«È tutta una bufala. Nessuno ha mai cancellato la parola Resistenza
dalla bozza della Carta dei valori. Il documento approvato oggi (ieri
per chi legge) contiene un esplicito riferimento alla Costituzione nata
dalla resistenza e dalla lotta antifascita. È vero che nella bozza non
era presente. Ma era inteso come implicito nel forte richiamo alla
Costituzione e ai suoi valori. È bastato che venisse fatto notare
perché immediatamente, senza nessuna esitazione, questo richiamo
venisse inserito nel testo che poi è stato approvato praticamente
all’unanimità, vi è stata una sola astensione ma per altri motivi».
È
questa la risposta di Alfredo Reichlin, il presidente della commissione
del Partito Democratico incaricata di redigere il Manifesto dei valori
del nuovo partito. Non c’è aria di logiche revisioniste sulla
Resistenza tra chi ha redatto il documento. Lo puntualizza con un misto
di fastidio e preoccupazione l’intellettuale e dirigente dell’ex Pci
che la Resistenza l’ha vissuta da «gappista» nella Roma occupata dai
nazifascisti.
Cosa la preoccupa?
«Il fatto
che su di una cosa del genere, costruita sul nulla, si possa imbastire
una speculazione. Sono i segni preoccupanti di cosa ci si possa
attendere nella prossima campagna elettorale».
E invece?
«La
verità, il fatto politico significativo, è che è andato a buon fine il
lavoro della Commissione dei valori con l’approvazione del Manifesto. È
un successo per il Partito democratico. Poteva finire diveramente. È
stato il frutto di un lavoro intenso, durato due mesi, che ha visto
impegnati personalità provenienti da culture e sensibilità diverse,
laici e cattolici, che hanno trovato un accordo su temi di fondo. Su
questioni difficili come quelle etiche, dello Stato laico, della
famiglia. Sono passaggi delicati per un partito come il nostro fatto da
credenti e non credenti….».
Non è la somma di due
tradizioni culturali e politiche quella della sinistra democratica
rappresentata dai Ds e quella cattolica che ha animato la Margherita?
Una mediazione tra sensibilità?
«Non è questo. Abbiamo
lavorato alla definizione di qualcosa di inedito, ad una sintesi che
guarda al futuro, ai problemi inediti che ha di fronte l’uomo
contemporaneo. Alle risposte da dare per misurarsi con un contesto dove
tutto muta. Che vede, ad esempio, sempre più messa in discussione
l’idea dello Stato nazionale, della sua sovranità, come pure cambia la
produzione, l’organizzazione del lavoro. Bisogna ripensare al concetto
di classe. Sono solo alcune delle sfide con cui confrontarsi. Il
Manifesto non è un documento elettorale. Non si pone questo obiettivo,
ma quello di fornire strumenti culturali e un sistema preciso di valori
che consentano alla politica di misurarsi con il nuovo. Questa è
l’ambizione del Pd».
Senza mettere in discussione l’ancoraggio alla Costituzione..
«Esattamente.
Abbiamo approvato un emendamento proposto da Franco Bassanini che
rafforza il carattere della nostra Costituzione. Si afferma che non può
essere messa in discussione ad ogni cambio di maggioranza. È stato
ribadito con più forza di quanto non si usi normalmente fare non solo
il fondamento costituzionale di tutto il nostro ragionare, ma anche che
è tempo di mettere paletti ancora più forti per impedire che una
maggioranza parlamentare possa con disinvoltura introdurre modifiche
alla nostra Carta fondamentale».