Il caso di una platea di imprenditori che invita un capo sindacale per poi contestarlo rumorosamente, come è accaduto ieri a Varese, è un evento politico rilevante, dal momento che si situa all’interno di una sorda guerra fra destra e sinistra, di cui Guglielmo Epifani è stato l’ultimo e più immediato bersaglio.
I fischi di Varese sono infatti un altro frutto della performance di Silvio Berlusconi al convegno confindustriale di Vicenza, allorché il leader di Forza Italia andò a riprendersi il “suo” mondo, senza preoccuparsi di delegittimare le poltrone alte di viale dell´Astronomia. Il colpo basso vicentino infatti aveva messo allo scoperto l´esistenza di due Confindustrie: le prime file, cioè l’élite, in grado di interpretare una parte più o meno neutrale verso la politica.
E una pancia confindustriale, visceralmente legata all’esperienza della Cdl, irritata per la sconfitta di Silvio Berlusconi e per il ritorno al governo del centrosinistra.
Esploso a Vicenza a dispetto di un quinquennio di governo tecnicamente fallimentare, il «tifo» per Berlusconi si è disseminato territorialmente in tutto l’apparato confindustriale e ha portato a un atteggiamento sfasato rispetto alla realtà politica. Sembra quasi che, come il primo imprenditore d’Italia, Berlusconi, la base imprenditoriale non voglia riconoscere l’ovvio, ossia l’esistenza di un governo diverso.
Se ne è avuta una prova durante l’assemblea confindustriale di mezzo termine, allorché l’ambiente imprenditoriale ha manifestato la sua freddezza verso Romano Prodi e Pier Luigi Bersani, accalorandosi esclusivamente nell’ovazione per Gianni Letta, simbolo di un rimpianto ideologico, e applaudendo selettivamente i messaggi più marcatamente di destra che Luca Cordero di Montezemolo offriva alla platea.
Insomma, i fischi di Varese non sono un incidente estemporaneo. Sono l’espressione dell’animosità innescata dagli exploit berlusconiani contro la sinistra, e nello stesso tempos il sintomo di una frustrazione politica mai apparsa così nitidamente nel mondo dell’impresa. La contestazione del segretario della Cgil si è certamente rivolta contro l´avversario numero uno nel confronto su alcuni temi canonici (come la legge Biagi), ma per una volta il sindacato è un bersaglio figurativo. Mentre attacca Epifani e inveisce contro sindacato, in realtà la base degli industriali esprime la sua ostilità verso il governo e verso Prodi, che al congresso della Cgil ha esaltato la sintonia dell´Unione con il sindacato.
Non sfugge che una base confindustriale così vocalmente antigovernativa rappresenta una novità. Per l’esecutivo, che dovrà operare scelte che lo metteranno a faccia a faccia con il mondo economico, e non ha interesse a finire nel muro contro muro. Ma anche per il vertice della Confindustria, che con la Cgil aveva ricucito a suo tempo e con il governo dovrà interloquire, e si trova ora di fronte a una base agitata dalle nostalgie del vecchio regime.
Ma al di là delle nostalgie, le imprese non erano il luogo del pragmatismo? Il santuario della fede nelle riforme (chiunque le faccia), nel bipolarismo e nell´alternanza? In questo momento sembra di assistere allo spettacolo di un ceto che si considera un´avanguardia sociale, ma che avverte i richiami più istintivi, e dà sfogo con il malgarbo alla sua vocazione conservatrice. Anzi, letteralmente “reazionaria”: non è la rivolta delle élite, fenomeno molto più sofisticato; sono i «padroni» che decidono di scendere nelle piazze in cui li ha già convocati Berlusconi. Occorrerà vedere nel medio periodo se questa «piazza padrona» ha qualche progetto politico, una voglia di opposizione senza requie, o se il suo è soltanto un malpancismo passeggero, un modesto virus curabile più che altro con la medicina del tempo e gli antibiotici del pragmatismo.