14 Dicembre 2005
Prodi e la metafora della maratona
Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica
Un passo dopo l´altro fanno 42 chilometri “e sblisga”, come dicono in Emilia per alludere ai decimali senza pignolerie. Un passo dopo l´altro fanno 4 ore e 21 minuti, sul traguardo il segno di vittoria con l´indice e il medio: non ci vuole molta fantasia a trasformare la maratona reggiana di Romano Prodi in un´allegoria politica.
Il fondista, il diesel, il pedalatore, «el escalador», adesso il podista, il maratoneta. Ma la fantasia non è la dote principale di Prodi, e il culto del corpo non è la sua religione: Romano è glicogeno, acido lattico, muscoli facciali che alla fine della Maratona del Tricolore di Reggio rimbalzano fin sul mento.
Una conquista dovuta agli schemi di potenziamento del fondo assegnatigli a suo tempo dal professor Conconi dell´Università di Ferrara. Molto più che il culto, una impressionante incarnazione di caparbietà, ostinazione, testardaggine, macerazione da fratacchione medievale, muoio su questo calvario ma arrivo.
Il traguardo naturalmente è il partito democratico. Senza retorica e visioni, epocali o transitorie che siano. Come dice ironicamente suo fratello, il modernista Paolo, «secondo me le visioni Romano le aveva negli ultimi due chilometri».
Anche perché si dà il caso che il partito democratico, oggi, nel sistema proporzionale, assomigli a una puntata eccentrica. Cioè giocare maggioritario mentre la partita è proporzionale.
Una fatica d´inferno, che costringe a rilanciare continuamente la corsa, a interiorizzare ogni metro di strada come una fatica essenziale, ad ascoltare il corpo e le sue proteste, anche quando urla «no, no, no».
I democristiani e i comunisti lo nascondevano, il corpo, Moro e Berlinguer bardati in spiaggia appartengono alla galleria della Repubblica, mentre il cattolico Prodi non l´ha mai celato.
Non lo nascondeva quando era un professorotto pingue e occhialuto (come nelle buffe foto del libro Insieme, il racconto di vita famigliare scritto con «la Flavia»); e non lo nascondeva qualche anno dopo, appena nominato all´Iri, allorché dopo qualche settimana romana si materializzò a Bologna dimagrito e trionfante annunciando: «Metodo Scarsdale, non rigore ma disciplina».
E allora, primo passo della maratona: le primarie. Un modo per sollecitare il corpo, elettorale nel caso, e per dare al popolo dell´Ulivo la possibilità di partecipare e di esprimersi.
Una fuga prematura, secondo tutti, uno scialo di energie, ma era un modo per sfuggire alla parte di «amministratore del condominio» a cui l´aveva consegnato la diagnosi di Ilvo Diamanti dopo che Francesco Rutelli aveva cestinato la lista unitaria.
Secondo passo, il ritorno della lista unitaria, ripescata grazie alla spinta dei quattro milioni “e sblisga” di elettori che hanno rovesciato la tendenza e riformulato l´agenda.
Per i realisti, la lista dell´Ulivo serve anche per bloccare l´alleanza, inibendo a priori qualsiasi tentazione trasformista tipo Grande coalizione o Ipotesi neocentrista nel caso di arrivo in fotofinish alle prossime elezioni.
Per gli ottimisti, la lista non è che il partito democratico in nuce. Ma i realisti come Arturo Parisi sanno che il cinismo della politica è tale che i partiti “riproporzionalizzati” sono disposti ad accettare qualsiasi obiettivo per il futuro, compreso il partito democratico, purché non ci siano impegni unitari per il presente.
Ed è per questo che l´incontro ulivista di sabato a Roma, all´hotel Radisson, sarà un´occasione per mettere alla prova le professioni di fede con i fatti.
Come il suo preparatore atletico Giorgio Cimurri, anche Parisi sussurra consigli in corsa: «La scelta è fra quantità e qualità».
Ovvero se moltiplicare l´offerta, i simboli, la competizione interna, intensificando la logica proporzionale con cui a suo tempo Rutelli aveva cestinato il Triciclo, oppure «andare oltre i partiti», come Parisi dice e ripete in ogni occasione, agitando le acque.
Un passo dietro l´altro, quasi il calco di una vecchia canzone di Luigi Tenco, che era la sigla del Maigret di Gino Cervi, un altro bolognese non comunista che per esigenze di ruolo indossò i panni dello stalinista Giuseppe Bottazzi, il sindaco rosso Peppone.
Già, all´incirca come il comunista Prodi, il san Sebastiano corridore, bersagliato dalle frecciate ostili del centrodestra: perché nella sua andatura il maratoneta Romano, l´emulo ultrasessantenne dell´olimpionico Stefano Baldini e del vecchio ragazzo endorfinico Gianni Morandi (vera schiatta di emiliani da corsa), deve fronteggiare avversari irridenti, che lo danno per bollito, ripetendoglielo forse troppe volte e troppo animosamente per non rivelare l´ansia che sia invece competitivo.
Ma c´è anche un fuoco amico, riparato dietro l´entusiasmo per il progetto ulivista: riunioni in cui si discute se ripristinare nella grafica della lista unica i simboli dei Ds e della Margherita, negoziati stressanti sulla presenza di Prodi come capolista nelle circoscrizioni, in quante, in quali, il meno possibile.
Rutelliani e veltroniani che condividono con qualche eccesso di soddisfazione la definizione debenedettiana di Prodi come «amministratore straordinario» di un Paese in crisi straordinaria.
Se non è fuoco amico è la secchiata d´acqua del fan improvvidamente entusiasta, che raffredda i muscoli e provoca crampi.
E allora si capiscono anche gli scarti di lato, e le accelerazioni improvvise per mettersi davanti al gruppo e farsi vedere dai tifosi che lo vogliono in testa alla corsa: come l´accusa di ieri sulle «minacce e lusinghe» che il centrodestra rivolgerebbe al presidente della Repubblica perché non si metta di traverso sulla legge elettorale, con la Cdl che insorge stracciandosi le vesti e reclamando un giurì d´onore sulle «gravissime affermazioni di Prodi» (d´altronde, ribattono i prodiani, i ballon d´essai sulla rielezione di Ciampi, lusinghieri o strumentali, «non li ha mica messi in giro Romano»).
Un passo dopo l´altro, e verrà presto il momento di ribadire che il prossimo traguardo intermedio, prima dell´approdo del partito democratico, sarà la costituzione dei gruppi unici alla Camera e al Senato dopo le elezioni politiche: «Da tempo – ripete Prodi – sostengo che i gruppi parlamentari dell´Ulivo sono la conseguenza logica del processo unitario».
Mentre per i furbacchioni del centrosinistra il partito democratico è un miraggio metafisico, parlarne sempre e non farlo mai, la maratona di Prodi è un´esperienza materiale, corporea, un passo alla volta, «dentro le cose» come dice lui.
Certo, a mano a mano che ci si avvicina allo striscione fanno male le gambe, i muscoli gridano, la faccia si contrae: eppure, ridacchiano di nuovo i suoi, gli ulivisti da corsa, «hai voluto la maratona, adesso corri Romano, corri».