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30 Maggio 2005

“Non è tempo di Fraternité, soprattutto a sinistra”

Autore: André Glucksmann
Fonte: Corriere della Sera

Non raccontiamoci storie. A quelli che come me sostengono il « sì » , sconsiglio vivamente di sottovalutare il « no » francese: denuncia un movimento di respiro e ampiezza continentali. Apparentemente, la maggioranza del « no » è proteiforme, contraddittoria. Coagula angosce differenti, amalgama le insoddisfazioni e senza alcun imbarazzo intercetta i pregiudizi dell’estrema destra come dell’ultrasinistra.

In realtà, questo amalgama confuso e combattivo è un segnale di forza. Il « no » non si cura delle divisioni interne, ma unisce. Fa tabula rasa. Antiliberale, antiamericano, contrario all’immigrazione dal Sud e soprattutto dall’Est, in odio alla burocrazia cosmopolita di Bruxelles, dichiara guerra alla concorrenza polacca, ai predatori baltici, senza trascurare i futuri invasori turchi. Il « no » monta la guardia alle frontiere dell’antica Comunità. È così che il referendum ufficiale sulla Costituzione si è gradualmente trasformato in un referendum ufficioso — e retrospettivo — contro l’allargamento da 15 a 25. Non è più tempo di fraternité .

Dato ancor più grave, le fobie che alimentano il « no » sono rinfocolate da quanti sostengono ufficialmente il « sì » . Non è stato Chirac, al tempo della querelle irachena, ad avere l’ardire di affermare che gli europei dell’Est avevano un solo dirit to: « quello di tacere » L’ossessivo obiettivo della diplomazia francese è creare una « potenza Europa » da contrapporre alla « superpotenza » americana. Questo non è il sogno di un’Europa europea, è piuttosto i l sogno di un’Europa francese.

Parigi — Berlino — Mosca, eccone la spina dorsale. Bruxelles o Varsavia non devono fare altro che adeguarsi. Saranno i capri espiatori dello scacco referendario.
Meglio Putin che Bush! Come rimproverare all’elettore francese di essere più coerente di de Villepin A nessuno sfugge che nell’Europa a 25 la maggioranza rifiuta di giocarsi Washington per Mosca e Pechino.

Allora al diavolo i 25! Optando per uno « chiracchismo » senza Chirac, i socialisti a favore del « no » — Fabius, Emmanuelli — non fanno che riproporre questa geopolitica a colpi di populismo. Agitano lo spettro del dumping e delle delocalizzazioni. Di fronte all’idraulico polacco che ci toglie il lavoro, all’Estonia che deruba le nostre fabbriche, scegliamo una « Yalta bis » e sbattiamo la porta sul muso delle giovani democrazie est europee! La libertà spaventa. In Francia « liberale » è diventato il peggiore insulto.

La Costituzione Un fardello liberale, secondo i sostenitori del « no » , una barriera contro il liberalismo, per gli apostoli del « sì » . Abbasso Spinoza, Kant, Adam Smith o Popper! Il liberale, ecco il nemico. Paghiamo decenni di menzogne e illusioni. La Francia vive in un’economia di mercato mondializzata ma parla socialista e nazionale.

Non c’è da meravigliarsi che l’elettore segua la rotta indicatagli. Chirac ha recentemente dichiarato: « Il liberalismo è un’ideologia nociva come il comunismo e, come il comunismo, finirà contro un muro! » . « Dall’alto » , la Francia chiama alla Resistenza contro l’orco liberale. Il « popolo » prende il coraggio a due mani, decide di abbattere il mostro e sacrifica il « sì » delle élites sull’altare della loro incoerenza.

Mi viene replicato: il dieci per cento di disoccupati, l’undici per cento di poveri, ecco che cosa spiega la fioritura di pulsioni xenofobe e nichiliste.
No! Lungi dall’essere economica e sociale, la crisi è essenzialmente mentale. Cadono i ta bù. I freni che bloccano l’odio nei confronti dell’altro, dello straniero innanzitutto, si sono allentati. E’ a sinistra che la tacca d’arresto morale è saltata.

Nel corso di questa campagna elettorale ho sentito leader socialisti stigmatizzare lavoratori di altri Paesi europei come solo l’estrema destra sapeva fare. Ho visto Jean Pierre Chevènement urlare contro gli « oligarchi di Bruxelles » rivendicando l’origine putiniana del suo linguaggio.

Le pulsioni estreme hanno acquisito una patina di rispettabilità maggioritaria per intercessione dei leader socialisti del no. Nel 1992, all’ epoca di Maastricht, l’elettorato diviso della destra parlamentare rischiò di bocciare l’Europa. Questa volta è l’elettorato di sinistra che fa precipitare tutto: le cifre lo dimostrano. In Francia, il quaranta per cento dell’elettorato è antieuropeo e antidemocratico.

Fabius porta il resto. Il tono e lo stile di due mesi di campagna rigorosamente ideologi ca, dominata dalle antinomie feticcio del XIX secolo, hanno ripreso dalle fraseologie rivoluzionarie il manicheismo desueto.

Questa costituzione è « sociale » o « liberale » Ecco l’interrogativo chiave del dibattito. Ci si è compiaciuti a contrapporre « la concorrenza libera e non falsata » da un lato e la « protezione sociale » dall’altro. Si è tradotto: o la giungla del mercato o lo statalismo protezionistico. D’un tratto, cinquant’anni di costruzione europea sono stati buttati nel dimenticatoio.

Mediamente, da mezzo secolo i democratici cristiani, alternandosi con i socialdemocratici, avevano programmato che l’efficienza economica e la preoccupazione sociale, lungi dall’escludersi, potevano coniugare libertà, prosperità e solidarietà.

Una scommessa del genere ha condotto l’Europa occidentale fuori dalle proprie rovine, spingendola a diventare la seconda potenza economica mondiale, se non addirittura la prima in materia di benessere.

Non è più così. Né in Germania né in Francia i partiti di sinistra si accollano le sfide di un’ « economia sociale di mercato » . Riesumando anatemi antidiluviani, il presidente della Spd, Franz Müntefering, tuona a Berlino contro le « cavallette » del Ca pitale internazionale che saccheggiano il lavoro produttivo, conta sulla vituperazione antiamericana e anticapitalista per evitare un disastro elettorale annunciato. Il dietro front di Schröder, ex « amico dei padroni » , fa il paio con la virata a 180 ° di Fabius, l’opportunista e molto poco bolscevico primo ministro liberale d’un tempo.

Il successo del no francese e la deriva demagogica dei socialisti europei nascono da un declino morale e mentale comune.
Un simile fallimento dell’intelligenza e della generosità non dovrebbe avere che conseguenze locali, caduta dei rosso verdi in Germania, e divertenti, messa in ridicolo del narcisismo franco francese.

Sfortunatamente, nessuna forza politica, a Berlino o a Parigi, ha riconosciuto che il maggiore evento di questi ultimi mesi è stata la Rivoluzione Arancione, ossia, scusate se è poco, l’emancipazione di cinquanta milioni di europei che si sono sollevati contro il dispotismo post comunista. L’identità europea è questo soffio di libertà, più vivace che mai, fra Kiev e Tbilisi.

La Francia, terra dei diritti dell’uomo, ormai freddolosa e impaurita si raggomitola, mentre popoli fieri si impadroniscono di parole di cui ha perso l’uso nonostante sovrastino i suoi seggi elettorali: Liberté, Egalité, Fraternité.
(Traduzione di Maria Serena Natale e Monica Levy)