Su pressione della Lega, l’esame in commissione era stato interrotto e i tempi in aula strettamente contingentati: per dare un’idea, il più grande partito di opposizione si è visto assegnare un’ora e mezza per discutere i 57 articoli del testo. Questa del Senato è (era) l’ultima occasione per discutere in modo approfondito della riforma. Seguiranno due altre letture, una alla Camera e un’altra ancora a palazzo Madama: ma affinché il testo sia approvato, esso non deve subire variazioni ed è questo che mi fa presumere che occasioni di riesame non ci saranno. Dopo le due letture blindate, passata la legge di riforma, non resta che il referendum, per approvarla o vanificarla nella sua integrità.
Il disegno di legge costituzionale modifica in profondità le funzioni e i poteri di tutti gli organi supremi dello Stato – Parlamento, governo, presidenza della Repubblica, Corte costituzionale – e torna ad incidere sull’intero sistema delle autonomie, già «riformato» dal centrosinistra alla fine della scorsa legislatura. Si tratta di un’altra Costituzione, né più, né meno: di qui la sorpresa, anzi lo sconcerto, per la pochezza del dibattito di fronte all’opinione pubblica, pur scontando il fatto che solo una parte di essa è in grado di seguirlo nei suoi risvolti tecnici o anche solo di valutarne l’importanza. La pochezza del dibattito ha molte cause, ma riflette anche una diffusa sensazione di incredulità: risulta difficile credere che la nostra Costituzione possa venire radicalmente riscritta in questo modo. La macchina è però partita, ha una sua logica e i suoi tempi: due ulteriori letture, senza modificare il testo che uscirà dal Senato, si possono fare comodamente entro la fine della legislatura.
Nemmeno per sommi capi ho ora la possibilità di entrare nel merito del disegno di legge e vorrei limitarmi ad una considerazione politica generale e ad un appello, nella speranza che su questo e altri giornali venga dedicato ampio spazio alla discussione del Senato e a valutazioni di tecnici indipendenti. La considerazione è questa: con la Commissione bicamerale presieduta da D’Alema, il centrosinistra aveva tentato la riforma cercando di coinvolgere l’opposizione. La riforma era un’esigenza sentita allora da gran parte delle forze politiche, dopo la grande crisi dei primi anni ’90; questa esigenza è ancora più forte oggi, a fronte delle insoddisfazioni sul funzionamento del bipolarismo all’italiana. Dopo il fallimento della Bicamerale, il centrosinistra impose però un pezzo non piccolo della riforma complessiva, quella del Titolo V, colla procedura dell’articolo 138 che ho prima descritto, e dunque a maggioranza e contro l’opposizione. Fu un errore, che va ben oltre i difetti di merito contenuti nel testo riformato, lo pseudo-federalismo di cui oggi disponiamo. In risposta ad un errore, un errore doppio: ora è il centrodestra che intende modificare l’intera Costituzione a colpi di maggioranza.
Di qui l’appello: fermatevi finché siete in tempo! Volete usare la Costituzione, il patto che deve stabilire le fondamentali regole del gioco politico, quelle in cui la grande maggioranza degli italiani si deve identificare, come uno dei tanti temi soggetti alle regole decisionali del nostro bipolarismo esasperato Due sono, infatti, le alternative possibili, sapendo che il referendum passerà o non passerà, nell’imminenza delle elezioni del 2006, a seconda di come tirerà il vento politico allora.
Se tirerà per il centrodestra, è probabile che il testo parlamentare verrà confermato, al di là di quel che contiene e che nessuno valuterebbe nel merito. E questo sarebbe male, sia perché quel testo, per usare un eufemismo, è suscettibile di incisivi miglioramenti, sia e soprattutto perché la metà degli italiani non si riconoscerebbe in esso: lo percepirebbe come un odioso diktat, il suggello di un «regime» che gli viene imposto e contro il quale è giusto combattere con ogni mezzo. Già aspro e rissoso oggi, il nostro bipolarismo diverrebbe ingovernabile.
Se il vento tirerà per il centrosinistra, il testo parlamentare verrà annullato. Questo è già meglio, ma solo se il centrosinistra offrirà al centrodestra una proposta realistica di discussione comune dopo la sua vittoria elettorale: l’esigenza di una riforma costituzionale continuerebbe infatti a restare impellente.
Donde la domanda: perché il centrodestra non dimostra, ora, la sua lungimiranza arrestando il treno in corsa, in cambio dell’impegno del centrosinistra ad una discussione comune dopo le elezioni politiche E’ vero: l’atteggiamento attuale del centrosinistra – di opposizione intransigente, sempre per usare un eufemismo – non sembra offrire molti appigli ad un atteggiamento più disponibile del Polo. Ma proprio per questo parlo di lungimiranza: i modi di arrivare ad una riforma cui partecipino tutte le forze politiche, dopo una riflessione sui difetti sia del metodo bicamerale, sia della procedura dell’articolo 138, si possono trovare – assemblea costituente, convenzione parlamentare con compiti redigenti, e altri ancora – ed in queste circostanze è molto probabile che l’atteggiamento del centrosinistra cambierebbe.