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13 Dicembre 2005

Prodi: “L’Italia mai così debole in Europa”

Autore: Andrea Bonanni
Fonte: la Repubblica

ROMA – «Se il bilancio europeo deve essere questa miseria proposta dalla presidenza britannica, è meglio una crisi che deriva da un mancato accordo piuttosto che un accordo al ribasso che sancirebbe la crisi dell´Europa e la prolungherebbe fino al 2013». Nel suo ufficio di Piazza Santi Apostoli, Romano Prodi si accende un toscano poco consono alle sue recenti imprese di maratoneta. E, tra uno sbuffo di fumo e qualche telefonata di complimenti sportivi per la sua corsa di 42 chilometri, riprende il filo del progetto europeo che aveva avviato come presidente della Commissione e che ora vorrebbe completare da Palazzo Chigi. Con una promessa: «La politica europea di questo governo va ribaltata di 180 gradi».


Non le sembra di essere troppo radicale. Non è meglio un brutto bilancio che nessun bilancio?

«No. Perché si considera il bilancio come una questione contabile, mentre in realtà è un fatto eminentemente politico. E questo bilancio rivela una scelta politica di non Europa. E´ un bilancio di crisi, che impedisce all´Unione di andare nella direzione che ha scelto e dal quale, tra l´altro, l´Italia uscirebbe malissimo. Le crisi devono almeno servire a qualcosa. E allora meglio una crisi politica lunga e dura che questo tentativo di condannare l´Europa a una logica perdente e iniqua fino al 2013».


Si spieghi meglio.

«Quando noi alla Commissione avevamo preparato la proposta per le prospettive finanziarie 2007-2013, eravamo partiti da una domanda: che Europa vogliamo? La risposta era che volevamo un´Europa competitiva e solidale, in grado di trarre il massimo profitto dall´allargamento. La nostra bozza prevedeva una spesa di 927 miliardi in sette anni, per un totale comunque contenuto, pari all´1,14% del Pil europeo, e con un aumento trascurabile rispetto al bilancio precedente. Ma con quelle cifre avremmo potuto aumentare del dal 7 al 20% le spese per la ricerca, l´innovazione e le infrastrutture. E i fondi di coesione per aiutare i nuovi stati membri sarebbero passati dal 33 al 38%. Il nuovo presidente della Commissione, Barroso, aveva fatto sua la nostra piattaforma. Poi già la presidenza lussemburghese se ne era dovuta allontanare a malincuore per cercare un compromesso che non ha trovato. Ora la presidenza britannica presenta un progetto che arriva appena allo 0,98% del Pil: secondo loro l´Europa con dieci-dodici nuovi stati membri dovrebbe funzionare con un bilancio inferiore a quello pre-allargamento! E´ assurdo. Anche perché i tagli sono tutti nelle spese più innovative e significative: ricerca, infrastrutture, aiuti alle regioni più povere. Ci si riempie la bocca con parole come crescita, occupazione, competitività. Ma si va nella direzione opposta».


Colpa di Blair?

«La proposta di Blair significa meno Europa in un momento in cui avremmo disperatamente bisogno di più Europa. E tutto questo per mantenere l´ingiusto privilegio dell´assegno britannico a danno dei paesi più poveri. In fondo, Blair sta cercando di ripetere su scala europea quello che Berlusconi ha già fatto in Italia: tagliare le tasse ai più ricchi riducendo gli aiuti ai più poveri. In Italia, Berlusconi c´è riuscito, e se ne vedono i risultati. Mi auguro che Tony Blair sia fermato dal buonsenso degli europei».


E in caso di mancato accordo?

«Se la questione del bilancio europeo passerà nelle mani del nuovo governo italiano, potete star certi che bloccheremo il bilancio e ripartiremo dalle proposte della Commissione e del Parlamento europeo. Anche perché per l´Italia questo accordo sarebbe disastroso. I tagli si concentrano su settori in cui siamo beneficiari netti: dai finanziamenti alle regioni del Mezzogiorno a quelli per la ricerca e le infrastrutture. Inoltre la penalizzazione dei nuovi stati membri finirebbe per colpire i nostri interessi economici».


Invece si ha l´impressione che in questa crisi l´Italia faccia da spettatore.

«Questo governo si trova in una situazione difficile. Non vuole dare ragione alle posizioni espresse dalla mia Commissione per non dare ragione a me. E così alla fine si è asservito alla logica britannica, che però va in una direzione diversa. Non ha saputo tessere le alleanze necessarie per resistere, e ho scarsa fiducia che anche questo tardivo consenso con la Spagna possa reggere alla prova dei fatti, perché Madrid in fatto di bilancio ha strategie non del tutto convergenti con le nostre. L´Italia deve per prima cosa ritrovare la propria libertà di manovra e fare un esame spietato dei propri interessi».


Non crede che le scelte filo-britanniche di questo governo in campo europeo risalgano a molto prima, ai tempi della guerra in Iraq, per intenderci?

«Non c´è dubbio. Allora Berlusconi privilegiò la strategia filo-atlantica a quella filo-europea. Ma quella scelta non era necessariamente l´inizio di una latitanza politica, come invece è avvenuto. Una latitanza che ci ha portato al totale isolamento».


E allora?

