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13 Dicembre 2006

Orrori di stampa

Autore: Ferdinando Camon
Fonte: l'Unità

Il padre della donna sgozzata a Erba parla nel telegiornale delle 13, e
le sue parole suonano assurde, perché urtano contro tutto quello che
avevamo fin’allora sentito o letto. Quest’uomo dignitoso, davanti alla
casa dove qualcuno ha appena ucciso a coltellate sua figlia, sua
moglie, e il figlio della figlia, quest’uomo ha un lungo intervallo di
lucidità prima di crollare. In quella lucidità fredda e logica dice che
no, non è possibile che il marito della figlia, un tunisino di 25 anni,
abbia fatto del male a quelle persone, a nessuna di loro, e
specialmente al figlio: lui quel figlio lo adorava, stravedeva per lui.
E poi quel tunisino è in Tunisia da più giorni, dalla Tunisia gli aveva
appena telefonato.
Noi italiani avevamo nella testa una valanga di
dati irrimediabilmente contrari: famiglia massacrata a coltellate, il
capo-famiglia è un tunisino e non si trova più, ergo il tunisino è il
pluriassassino. Il tunisino pluriassassino era appena stato scarcerato
con l’indulto, ergo l’indulto e chi l’ha voluto sono responsabili di
strage. Questo tunisino è un po’ più scuro dei tunisini, somiglia a un
marocchino, allora è senz’altro un marocchino, e i marocchini sono più
assassini dei tunisini. Il massimo quotidiano nazionale in prima pagina
parlava di «immigrato maghrebino», «straniero», «marocchino».
Non
era emerso nessun movente a spiegare perché avrebbe dovuto sgozzare la
moglie e il figlio e la suocera e un’amica, ma quando un delitto è
compiuto da un maghrebino il movente non è strettamente necessario:
loro sono così, il movente sta nel come sono.
Intorno alla
colpevolezza del maghrebino-marito-padre veniva costruito il contorno
necessario a renderla più solida: era scappato subito dopo la strage.
E
aveva precedenti per violenza, aveva minacciato più volte la famiglia,
la moglie e il figlio, era finito in carcere per aggressioni e rapina.
Il caso era chiuso. Lui bisognava ritirarlo dalla circolazione e
rimetterlo in galera per sempre, ma soprattutto bisognava ritirare
l’indulto, e anzi mettere sotto processo chi l’ha votato, perché
votando quella norma votava questa strage.
Certamente chi accoglieva
o lanciava questa spiegazione mandava a intervistare il padre della
donna assassinata (la compagna del tunisino; tutti gli altri,
probabilmente, sono contorno) perché mettesse sulla ricostruzione della
strage il sigillo della disperazione, del pianto, del crollo. E l’uomo
è crollato infatti, e non si capiva più quel che diceva. Ma dopo. Prima
ha detto quanto basta per farci capire non che la polizia sbaglia (può
sbagliare, in questi casi si parte sempre sbagliando), non che i
giornali sbagliano (sbagliano spesso, le notizie in fieri attraversano
sette-otto stadi di menzogna prima di assestarsi nella verità), non che
è sbagliato un dato, un’ora, un luogo, un identikit: ma che è sbagliato
il sistema che scatta automaticamente in tutti questi casi, il sistema
per cui marocchino carcerato-per-rapina scarcerato-per-indulto
denunciato-per-violenza forma una linea diretta in fondo alla quale
vedi lo sterminio della famiglia e la fuga in patria.
Questo sistema
non è figlio della notizia, è la notizia che è figlia di questo
sistema. Può darsi naturalmente che questo tunisino in qualcosa
c’entri. Può darsi che chi è entrato in casa sua ce l’avesse con lui, e
volesse farlo morire nel più crudele dei modi, tagliando le radici
della sua vita. Ma il problema è che il nostro sistema di anticipare
queste notizie, completarle, aveva bisogno del mostro extra-europeo,
extra-cristiano, irredimibile in carcere e fuori. Stavolta il sistema
ha fallito. Ma è sempre lì, pronto a ripartire.