30 Maggio 2005
“Margherita, basta ambiguità se non volete Prodi, ditelo”
Parla D'Alema: da Rutelli un duro colpo alla leadership "Ma dico no a una lista personale del Professore"
Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica
ROMA – Presidente D’Alema, cosa avete deciso? Anche la Quercia se ne andrà da sola, con la sua lista autonoma, o aderirete alla lista di Prodi, quella dell’Ulivo “con chi ci sta”?
“Non abbiamo deciso, e per la verità non abbiamo alcuna fretta di decidere…”.
Non avete fretta? Ha un’idea di quale sia lo sconcerto tra gli elettori del centrosinistra? E non le risulta che adesso, in questo regolamento di conti tra Prodi e la Margherita, anche i Ds siano in fortissima sofferenza?
“Sgombriamo subito il campo da un equivoco. Noi siamo un grande partito, e non siamo affatto in sofferenza. Male che ci vada, se la rottura nella Margherita diventasse insanabile noi diventeremmo il primo partito d’Italia. Ma noi non cerchiamo l’autosufficienza. A noi sta a cuore il destino di tutto il centrosinistra. Chiarito questo, è evidente che in un momento così carico di veleni e di ambiguità, il nostro sforzo è finalizzato a recuperare serenità e chiarezza. Qualunque scelta compiuta adesso dai Ds, sul tema specifico della lista, rischierebbe di approfondire la frattura tra la posizione di Prodi e le deliberazioni della Margherita”.
Quindi cosa fate? Vi mettete sul bordo del fiume, ad aspettare che passi il cadavere del centrosinistra?
“Noi siamo impegnati e ci impegneremo a riaprire un confronto politico di profilo alto, dentro la coalizione. E lo faremo a partire dall’unica proposta politica che è attualmente in campo: quella di Prodi. Una proposta che ha preso le mosse da due esigenze di fondo. La prima è il rilancio della federazione unitaria come baricentro riformista, di cui la lista unitaria è una condizione necessaria, in quanto ne invera il progetto. La seconda esigenza nasce dalla drammatica situazione che il Paese sta vivendo. Solo un gruppo dirigente veramente coeso sarà in grado di affrontarla con qualche probabilità di successo”.
È esattamente questo il problema: dopo quello che è accaduto, il gruppo dirigente dell’Ulivo tutto sembra fuorché coeso.
“Per questo dobbiamo ripartire dalla sfida di Prodi. Io non mi posso definire un “prodiano”, ho anche avuto momenti di conflitto con Romano, ma quando nel luglio del 2003 ha lanciato il progetto della lista unitaria l’ho sostenuto perché ne condividevo pienamente l’analisi. L’enormità dei problemi che abbiamo di fronte richiede un grande salto di qualità: oggi non è riproponibile il modello del ’96, cioè un leader fuori dai partiti, che trovava soprattutto nella società civile la sua legittimazione e la sua forza. Oggi serve qualcosa di nuovo e di più credibile. Questa è la lista unitaria: una grande forza riformista, da far crescere attraverso una federazione dei partiti. Per noi questo è e resta l’obiettivo”.
Per voi, ma non per la Margherita, che decide di chiamarsi fuori.
“C’è soprattutto una cosa che mi ha colpito: è stata una decisione legittima e democratica, per carità. Ma il punto è un altro: la Margherita ha deciso per sé, senza farsi minimamente carico degli effetti che la sua scelta avrebbe determinato sulla leadership e sull’intera coalizione”.
Rutelli le obietterebbe: perché considerate così “eversiva” una scelta che riguarda solo la modestissima quota proporzionale del 25% dei seggi della Camera?
