Una maggioranza politica convinta di perdere le elezioni, e quindi di
accingersi a diventare minoranza, cambia, agli sgoccioli della legislatura,
la legge elettorale. L’obiettivo che gli scrittori della legge si propongono
è duplice: non solo scompaginare i piani di battaglia della coalizione
rivale ritenuta vincente, ma soprattutto impedirle di godere (in specie al
Senato) dello stesso margine di vantaggio di cui essa ha potuto godere.
Con
la nuova legge, chi riceverà dai cittadini il mandato di governare non potrà
farlo in modo efficace: è questo forse il peggior servizio reso al Paese da
una maggioranza che pure, in materia di pessimi servizi, si è data da fare.
Sintomatico che la legge sia senza un padre noto: tanto grande è lo sbrego
che essa produce nel funzionamento del sistema, che nessuno ne rivendica la
paternità.
Pare che i veri mandanti, Berlusconi e Casini, si dicano a
vicenda: «È il proporzionale, bellezza».
È inutile che ognuno dei due cerchi
di accusare il compagno di avventure, palleggiandosi la responsabilità.
Questa è solidale, e peserà come un macigno sul futuro del Paese; che non
dimenticherà.
La vecchia legge elettorale, il Mattarellum, non era certo
perfetta, come ha ben argomentato Giovanni Sartori, ma essa nasceva da un
referendum votato a stragrande maggioranza dai cittadini nel ’93; in
quell’anno, non casualmente, nasceva la speranza in una società che
riducesse i costi della politica.
Ora che essi tornano a schizzare verso
l’alto, i mandanti riportano indietro di 13 anni l’orologio, nuovamente
affermando il predominio non dei partiti (ovvio), ma dei loro apparati,
sulla politica.
Bene o male, il Mattarellum ha pur funzionato per oltre due
legislature, consentendo il formarsi della stessa maggioranza alla Camera e
al Senato, cosa che il nuovo sistema non assicura affatto.
Ora scompaiono i collegi uninominali e con essi il forte rapporto fra
elettori ed eletti.
Gli apparati decreteranno chi sarà eletto e chi no,
dosando bene l’ordine dei nomi: i cittadini cui non piacesse una candidatura
«vincente» della lista per cui intendono votare, non potranno cancellarla.
Potranno scegliere solo fra votare per un’altra lista e starsene a casa; non
è escluso che molti, specie nel Sud, optino per la seconda scelta.
Spetta al centrosinistra, che ha segnalato l’assurdità della nuova legge,
l’incombenza di spiegare agli elettori come intende rimediare allo scempio:
è però necessario fissare un percorso trasparente.
La coalizione deve
concordare, prima delle elezioni, il testo di una nuova legge elettorale,
impegnandosi a presentarla in Parlamento subito dopo l’eventuale vittoria.
Si chiuderebbe così lo sbrego causato nel tessuto istituzionale del Paese da
questa legge di padre ignoto (nel crudele linguaggio dei nostri padri la si
sarebbe detta «illegittima»).
È ovvia l’obiezione alla proposta, nessun accordo sarà possibile su un tema
così politicamente spinoso; eppure, di una nuova legge elettorale il Paese
avrà un disperato bisogno.
Non possiamo permetterci la paralisi di governo,
col debito pubblico che il festino interrotto nel ’93 ci ha scaricato
addosso.
È chiaro che ogni partito crede di vedere già ex ante le proprie
convenienze e, quindi, preferenze, ma un punto di sintesi va trovato.
Prima
delle elezioni, gli effetti veri della nuova legge saranno incerti, e la
contrattazione si svolgerebbe, in qualche misura, al buio; dopo sarebbe solo
peggio, chi ne ha davvero profittato impedirebbe ogni mutamento.
Un accordo
serve per forza, meglio trovarlo prima.
La politica è l’arte del compromesso, che spesso, come in questo caso, può
essere nobile.
Uninominale francese a doppio turno, proporzionale tedesco
con sbarramento e premio di maggioranza,
Mattarellum: ognuno di questi tre sistemi ha pregi e difetti, che i tecnici
conoscono a menadito.
Quel che conta è costringersi a trovare l’accordo e
indicare, prima del 9 aprile, la nuova legge, da approvare già nei primi
mesi della legislatura, con la quale votare a tempo debito.
Difficile, è
vero, ma necessario: una coalizione che si propone di rimediare ai disastri
dello scorso quinquennio lo deve al Paese.
Pare che Berlusconi si avvalga dei consigli di Karl Rove, lo stratega che ha
consigliato a Bush di tirare ogni giorno ai rivali una palata di fango la
mattina e una la sera.
Meglio trovare un accordo prima che cominci a
diluviare.