Roma – «La Commissione europea ha fatto il suo dovere e l’Italia avrà tutto da guadagnare a seguire le indicazioni di Bruxelles, che, tra l’altro, coincidono con le valutazioni del ministero dell’Ambiente. Chi si oppone non si rende conto che siamo a un punto di svolta drammatico nella storia dell’umanità: se non modifichiamo il nostro sistema energetico avremo un aumento di tre gradi di temperatura entro il secolo. Significa tornare al pleistocene, a tre milioni di anni fa».
Jeremy Rifkin, il guru dell’energia dolce, commenta la bocciatura del piano italiano rispondendo al telefono da Bruxelles, dove ha appena ottenuto un successo importante: una dichiarazione scritta del Parlamento che propone un modello di fuoriuscita dall’era del carbonio e dall’era del nucleare. Cosa significa in concreto questa dichiarazione?
«E’ una svolta epocale. Per la prima volta, a larghissima maggioranza e con il voto compatto dei capigruppo di tutti i partiti, è passata la linea di un modello energetico assolutamente innovativo che poggia su cinque paletti. Primo: riduzione del 30 per cento delle emissioni serra al 2020. Secondo: aumento dell’efficienza energetica del 20 per cento al 2020. Terzo: entro la stessa data il 33 per cento dell’elettricità e il 25 per cento dell’energia globale prodotti utilizzando fonti rinnovabili. Quarto: entro il 2025 un’infrastruttura dell’idrogeno basata su una rete capillare e su una tecnologia di immagazzinamento avanzata, in modo da poter utilizzare questo vettore anche negli apparecchi elettronici portatili che tutti noi usiamo quotidianamente. Quinto: rendere le reti energetiche indipendenti e intelligentientro il 2025, in modo che le regioni e le città possano produrre e condividere i flussi energetici».
Le industrie sono preoccupate per i costi di questo progetto.
«Dopo aver letto il rapporto Stern credo che abbiano altro di cui preoccuparsi. L’analisi dell’ex chief economist della Banca Mondiale mostra con chiarezza come le valutazioni economiche e le valutazioni ecologiche siano inscindibili. Nessuna economia può sopravvivere sulle macerie della natura. Il global warming rischia di cancellare fino al 20 per cento del Pil mondiale oltre a spazzare via la metà delle specie viventi causando la sesta estinzione di massa. E le altre volte ci sono voluti dieci milioni di anni per recuperare la biodiversità».
Mentre altri paesi hanno già avviato la corsa alle nuove energie, l’Italia è indietro. La penalizzazione rischia di essere pesante?
«Avete pochi combustibili fossili ma tanto sole, vento, biomasse e geotermia. Utilizzandoli al meglio si può creare un grande mercato capace di rilanciare l’economia. Per questo l’Italia ha le carte in regola per conquistare la leadership della terza rivoluzione industriale, quella basata sull’idrogeno verde, estratto non dai combustibili fossili ma dall’acqua con l’elettricità fornita dalle fonti rinnovabili. Nell’era di internet e della democrazia dell’informazione in cui ognuno va cercare in rete quello che vuole, vinceranno i paesi che per primi si doteranno di sistema elettrico elastico, coerente con questo modello informativo, capace di far scorrere l’energia in entrata e in uscita in ogni casa, seguendo i bisogni e i desideri dei cittadini».
Finora i paesi in prima linea nella difesa del clima sono stati altri: in particolare la Gran Bretagna, che ha proposto un piano nazionale di riduzione del 60 per cento delle emissioni serra al 2050, e la Germania.
«Ma gli Stati meridionali dell’Unione europea potrebbero essere penalizzati in maniera terribile dall’accelerazione dei processi di inaridimento. L’avanzare della desertificazione nel Sud dell’Italia avrebbe riflessi pesantissimi non solo sulla qualità della vita degli abitanti ma anche sui fatturati turistici che restano una voce fondamentale di bilancio».