In molti giovani italiani che lavorano all’estero, o in Italia in contatto
con l’estero, ho notato negli ultimi tempi un cambiamento. Prima cercavano con
il loro impegno e con la discussione di convincere i colleghi di altri Paesi che
certi stereotipi negativi sull’Italia non sono più giustificati, se mai lo
fossero stati in passato. Ora, sono assaliti dal dubbio che, dopo tutto, gli
stereotipi non fossero infondati e che forse l’Italia sia peggiore di come essi
si sforzavano di credere. In altre parole, si vergognano di essere italiani.
Questa fuga della fiducia nell’Italia, ancora più grave della fuga dei cervelli
dall’Italia, sarà il «merito» più rilevante acquisito sul campo da coloro che si
sono battuti per la «difesa dell’italianità» di alcune banche.
La magistratura giudicherà. Ma che un Governatore ostenti amicizia per
alcuni banchieri, che riceva da loro doni se non baci, che certi parlamentari
abbiano il ruolo di portavoce quasi ufficiali del Governatore (anche annunciando
che una colazione tra questo e il presidente del Consiglio ha sancito la linea
della difesa dell’italianità), che si registrino interventi che mischiano tali
questioni con aspetti religiosi, tutti questi sono esattamente i connotati di
quell’ «italianità» spregiativa per superare la quale i nostri giovani italiani
si battono. Ma adesso si sentono dire dai loro colleghi stranieri, con un
sorriso ironico: «Visto?». Capisco la loro rabbia, la loro voglia di estraniarsi
dal loro Paese.
Invece, sarà solo se i giovani sapranno mantenere lo sdegno, ma convincere
se stessi e i loro interlocutori stranieri che questi sono riprovevoli episodi
di un’Italia stantia, in corso di superamento, che avremo qualche prospettiva di
miglioramento.
Sottolineo che il danno è compiuto. Gli episodi citati sono documentati e
notori.
Potranno costituire reati o meno, potranno esservi molti altri fatti o
no, ad opera degli stessi o di altri protagonisti. Ma bastano questi. E
soprattutto basta la circostanza che, pur essendo questi fatti sotto gli occhi
di tutti da molti mesi, ci sia voluto tanto tempo perché esponenti del mondo
bancario, economico, politico e della stampa trovassero il «coraggio» per
prendere le distanze.
Bisogna poi fare attenzione. Quanti hanno preso le distanze da Antonio
Fazio, Gianpiero Fiorani e da altri compartecipi a quella comunità di valori non
sono necessariamente a favore di un’Italia diversa, nella quale la competizione
sul mercato si sostituisca alla logica asfissiante dell’amicizia, dello
schieramento, del clan. No, vi sono probabilmente tra essi molti esponenti di
quella stessa identica logica, ma che – mutate le circostanze – hanno cambiato
clan. A puro titolo di ipotesi: se prima il Governatore era amico-sostenitore di
un banchiere e poi – probabilmente per considerazioni sul bene del sistema
creditizio italiano – ha cambiato amicizia, il banchiere abbandonato e le voci
di stampa a lui vicine possono diventare fieri critici del Governatore e dei
nuovi assetti, ma non per questo sono sinceri assertori di un cambiamento di
logica, verso il mercato.
Forse, con il tempo, la nuova logica potrà affermarsi, non solo nelle
parole ma anche nei fatti. Ma questo non sarà possibile se quei giovani
italiani, che sono i naturali portatori di quella logica, si estranieranno
mentalmente dal loro Paese.