Il governo è uscito
indenne dall’esame al Senato del progetto sull’ordinamento giudiziario
seguendo un copione ormai quasi scontato. Poche calcolate defezioni lo
mettono in difficoltà e ne peggiorano l’immagine. A meno di incidenti di
percorso imprevisti, il prossimo momento critico sarà il voto sulla
Finanziaria per il 2008. Un appuntamento che si annuncia ancor più
impegnativo da quando è chiaro che anche le decisioni sullo scalone
pensionistico verranno affidate alla sessione di bilancio. C’è da chiedersi
quindi se assisteremo anche quest’anno alla rappresentazione poco edificante
vista l’anno scorso. Si ricorderà che subito dopo l’approvazione del
bilancio il Presidente della Camera, seguito da vari ministri e dal
Presidente della Repubblica, chiesero con veemenza un cambiamento: una
Finanziaria più snella, procedure più rapide, un rapporto più trasparente
tra esecutivo e assemblee. Auspici sentiti spesso negli ultimi anni.
L’ultima riforma della legge di contabilità, del 1999, cercò di alleggerire
la sessione di bilancio sganciando i «collegati » dalla Finanziaria e
prescrivendo che da quest’ultima fossero escluse norme a carattere
ordinamentale o organizzativo, interventi microsettoriali o localistici. Un
tentativo che si è dimostrato inutile. Perché non c’è niente da fare: le
dimensioni della Finanziaria, nel nostro sistema istituzionale barocco, sono
inversamente proporzionali alla viabilità del procedimento legislativo
ordinario. La proposta presentata dal governo per il 2000 era fatta di 336
commi, quella per il 2001 di 372, saliti rispettivamente, al momento
dell’approvazione, a 336 e 971. Nel 2006 si è partiti da 882 commi e si è
arrivati a 1364, tutti infilati, come nei due anni precedenti, in un unico
articolo! Siccome la Finanziaria è l’unico treno che viaggia in orario, le
burocrazie governative, i gruppi che riescono a interloquire con gli staff
ministeriali, i parlamentari (meno di quanto si dice), fanno di tutto per
salirci prima che parta o mentre è in corsa, in commissione o in aula.
Così
la Finanziaria diventa incoerente, accoglie abusivi che rischiano di creare
imbarazzo nel conducente, i tempi di approvazione si allungano. Le
commissioni non riescono a esaminare completamente il testo che passa in
aula aperto. Lì la gestione delle votazioni per la maggioranza è più
difficile e la maggiore pubblicità eccita l’ostruzionismo creativo
dell’opposizione. Il gioco delle parti impone quindi al governo di
presentare un maxiemendamento che riscrive per intero l’abominevole articolo
unico e, per non correre rischi, di porre la questione di fiducia. Nel corso
del 2007 sia il governo sia le Commissioni bilancio hanno avanzato proposte
sensate per mettere un po’ d’ordine. Il ministero dell’Economia ha prodotto
una riclassificazione del bilancio, utilissima perché ne accresce la
trasparenza, aumenta in prospettiva la flessibilità della gestione, promette
verifiche sull’efficacia degli interventi attraverso indicatori di
performance collegabili alla valutazione dei dirigenti. Ma fino ad ora non è
stata presa alcuna decisione vincolante circa i contenuti, i tempi e le
procedure di approvazione della Finanziaria.
Il Dpef non contiene quel
«coerente programma di lavoro legislativo» che differenzi «gli interventi di
rapida approvazione da quelli da distribuire in un arco di tempo più lungo»
richiesto dalle Commissioni bilancio. Né sono stati presi impegni, ad
esempio, sul contingentamento dei rispettivi tempi di esame da parte delle
commissioni e dell’aula, sulla non reiterabilità in aula di emendamenti
proposti in commissione, sul potenziamento del ruolo delle Commissioni
bilancio. Quest’anno il governo non può permettersi il lusso di fare troppe
gaffe. Una Finanziaria asciutta, che scopra il meno possibile il fianco a
«correttivi» in corso d’opera, sarebbe quindi auspicabile. Una revisione
mirata dei regolamenti o quanto meno delle convenzioni parlamentari,
negoziata su basi bipartisan, servirebbe a tutelare la dignità dalla
maggioranza quanto dell’opposizione.