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20 Aprile 2005

«Non voglio ereditare conti allo sfascio»

Autore: Nino Bertoloni Meli
Fonte: Il Messaggero

ROMA – In principio fu cautela, tanta cautela, troppa forse. Quella frase ripetuta più volte da Romano Prodi, «se siete in grado di governare, fatelo», più che una sfida al centrodestra sconfitto sembrava ogni giorno di più un auspicio, un invito quasi. E i mugugni, e le perplessità specie fra i diessini cominciavano a montare. «Sembra che abbiamo paura del voto, anzi, che abbiamo paura di andare al governo», era il leit motiv che circolava da qualche giorno nei capannelli dei parlamentari dell’opposizione. Ma lui, il Professore, non demordeva. Ha agito in due tappe: prima ha sgombrato il campo dal vero rischio, meglio dire fantasma, che lo assillava, il governo tecnico o istituzionale che fosse, l’“ipotesi di mezzo” tra Berlusconi e la sua caduta, uscendo subito allo scoperto e annunciando urbi et orbi che la strada da quella parte era chiusa, sbarrata, impercorribile. Poi, ragionando con i suoi ma anche con gli altri leader dei partiti dell’Unione, ha esposto il ”teorema Prodi” in presenza della crisi Cdl: a differenza di quanto fecero loro dopo le regionali che chiesero subito le elezioni – ha spiegato – io non voglio fare lo stesso, noi siamo responsabili e così dobbiamo apparire, non si deve usare un voto amministrativo per ragioni politiche.
Tutto questo ha tenuto fino all’altro giorno. E da Fassino a Rutelli a Bertinotti nessuno ha sollevato dubbi sostenendo la posizione attendista in ogni uscita. Al punto che Piero il lungo ha rischiato di trovarsi spiazzato quando, avendo chiesto un giorno sì e l’altro pure che il governo venisse in Parlamento, quando il capo dello Stato lo ha deciso ha dovuto parlare di «farsa». Le cose sono precipitate all’improvviso. Quando l’Udc si è disimpegnata e quando An ha minacciato lo stesso copione, Prodi ha rotto gli indugi. «Non è che possiamo stare un passo indietro a quanto avviene nel centrodestra, la crisi l’hanno di fatto aperta loro».
Il vertice dell’Unione si è aperto con le notizie che si rincorrevano dell’uscita di An dal governo. Il leader della coalizione in apertura ha annunciato subito la minisvolta: «Noi non chiediamo le elezioni perché abbiamo vinto le regionali, ma se pure An si sfila dopo l’Udc, non c’è più la maggioranza e non rimane che andare a votare». E poi, non sono proprio questi i segnali che vengono dagli imprenditori e dal mondo economico? «Rischiamo una voragine nei conti e non voglio ereditare un Paese in ginocchio», ha scandito Prodi più volte in questi giorni. Arturo Parisi ha spiegato qualche ora dopo per filo e per segno: «Ormai non è più la maggioranza votata dagli elettori del 2001, sono separati in casa, e anche se facessero un governo fotocopia sarebbe profondamente diverso e privo di mandato popolare». Clemente Mastella ha fatto il saggio: «Di solito l’elettorato punisce chi chiede le elezioni, ma ora non è che possiamo dare l’idea di temerle o di non essere pronti». Non c’è stato bisogno di insistere particolarmente, tutti i leader si sono detti d’accordo (o intervenendo o col silenzio assenso come Rutelli). A quel punto da Bertinotti, Pecoraro Scanio, Diliberto e Mastella è venuta la sollecitazione a far presto sul programma e Prodi ha raccolto: «Intensificherò gli incontri, dobbiamo essere pronti». Con i governatori eletti due settimane fa, si sarebbe deciso che il prossimo presidente della conferenza Stato-Regioni (l’uscente è il forzista Ghigo) dovrebbe essere Vasco Errani, governatore dell’Emilia, Ds.
Alla fine, piccolo siparietto con strascico litigioso fra Fassino e Rutelli. «Hai esagerato con la vittoria di Venezia, anch’io avrei molto cose da dire», fa il leader Ds. «Ma no, che esagerato, piuttosto meno male che non ha vinto Casson», la replica.