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29 Aprile 2001

Presidente poco operaio

Autore: Sebastiano Messina
Fonte: la Repubblica

Perchè lui sì, e gli altri 54 milioni no? Perché Berlusconi è diventato l’uomo più ricco d’Italia, il re della tv e l’imperatore della politica? Come ha fatto, partendo da zero, ad arrivare a quella vetta di platino dalla quale domina le antenne di Mediaset e le polizze di Mediolanum, i mattoni della Edilnord e il portale di Jumpy, la panchina del Milan e il catalogo della Mondadori, le casse di Blockbuster e le Pagine Utili, i botteghini dei cinema e la cassaforte di una banca?
 
Queste domande se le sono fatte molti italiani, leggendo la sua autobiografia in carta patinata di cui il Cavaliere ha voluto farci gentile omaggio. Ma ieri Berlusconi ha dato finalmente la risposta. Lui è lui perché ha coltivato un progetto ambizioso. Noi invece siamo noi semplicemente noi perché non lavoriamo abbastanza.
Le grandi verità si nascondono qualche volta nelle piccole storie.
Anche stavolta è andata così. Il presidente di Forza Italia era reduce da un pranzo al “Savini”. Aveva anche offerto caffè e cioccolatini ai giornalisti che lo aspettavano in Galleria. E si stava incamminando con il suo seguito di guardie del corpo, assistenti e cameramen verso piazza della Scala. Finché non ha sentito una voce dalla folla: «Presidente, perché mio padre operaio non è mai andato a mangiare al Savini?». Era la voce di un contestatore, certo. Ma era anche la voce, tremula per l’emozione, di un giovanotto di 16 anni.
Ora, può un aspirante premier far finta di non sentire la domanda di un ragazzo? Non può. Così Berlusconi gli ha risposto. «Si vede che tuo padre non ha lavorato tanto come me». «E lei che ne sa? Mio padre ha sempre lavorato, ma non ha tre televisioni e il Milan», ha replicato il ragazzo, Simone Lazzari, dandosi coraggio. Già, avrà pensato Berlusconi, io che ne so? Magari quello si alza alle cinque da una vita e torna a casa che è già buio. Così ha pensato di salvarsi in corner: «Allora vuol dire che tuo padre ha avuto idee meno ambiziose delle mie». Poi, toccando i capelli del ragazzo, gli ha dato brevi istruzioni per il successo: «Tu comincia a studiare e a risparmiare. Usa meno gel e metti a frutto di più l’intelligenza».
Il giovane, che dev’essere un tipo sveglio, lo ha preso in contropiede, e s’è ricordato di quell’aneddoto sui primi guadagni del Silvio studente, dolcemente raccontato nell’autobiografia elettorale: «È il capo, e dimostra anche un preciso senso pratico: sbriga i compiti prima degli altri, poi aiuta i compagni più lenti o meno studiosi. In cambio di qualche spicciolo». Così lo ha interrotto: «Senta, io vado nella stessa scuola dove andava lei, il liceo Sant’Ambrogio. Ma i miei temi ai compagni io li ho sempre regalati». A quel punto Berlusconi s’è reso conto di trovarsi davanti un irriducibile oppositore, ma era ormai troppo tardi: «E sei in grado di fare tre temi in un’ora?». «Certo, ma non li vendo come faceva lei». «Bene ha concluso il Cavaliere facendo buon viso a cattivo gioco vuol dire che tra vent’anni ti voto».
Poche battute, dunque, ma illuminanti. Il presidente operaio ci ha rivelato che gli altri operai non solo non diventano presidenti, ma non alzano neanche quel mezzo milione che serve per portare la famiglia al “Savini”, semplicemente perché non sono ambiziosi, sono pigri, tirano a campare. Perché si accontentano di imballare le scarpe o di verniciare le scocche, invece di volare alto e puntare, che so, al pacchetto azionario di Telepiù. Perché pagano le bollette e si comprano la Panda a rate, invece di andare dal commercialista e farsi intestare 22 società fantasma alle isole Cayman.
L’ambizione, certo, è la molla di ogni successo. Conta raggiungere la meta. Come quelle meta si raggiunge, non conta. Anzi, è importante cogliere le occasioni della vita e afferrare ogni minuscolo appiglio per salire un altro gradino, per sorpassare i senza meta che arrancano sul crinale. Dunque va bene dare una mano ai compagni di scuola («Aiutare chi è rimasto indietro», si dice oggi), ma solo se pagano in contanti.
«Metti a frutto di più l’intelligenza» ha detto Berlusconi a quel sedicenne che deve essergli sembrato un fessacchiotto: uno che al ginnasio fa copiare gratis non farà mai strada da queste parti. Uno che non è capace di fare lo sgambetto all’avversario, uno che non sa farsi amico un politico in grado di sfornargli un decreto legge al momento giusto, uno che rispetta i semafori e non sorpassa a destra, non salirà mai sulla vetta, nell’Italia che Lui ha in mente. E tra vent’anni scoprirà che aveva ragione Giuseppe Giusti: «Un gran proverbio/ caro al Potere/ dice che l’essere/ sta nell’avere».