IL
SONDAGGIO proposto dall’Atlante politico di Demos per la Repubblica
delinea un orientamento elettorale coerente, ma, al tempo stesso, più
fluido rispetto alle scorse settimane. La distanza fra il Pdl e il Pd è
immutata. Circa 5 punti percentuali, a favore del Pdl. Si allarga a 6,7
punti considerando i partiti “apparentati” (grazie al contributo della
Lega). Tuttavia, i due partiti maggiori arretrano un poco. Insieme, il
loro peso sul totale degli elettori passa dal 76% al 73%. Se ne
avvantaggiano, in parte, le liste che, fino a poche settimane fa, erano
alleate mentre ora sono concorrenti. La Sinistra Arcobaleno, da un
lato. L’Udc e la Destra, dall’altro. In parte, però, il calo subito dai
due partiti principali favorisce gli alleati: l’Italia dei valori e la
Lega. Le ragioni di questa ripresa, per quanto limitata, della
“concorrenza” sul mercato elettorale sono diverse. 1. Anzitutto, la
presentazione delle liste e il conseguente avvio ufficiale della
campagna hanno reso visibile la presenza di altri partiti, oltre ai due
principali. Ciò ha allargato la “dispersione” delle scelte, rendendo la
competizione un po’ più “proporzionale”.
E’ come se i consumatori del
(super) mercato elettorale cominciassero a prendere confidenza con i
nuovi prodotti. 2. Il calo dei partiti maggiori è, inoltre, dettato
dalle difficoltà incontrate nella costruzione delle liste, nel
tentativo di attrarre i settori di mercato elettorale più diversi. E,
in particolare, i più critici. Così, il Pd ha candidato Massimo
Calearo, imprenditore del Nordest, orientato a destra: per intercettare
i voti degli imprenditori del Nordest, (largamente) orientati a destra.
Mentre il Pdl ha “reclutato” Giuseppe Ciarrapico, noto imprenditore
romano, nostalgico e un po’ fascista: per drenare i voti romani e
nostalgici attratti dalla Destra di Storace. Per conquistare al Senato
una regione determinante come il Lazio, dove Ciarrapico pubblica
numerose testate locali. Ha, inoltre, sollevato malumori la collezione
di candidati come etichette simboliche.
I giovani e le giovani: di
varia cultura e professione. Possibilmente, di bell’aspetto. Per non
parlar degli operai. Veri. Sopravvissuti alle stragi nei luoghi di
lavoro. Ma, soprattutto, all’estinzione della specie. Quanto al Pd,
l’accordo con i radicali ne ha allargato i confini identitari. Ha,
inoltre, “incluso” una base di elettori limitata, ma coerente e fedele.
Creando, tuttavia, disagio e disaffezione presso l’elettorato
cattolico. 3. Il minor grado di polarizzazione, peraltro, è favorito
dalla ridotta intensità del confronto fra Pdl e Pd. Almeno, fino a una
settimana fa. Il Pdl, in particolare, ha concentrato la polemica
sull’Udc. Offrendole visibilità e identità. Anche per questo, sabato
scorso, a Milano, Berlusconi ha effettuato uno “strappo” rispetto al
profilo basso tenuto fino ad allora. Stracciando – letteralmente – il
programma del Pd. Non solo perché sopraffatto dal suo “spirito
caimano”. Anche per indicare apertamente l’avversario. L’unico, vero
“antagonista”.
Il Pd di Prodi, che Veltroni – l’illusionista – vorrebbe
occultare. D’altronde, una campagna così soft, questo dibattito
“politicamente corretto”, rischiano di indurre gli elettori a votare in
libertà, sfuggendo alla logica (secondo alcuni, al “ricatto”) del “voto
utile”. Ma, nella fattispecie, danneggiano principalmente il Pdl. Il
cui vantaggio dal Pd resta ampio. Ma non incolmabile. Veltroni,
infatti, continua a tenere testa a Berlusconi, nel confronto diretto.
Fra i candidati premier, è quello che riscuote maggior fiducia fra gli
elettori. La campagna elettorale, fino ad oggi, pare non averne usurato
l’immagine. Inoltre, il peso degli incerti resta molto alto. Oltre un
terzo degli elettori. Tra essi, la quota maggiore è costituita da
elettori che due anni fa avevano votato per l’Ulivo. Tentati, in larga
misura, dall’astensione. Incerto, peraltro, è il 30% di quanti nel 2006
avevano scelto l’Udc. Questi dati suggeriscono che, prima del voto,
molto può ancora succedere. Ma indica anche i due diversi problemi, a
cui i partiti maggiori dedicheranno la loro campagna. Per il Pd: l’area
della disaffezione e dell’astensione, in cui staziona un settore molto
ampio di elettori di centrosinistra. Per il Pdl: l’elettorato orientato
verso l’Udc (ampio, ma anche molto incerto) e quello attratto dalla
Destra (delimitato, ma territorialmente concentrato e in sensibile
crescita, nelle ultime settimane). Per questo riteniamo che la campagna
elettorale, nelle prossime settimane, sia destinata ad accendersi,
assumendo toni più aspri. Soprattutto per iniziativa di Berlusconi,
che, quando si muove in modo educato e felpato, come in questa fase,
appare un po’ legato.
Sicuramente più a disagio di Veltroni. Uno
specialista nel recitare la parte del “buono”. Mentre il Cavaliere dà
il meglio di sé quando può liberare il suo “animal spirit”. Guardare
dritto negli occhi l’elettore. Il “suo” elettore. Dargli del tu.
Parlargli in modo diretto. Da imprenditore a imprenditore, da operaio a
operaio, da ottimista a ottimista, da casalinga a casalinga. Da
anticomunista ad anticomunista. D’altronde, il Cavaliere, ha già
“strappato” rispetto allo stile ovattato delle settimane scorse. Non
vuole sorprese. E sembra disposto a risvegliare l’antiberlusconismo.
Che potrebbe convincere gli incerti di centrosinistra a “votare”. In
modo “utile”: per il Pd. Erigendo di nuovo il muro di Arcore, però,
Berlusconi rivolgerebbe agli elettori orientati a votare per l’Udc e
per la Destra un messaggio esplicito. Non c’è alternativa possibile,
fra il Pdl e la sinistra. Naturalmente, potremmo sbagliare. La campagna
potrebbe riprendere come prima – noiosa e politicamente corretta.
Soprattutto se, come dicono i sondaggi commissionati da Berlusconi, la
partita fosse davvero chiusa e senza speranza per gli avversari. In
questo caso, non ci sarebbe motivo di alzare la voce, spaventare i
moderati, gridare al lupo e al comunista. Né di tuonare – ogni giorno –
contro i sondaggi taroccati (quelli degli altri). Per quel che ci
riguarda, per rispondere alle polemiche sull’argomento (sollevate non
solo da Berlusconi), preferiamo ricorrere alle parole dell’Uomo Comune
disegnato da Altan, qualche giorno fa, sulla prima della Repubblica.
Alla richiesta di un sondaggista, intenzionato a intervistarlo,
reagisce: “Sì. Ma l’avverto che alla mia risposta non ci credo”. Perché
i sondaggi non prevedono il futuro. Al massimo il presente. Non
anticipano le decisioni degli elettori. Ma solo le intenzioni.