“Conosco l’obiezione. Ma mi permetto di dire che non regge. È incoerente e contraddittoria. Noi abbiamo presentato la lista unitaria quando si poteva evitare, cioè alle elezioni europee, perché consideravamo quel voto un test significativo su una proposta politica più ampia. La Margherita c’è stata, e il risultato è stato positivo. Poi quel test l’abbiamo ripetuto, sia pure selettivamente, anche nelle successive tornate amministrative, e ha funzionato. E adesso che ci prepariamo per la sfida finale, l’elezione maggioritaria per la guida del Paese, ci tiriamo indietro! Capisce il paradosso? Siamo come l’orchestra che si prepara per mesi, fa le prove generali, e poi non si presenta alla serata della prima…”.
Ma Rutelli sostiene che la sua scelta non ferma il processo unitario, e infatti insiste nel rilancio della Fed.
“Non è così semplice. La scelta della Margherita ha implicazioni politiche molto più vaste, che non si può far finta di non vedere. Pensi solo agli alleati. Per esempio lo Sdi. Cosa dovrebbe fare adesso Boselli? Correre da solo, sapendo di non superare lo sbarramento del 4%? Oppure ascoltare le sirene di De Michelis, che gli chiedono di ricomporre dall’altra parte la diaspora socialista? Questo, soprattutto, rimprovero alla Margherita: ha agito in una logica nella quale ciascun partito pensa solo al proprio orticello. Ma è una logica che noi non possiamo accettare”.
Peccato però che anche Rutelli rimproveri a voi un sacco di cose. Per esempio la solita “tentazione egemonica”, o la pretesa di voler “incorporare” la Margherita. È vero o no?
“Siamo al cuore del problema. Rutelli non può da una parte ridimensionare la portata della decisione, dicendo che è solo una scelta di “tecnica elettorale”, e poi agitare vecchi spettri come l’egemonia, rilasciare interviste in cui grida “ci volevano incorporare”, o lasciar scrivere sul giornale del suo partito editoriali che teorizzano la necessità di una “competizione” con i Ds. Intanto, è una linea contraddittoria. E poi, io capisco l’orgoglio di partito, ma chiedo: dov’è la prospettiva di governo del Paese, in tutto questo? E qual è il vero disegno politico alternativo, sui destini del centrosinistra? Ecco quello che voglio capire dagli amici della Margherita, oggi: quello di Prodi non è un artificio elettorale, ma un progetto politico che comprende un’idea equilibrata sull’assetto dell’intera coalizione. Non condividete più questo progetto? Se è così, ditelo. Ma spiegateci bene qual è il vostro piano strategico. Altrimenti la gente non capisce, e continua a chiedersi “cosa c’è dietro”?”.
Rutelli non è ancora riuscito a farvelo capire, neanche dopo l’ultima burrascosa riunione di mercoledì scorso?
“La Margherita è un partito complesso. Dicono di voler andare avanti sulla Fed. Benissimo, su questo sono d’accordo e condivido persino alcune delle critiche avanzate da Rutelli: siamo stati tutti, incluso Prodi, a tratti poco incisivi sui passi concreti da far compiere alla federazione. Ma è davvero questo il problema? Dicono di soffrire un “asse privilegiato” tra Romano e i Ds. Benissimo, possiamo discuterne, correggere errori se ci sono stati. Ma di nuovo: è davvero questo il problema?”.
Dica la verità: lei è convinto che in realtà la Margherita abbia sparato un siluro alla candidatura del Professore?
“Non so se il vero obiettivo fosse questo. Ma è chiaro che quella mossa è stata un colpo alla leadership di Romano, che ha sempre legato la sua missione politica alla lista unitaria. Non si può far finta di non vedere che, affossando la seconda, si rischia di indebolire anche la prima”.
Quindi, secondo lei, dietro la critica al “Prodinotti” si nasconde un “Prodicidio”?
“Senta, se mai il Prodinotti esiste davvero, il no alla lista unitaria è la risposta peggiore. Incrinare l’asse riformista e mettere in crisi l’Ulivo produce l’effetto contrario: Prodi è costretto a fare il mediatore tra i partiti, e così il potere negoziale delle ali estreme aumenta invece di diminuire. Comunque, io insisto, e anche su questo chiedo alla Margherita: siete un grande partito, se volete cambiare il leader della coalizione avete il dovere di dirlo chiaramente”.
