Ci sono state forzature e incomprensioni, ma le asprezze si superano. La cosa più importante però è che il centrosinistra inizi a parlare al Paese e la finisca di dilungarsi su procedure, contenitori, liste, che allontanano l’opinione pubblica da noi. Ecco perché la prossima settimana la Margherita riunirà la direzione. Il mio punto di vista è che entro giugno, con Prodi e gli altri alleati, sia data una risposta definitiva agli assetti della coalizione. Per dedicare poi le nostre risorse alla sfida programmatica con il centrodestra».

Di un vostro programma ancora non c’è traccia.
«Invece è il passaggio decisivo. Ci viene richiesto uno sforzo di innovazione e di coesione sociale. Tanto il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, quanto i leader sindacali ci sfidano a dar inizio a una seconda Ricostruzione del Paese. Ecco perché bisogna chiudere in fretta con gli assetti. Come non capire l’emergenza del “caso Italia”»

Forse perché i due poli attendono di capire come si muoverà l’avversario: per esempio, se Berlusconi dovesse lanciare come candidato premier il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, cambiereste anche voi?
«Berlusconi non mollerà mai il potere, le sue sortite sul partito unico e sul cambio di premiership sono strumentali. E, comunque, veramente tra i miei alleati qualcuno può pensare di perdere altro tempo senza dedicarsi al nodo del programma Senza indicare le nostre priorità fin da settembre».

Lei lo pensa?
«Io penso sia necessario attrezzarsi per parlare a quella parte del Paese che finora non ci ha votati. E la sfida va portata sul territorio. Per esempio, se mi fosse stato chiesto un consiglio su dove posizionare la Fabbrica del programma, avrei proposto la Brianza, il Trevigiano, Termini Imerese. Non abbiamo bisogno di sentirci rassicurati da quei mondi che già sono con noi. Dobbiamo conquistare forze nuove e capire meglio la società italiana. Il risultato del referendum spero sia servito a qualcosa».