«Io credo che i grandi Paesi che hanno scelto la via europea debbano andare avanti, e dividere la loro strada da chi ha opzioni politiche diverse. La battaglia sul bilancio sarà la prova del nove di questo spartiacque».


E, tra i Paesi che hanno scelto la via europea, lei ci mette anche l´Italia?

«Oggi no. Ma la nuova Italia del dopo Berlusconi lo deve fare. Il mio governo in questo campo darà una svolta di 180 gradi. La nostra coalizione pone come linea di fondo in politica estera la priorità europea».


Anche il centro-destra, però, sostiene di essere europeista.

«Che lo dicano non c´è dubbio. Per opportunismo, visto che l´opinione pubblica italiana è e rimane saldamente europeista. Ma io giudico i fatti. E nelle alleanze di questo governo non c´è stata scelta europea. Il resto arriva di conseguenza: basta guardare come vengono massacrati il Mezzogiorno e la ricerca, che sono gli unici due fronti partendo dai quali si può salvare il nostro Paese».


E in che cosa si manifesterà l´inversione di tendenza del suo governo, se vincerete le elezioni?

«E´ chiaro che è arrivato il momento di stringere con la Germania e con gli altri Paesi a forte vocazione europea. La spinta ad una nuova Europa non può che venire da Italia, Francia, Germania, Spagna e più in generale da quei Paesi che hanno aderito alla moneta unica. Occorre uscire dall´impasse in cui l´Unione è caduta con la bocciatura della Costituzione. Ma non credo che lo si possa fare riproponendo subito un nuovo testo, o rilanciando quello vecchio. Il momento per riprendere il processo costituzionale verrà, forse, solo con la presidenza tedesca, nella prima metà del 2007, e dopo le presidenziali francesi, che cadono nello stesso periodo. Quindi è evidente che i Paesi che hanno fatto una scelta europea dovranno andare oltre la Costituzione».


E come?

«Ho in mente una serie di proposte in campo economico, ma non solo. Per esempio la messa in comune delle quote del Fondo Monetario Internazionale, che avrebbe come logica cosnseguenza il suo spostamento da Washington in Europa. Penso a cooperazioni nella politica di bilancio, all´armonizzazione delle politiche fiscali, a nuove iniziative in materia di energia e ambiente. Credo sarebbe il caso di convocare vertici periodici dei capi di governo dei Paesi che aderiscono all´Unione monetaria per dare una dimensione politica alla zona euro e portare alla creazione di un vero welfare europeo».


Finora siamo sempre nel campo economico.

«Non dovremmo limitarci a questo. Le cooperazioni rafforzate, naturalmente aperte a tutti quelli che vogliono parteciparvi, devono investire anche settori più delicati, come la cooperazione giudiziaria e di polizia. E la difesa».


Senza la Gran Bretagna.

«Se necessario, sì. E´ vero che il Regno Unito ha le forze armate più efficienti. Ma l´Europa non deve necessariamente diventare una superpotenza militare. Deve mandare al mondo un segnale politico di unità. E per questo non c´è bisogno delle divisioni britanniche. Lo stesso vale per la politica estera. E´ sciocco farsi la guerra con la Germania per il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Quando sarà il turno dell´Italia di sedere al Palazzo di vetro, dovremo studiare soluzioni per coinvolgere l´Europa e facilitare una presenza condivisa al Consiglio di Sicurezza».


E´ tutto molto bello. Ma nel rilanciare il processo europeo non le pare che oggi l´Italia abbia un deficit di credibilità, a cominciare dai conti pubblici in dissesto per finire con la Banca d´Italia sotto accusa?

«Certo. Il Paese non si è mai trovato in una posizione debole come adesso. Prima ancora che di bilancio, la crisi di questa Italia è una crisi complessiva di credibilità, come dimostra anche la vicenda della procedura che la Commissione vuole aprire per la normativa sul sistema bancario. Da questa situazione si esce in due modi: con una seria politica di risanamento accompagnata da riforme radicali nel campo della liberalizzazione delle professioni e del terziario, e con la nomina di ministri che abbiano anche un forte prestigio personale sul piano europeo. Tutta la struttura di governo dovrà essere tale da rendere credibile agli occhi dell´Europa quella politica di riforme profonde che noi intendiamo realizzare in tempi brevi».


E il bilancio?

«Ho lasciato il governo con un avanzo primario del 6%. Adesso siamo a zero. Il percorso di rientro richiederà tempo, e sarà possibile solo con una strategia di risanamento concordata con la Commissione. Ma per questo occorre soddisfare alcune condizioni. In primo luogo dobbiamo avere statistiche attendibili, e quindi proporrò una riforma che rafforzi l´indipendenza dell´Istat dal potere politico. In secondo luogo dovremo individuare un´autorità assolutamente indipendente e di grande prestigio che certifichi lo stato reale dei nostri conti e la coerenza tra comportamenti annunciati e misure concretamente adottate. Chiederemo subito una certificazione indipendente del bilancio, anche per appurare lo stato reale delle finanze lasciato da questo governo. Ma manterremo questa forma di controllo e di garanzia anche per il futuro. E credo che, per trasparenza, sarebbe un bene se una simile pratica si estendesse dall´Italia agli altri paesi europei. Per una volta, potremmo dare il buon esempio all´Europa. E già questa sarebbe una forma di leadership».