«Un giorno ho tenuto una lezione in polacco all’università di Cracovia — raccontò in un’intervista — e gli studenti dicevano: senti come parla bene il portoghese!». E’ dunque possibile che, piccatosi di rispondere in cinque lingue nella sua audizione con dotte citazioni di Kant, Cicerone e Goethe, Rocco Buttiglione sia stato qua e là frainteso: anche un capoccione può avere uno sbandamento. Certo è che l’iter che doveva condurlo alla poltrona di commissario europeo, iter che pareva solo il disbrigo di una pratica, si è fatto di colpo accidentato.
E mentre Carlo Giovanardi si levava a menar la spada in sua difesa («Avrebbero capito anche le barbabietole!») ha dovuto precisare che no, per carità, lui non intendeva dire che la donna deve stare a casa ad allevare i figli ma piuttosto che…
Sia chiaro: chi conosce le vecchie volpi che siedono nel Parlamento europeo sa bene come possa essere facile tendere agguati a questo e a quello su uno specifico tema al centro delle controversie più spinose. Né si può negare che contro il filosofo amico di Wojtyla si sia compattato, sotto la spinta della lobby gay, un fronte laicista bellicosamente deciso a gettar chiodi sulla sua strada anche nella scia d’un secolare pregiudizio nei confronti di Roma papalina, corrotta e bigotta. Ma è certo che uno come Buttiglione, bollato da Cuore col nomignolo micidiale di «cleropositivo», pare nato apposta per non capirsi con quel pezzo d’Europa che si riconosce nei valori laici, luterani, socialisti o comunque (Dio ne scampi!) modernisti.
Erede di una famiglia di militari che gli ficcò in testa valori d’altri tempi («Abolire la pena di morte in guerra è un errore: se il commilitone fugge mentre infuria la battaglia io gli sparo. Servirà di esempio»), cresciuto leggendo Marx, Horkheimer e Topolino («Da ragazzo non sopportavo i preti, le messe e tutti quelli che mi stavano intorno, gente con le spalle strette che si guardava sempre i piedi per paura di cadere in tentazione»), approdò alla fede grazie a don Giussani, il fondatore di Cl. Del quale il giovane Rocco, che si vanta d’essersi laureato senza studiare giacché a ogni esame gli bastava «guardare la bibliografia avendo già letto tutto», divenne uno dei teorici.
Individuato il nemico nel relativismo etico «come convinzione che non esistono dei valori ma che la vita è regolata soltanto, direbbe Eliott, dall’usura, dalla lussuria e dal potere», tenta da allora d’aggiornare, con parole più raffinate, s’intende, l’antico obiettivo del quarantottino Padre Lombardi: trasformare la società «da selvatica a umana, da umana a divina».
Esordì dando battaglia nel referendum contro quel divorzio che per Amintore Fanfani avrebbe fatto dei beni della famiglia «la preda di fameliche concupiscenti e venali concubine». Proseguì firmando con Augusto Del Noce e Armando Rigobello manifesti che intimavano: «Insegnanti e genitori cattolici devono impegnarsi, con una mobilitazione totale, affinché l’insegnamento della religione nelle scuole diventi una realtà viva e operante per il maggior numero di studenti, sconfiggendo il progetto assenteista del laicismo risorgente che contesta non solo le leggi divine ma anche quelle dello Stato».
Da allora, non ha perso occasione per ribadire con cocciuta coerenza (l’unico a metterla in dubbio fu Berlusconi: «Chi dice che alle trattative tra la componente cattolica del Polo e Pannella ci siano state divergenze su valori cattolici mente senza pudore: non ho mai sentito parlare nè di valori cattolici nè di principi») tutto ciò in cui crede. No al divorzio: «Non deve ripetersi ciò che accadde nel ’74 all’epoca del referendum quando l’Azione Cattolica mantenne una posizione agnostica, né pro né contro». No all’aborto («Per noi la revisione della 194 è più importante della devolution») con un grande sforzo culturale che porti «alla reintroduzione della sanzione penale». No ai profilattici a scuola contro l’Aids: «Chi li vuole li può trovare in farmacia ma venderli nelle scuole è contrario ai principi cattolici. Il messaggio da inviare ai giovani è che l’astinenza oltre a essere l’unico modo per evitare pericolose malattie come l’Aids è un valore importante che prepara al matrimonio». No alla facoltà decisa dall’Europa di scegliere una festività settimanale diversa dalla domenica: «Non mi piacerebbe che fosse affidata all’Europa, e non alla nazione italiana, la scelta di rango da dare alla domenica».
E poi no alle nozze gay: «Che senso hanno? Il matrimonio è la protezione della madre. Dove non c’è madre non c’è matrimonio». E no alla concessione alle coppie omosessuali delle case popolari, concedibili invece (massì, abbondiamo!) alle coppie di fatto eterosessuali: «Credo che lo Stato abbia tutto l’interesse a tutelare queste famiglie che abbiano carattere di stabilità e facciano figli. Ma per le coppie gay non ne vedo il senso. Tanto più che quel tipo di coppie in genere non è stabile. Infatti l’Aids è tra loro così diffuso anche per la tendenza alla promiscuità».
No al «Gay Pride» a Roma: «Non ha nulla a che fare con l’omosessualità come tale: la marcia difende la rivoluzione sessuale, le esposizioni provocatorie del corpo umano considerato come occasione di piacere». No alla riforma della scuola con un anno di approfondimento sul Novecento: «Ai nostri ragazzi si dirà che il fascismo era tremendo, che il nazismo lo era di più, ma si dirà loro anche che il comunismo, tutto sommato, andava bene. Tutto ciò corrisponde a un progetto che vuole strappare dal cuore dei nostri giovani i valori cristiani». No al modernismo che ha segnato «buona parte del cattolicesimo politico. Una cultura che ha sognato una società perfetta dimenticando che gli uomini stanno sotto il segno del peccato originale».
«Mi sembrava d’aver annusato odore d’incenso!», rise Umberto Bossi incontrandolo in Quirinale il giorno del giuramento del governo. Lui, onore al merito, non fece una piega. Come non la fece quando Francesco Cossiga, ridendo del suo via vai da destra a sinistra e da sinistra a destra, sbottò: «Scusate, sapete mica dirmi a quest’ora come la pensa Buttiglione?» Battuta carogna. E immeritata almeno sul fronte della fedeltà a certe tesi. Ribadite perfino tra le invettive di un filo diretto a Radio Radicale: «Tutti son liberi di chiamarmi bigotto e intollerante ma io, altrettanto liberamente, posso definire il comportamento omosessuale tecnicamente indice di disordine morale».