A quel punto tornerebbero in ballo le primarie?
“È possibile. Ma noi a quel punto non ci vogliamo arrivare. Il candidato c’è, si chiama Prodi ed è l’unico che abbia messo in campo un progetto politico chiaro. Noi ci crediamo, e continuiamo a sostenerlo”.
Eppure c’è chi dice che la Margherita ora voglia offrire ai Ds la scelta del nuovo candidato. E c’è chi dice che Fassino e Veltroni già scaldino i muscoli.
“Queste voci fanno parte della guerriglia. Se qualcuno ha in mente piani diversi, non risolve il problema mettendo in giro nomi di presunti candidati diessini”.
C’è chi sospetta in Rutelli una rinnovata tentazione neo-centrista, magari col gioco di sponda dell’establishment e della Confindustria di Montezemolo. Lei che ne dice?
“Non conosco gli orientamenti dell’establishment economico. Certo, trovo moralmente discutibile il mettere sullo stesso piano la maggioranza e l’opposizione in una critica che sembra rivolta indistintamente alla politica. Così si nascondono le enormi responsabilità del centrodestra in questo pauroso declino del Paese, abbandonato al pressappochismo, all’assalto alla diligenza, ai conti taroccati, alle leggi ad personam. Mi spiace ma al todos caballeros non ci stiamo: noi abbiamo governato in modo incommensurabilmente diverso, rispetto a questi avventurieri che ci governano adesso. Voglio dirlo con chiarezza alle cosiddette elites: se tra gli imprenditori non si coglie questa differenza, allora si dimostra che anche le elites sono parte del problema, e non certo la soluzione”.
Però può esser vero che, di fronte alla disgregazione della Cdl, la Margherita è più adatta di voi a drenare consensi da quella parte.
“Anche su questo suggerirei cautela. Trovo un po’ sopravvalutata l’idea della disgregazione dell’elettorato del Polo. È evidente che il tracollo della Cdl alle regionali ha accelerato la tentazione autonomista della Margherita, ma io non credo che ci sia una convergenza dell’elettorato verso il centro. Il centrodestra in questo Paese non è un accidente della storia. È un ceto sociale, è un blocco di interessi, e ha ancora radici nella società italiana. La Cdl può perdere le elezioni, perché ha governato malissimo, ma perderà pur sempre con un 40-45% dei voti. E tutto sommato è bene che sia così. Perché noi non abbiamo interesse a una disfacimento trasformistico dell’altro blocco, che produca un deflusso di consensi verso una vasta, indistinta e litigiosa “area della governabilità”. Il nostro interesse è che cresca il bipolarismo italiano, e che mentre nel centrosinistra si rafforzi il nucleo riformista, nel centrodestra ci sia un’evoluzione verso il modello del popolarismo europeo. La forza della proposta dell’Ulivo di Prodi è anche questa: delinea uno sbocco moderno per tutta la politica italiana. Anche per questo la Margherita farebbe bene a riflettere sulle sue scelte”.
Facciamo un’ipotesi: la vostra mediazione fallisce. La Margherita non torna indietro, l'”Ulivetto” non decolla. A quel punto Prodi che fa? Presenta una lista con il suo nome e basta?
“È uno scenario che non voglio neanche prendere in considerazione. Si riproporrebbe un problema che abbiamo già conosciuto: un “ulivismo” che si sviluppa al di fuori e contro i partiti. Un Ulivo che diventa un simbolo dell’antipolitica. Sarebbe un grave ritorno al passato. Una ricaduta in quello “spirito di Piazza Navona” che per un momento, tre anni fa, è stato salutare. Ma che oggi sarebbe esiziale per il centrosinistra, e per le sue possibilità di governare con successo questo Paese”.