2222
26 Gennaio 2005

Ma Parigi è un modello?

Autore: Francesco Giavazzi
Fonte: Corriere della Sera

Un’illusione pericolosa si fa strada in Europa. Che la via per sopravvivere alla concorrenza di India e Cina sia affidarsi allo Stato e alla capacità dei governanti di scommettere su progetti vincenti, di finanziare aziende che diventino «campioni europei» (a qualcuno basterebbero nazionali.) La Francia ha creato un’Agenzia pubblica per l’innovazione, dotandola di 6 miliardi di euro. Il Commissario europeo per l’industria, Gunter Verheugen, promette che quando è in gioco la creazione di uno di questi campioni Bruxelles avrà un occhio di riguardo nell’applicare le regole antitrust. Mi è difficile dimenticare il passato. Negli anni Novanta Parigi spinse l’espansione del Crédit Lyonnais sino a farne la più grande banca al mondo fuori dal Giappone. Il successivo fallimento costò allo Stato alcuni punti di pil, cinque o sei volte quanto oggi investe nella nuova agenzia.
Il tentativo di costruire un campione francese dell’informatica, Bull, non ha avuto migliore fortuna: l’azienda non è mai decollata e l’estate scorsa Bruxelles ha dovuto approvarne l’ennesima ricapitalizzazione, questa volta spendendo mezzo miliardo di euro. Il vero successo europeo nell’informatica, StMicroelectronics, non ha avuto bisogno di denaro pubblico, ma dell’intuizione di un manager lungimirante, Pasquale Pistorio, dell’intelligenza di un’amministrazione pubblica (a Catania, non a Parigi o ad Hannover) che ha capito e favorito il progetto e di un capitale umano straordinario, i giovani siciliani. La prova che lo Stato non aveva capito nulla è che all’inizio delle privatizzazioni italiane, quando l’azienda era in difficoltà, voleva chiuderla.
Il controesempio è l’Airbus di Tolosa. E’ evidentemente un grande successo, ma è anche un esempio molto speciale, in un settore nel quale al mondo possono sopravvivere solo due aziende (Boeing ed Airbus) e il coordinamento è la condizione per la sopravvivenza. Non è un caso che questo sia avvenuto in Francia, il Paese europeo che dispone dell’amministrazione pubblica più efficiente. Il tentativo inglese di salvare la loro industria automobilistica concentrando tutte le aziende in un nuovo campione nazionale, la Leyland, ebbe solo l’effetto di accelerarne la scomparsa. Oggi la Gran Bretagna ha ottime aziende automobilistiche, in forte concorrenza fra loro, e tutte giapponesi. Ma che differenza fa per lavoratori e consumatori la nazionalità del padrone Impegnato a decidere se di innovazione debba occuparsi Marzano o Siniscalco, Berlusconi sembra tutto contento dell’offerta francese di partecipare alla loro nuova agenzia. Il risultato sarà che pagheremo per finanziare progetti scelti e guidati da francesi e localizzati in Francia.
Le nostre aziende di successo (si leggano le storie raccontate da Fabrizio Onida in «Se il piccolo non cresce», Il Mulino, 2004) non hanno bisogno di denaro pubblico, ma di un po’ di concorrenza nei servizi, ad esempio quelli telefonici, di grandi banche internazionali, che le aiutino quando vanno a Shanghai e soprattutto di uno scambio: meno aiuti di Stato alle aziende grandi e decotte e meno tasse per quelle piccole e di successo. Ma Berlusconi è diventato ostaggio di banchieri autarchici e di grandi monopolisti: anche se le capisse, queste cose non può più farle.
Più interessante è sapere che cosa pensa Romano Prodi. Il professore bolognese ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle piccole imprese: creerebbe un’agenzia alla francese, o eliminerebbe l’Irap, finanziandola con un taglio degli aiuti di Stato alle grandi imprese.